giovedì 15 aprile 2010

Cremonini l'antimoderno amato da Bacon

Acido, acre, è il primo aggettivo che ti viene alla mente. Non lui, Leonardo Cremonini, bolognese, classe 1925, che la morte si è portato via dopo una lenta, inesorabile malattia. No, lui sapeva anche essere simpatico, conversatore brillante (Sgarbi ne aveva fatto un paladino anti-moderno delle sue trasmissioni), anche se era un ironista talvolta implacabile. Ma acida, spettrale era la sua pittura: ostile, maldicente, tanto esatta quanto sbilanciata. Volutamente sgradevole. Abitata da folletti, che forse venivano da Bosch, da Füssli, da Balthus o Leonora Carrington. Ha scritto Régis Debray: «Visitatore che passi di qui, non fuggire per il malessere. I divertimenti passano. Gli avvertimenti restano. Guardatevene. Cremonini resterà». Spiagge scottate da un sole paonazzo di neon, cabine sventrate, che paion palafitte del cielo, gabbie primordiali dell’ansia. E ombre che s’infilzano come pugnali tra marmocchi urlanti, perfidi ET della pietra, con il volto tarlato di sabbia, sfigurato dal morbillo della calura. E specchi deformi, che riflettono strani delitti mentali, che non riusciamo ad acchiappare, mentre inesorabili rubinetti sputano sangue viola. Incubi, malessere, oppressione. Ma proprio per questo esageratamente squadrati, ossessivamente spogli. Non stupisce che - artista inesistente per la critica iscritta al Partito del Moderno - Cremonini fosse amato non solo da scrittori come Moravia, Soavi e Calvino (come lui fuggito presto a Parigi, per sdegno di un’Italia che tollerava solo da Panarea in giù), ma anche da strutturalisti come Eco, Derrida, Althusser. Ed è ovvio che avendo attirato l’attenzione di Spender, Butor ecc. poteva anche fregarsene di una critica nostrana che lo ignorava. Lui si vendicava con l’essere l’unico italiano apprezzato da Bacon. Forse più vicino a narratori come McEwan o Cortázar, che non a tanti imbrattatele monocromi o coatti dell’installazione debole.

FONTE: Marco Vallora (lastampa.it)

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