martedì 30 agosto 2011

Wim Wenders, immagini dal set quando il cineasta cambia macchina


Al centro Arte Cultura della città ticinese, una grande mostra celebra il regista tedesco e la moglie Donata. Oltre 380 fotografie ripercorrono l'immaginario poetico e visionario del grande direttore, attraverso i set dei suoi film di culto


"A volte penso che la mia vera professione sia fare il viaggiatore". Sono le stesse parole di Wim Wenders, il grande visionario, eclettico, versatile regista tedesco, a dare il senso della sua creatività. E le circa trecentottanta fotografie inedite che propone la mostra "Film Stills & Backstage", organizzata dal nuovo centro culturale Lac, Lugano Arte e Cultura, dove è visitabile fino al 3 settembre, in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti, appaiono come un lungo e intimo viaggio, fatto di luoghi, volti, incontri, ricordi, ciascuno con l'intensità di una riflessione emotiva sul mondo, dove il confine tra cinema e fotografia d'autore è fatto di pura ambiguità. 

Per chi ama o è incuriosito dalla cinematografia di questo portentoso artista pluripremiato, creatore di film di culto come "Paris, Texas", "Il cielo sopra Berlino", "Fino alla fine del mondo", "Così lontano, così vicino", "Lisbon Story", "The Million Dollar Hotel", questa rassegna diventa l'occasione per scoprirne tutta la grazia e la poesia di fotografo, a colori e in bianco e nero, attraverso la lunga parabola dei suoi film, fatti di scorci di set, di ritratti di attori liberi da contaminazioni sceniche, come fossero viandanti incontrati nella sua costante "recherche". Nessuno stereotipo da backstage, perché Wenders sembra immortalare l'incontro furtivo e quasi casuale con "angeli" di un cielo sopra i suoi film. 

Il bello della mostra è che accanto ai lavori di Wim Wenders, sfilano anche le immagini della moglie Donata, illustre fotografa e direttrice della fotografia, complice di una ricerca espressiva e narrativa attraverso un gusto raffinato dell'arte dello scatto. Sodalizio e sperimentazione congiunta, che permettono al pubblico di compiere un proprio personale viaggio attraverso le scene dei film più famosi di questo maestro. Per i cinefili è un'overdose di cinematografia wendersiana, per i curiosi è l'occasione per gustarsi la multiforme creatività di due artisti. "Non c'è la ricerca del ritratto dell'attore divo  -  avverte il curatore della mostra Massimiliano Di Liberto - piuttosto c'è una costante consapevolezza della propria curiosità verso i sentimenti quotidiani ed una riflessione profonda verso l'ambiente, sia architettonico che naturale. Tutta la sua arte fotografica è focalizzata su piani principali, il tempo e lo spazio: lo scorrere dei momenti si arresta sul viso dei protagonisti, delle comparse, del regista che interagisce con la troupe". E le foto di Donata Wenders completano questo universo: "Captano il movimento dinamico che genera l'energia di un film e ne arrestano la magia del momento  -  dice Di Liberto - Il lungo sodalizio umano e professionale con Wim traspare qui nelle sue foto di scena, soprattutto tese a cogliere con grande sensibilità gli aspetti del dietro le quinte, il confine tra finzione e creazione, che ci regalano momenti di riflessione profonda". C'è tutto l'immaginario di Wenders nella bellezza di queste immagini, situazioni che rimandano ai film della sua carriera, mai omologata, sempre innovativa, che parte dalla sua amata America, terra infinita da esplorare sul filo rosso dell'avventura on the road, che sembra tanto ispirarsi, in quegli scenari di una provincia silenziosa e deserta, ai quadri di Edward Hopper. E passa alla Berlino pre e post muro, alla musica, tra fado, boleros e il rock degli U2, allo sguardo inedito su Palermo, con "Palermo Shooting" interpretato dal cantante dei "Die Toten Hosen" Campino, fino alla danza, con il film-documentario "Pina" (2011) dedicato alla coreografa Pina Bausch, la più importante coreografa della danza contemporanea. Un progetto che rischiava di saltare poco prima che i lavori iniziassero davvero, per la morte della stessa protagonista, il 30 giugno 2009, ma poi decollato in collaborazione con la Tanztheater  Wuppertal, la compagnia che per trentacinque anni ha accompagnato la Bausch. "Un omaggio  -  dichiara Wenders - a colei che ha creato un nuovo linguaggio nella danza e nel teatro, un profondo inchino alla bellezza che ha seminato nel mondo".  

Notizie utili  -  "Film Stills & Backstage Fotografie di Wim e Donata Wenders", fino al 3 settembre 2011, LAC Lugano Arte e Cultura, Città di Lugano.Orari: Martedì-Domenica 10:00-18:00, Venerdì 10:00-21:00, lunedì chiuso tranne 15 agosto.Ingresso: chf 12, ridotto chf 8.Informazioni: +41 (0) 58 866 72 19.

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

lunedì 29 agosto 2011

Il Novecento e le Dolomiti a Cortina De Pisis e gli altri


Nella "capitale" della montagna una grande mostra svela i capolavori sconosciuti dell'illustre collezionista Mario Rimoldi. In 200 opere, con un focus unico su Filippo de Pisis, il pittore innamorato delle Dolomiti


Galeotte furono le Dolomiti. Era l'estate del 1929, e a Cortina d'Ampezzo Filippo de Pisis, già all'epoca illustre pittore ferrarese residente nella Parigi delle avanguardie, votato ad un felice figurativismo vibrante e di tocco dopo un giovanile debutto nella metafisica, conobbe il giovane albergatore Mario Rimoldi "un singolare mecenate delle arti, nato tra le aspre guglie dolomitiche proprio all'alba del nuovo secolo, il 1900", come scrive Gabriella Belli. Da questo incontro, non solo ebbe inizio una delle maggiori collezioni private di de Pisis, ma lo stesso Rimoldi orienterà la sua collezione verso una più forte consapevolezza di gusto e ricerca nell'arte contemporanea. E in cinquant'anni di passione ne nascerà una delle più ricche e prestigiose collezioni (negli anni '40 contava già settecento opere) dedicate al Novecento, che viene ora celebrata dalla sua Cortina nella mostra "Il Bello chiama il Bello. Da De Pisis a Sironi, grandi maestri del Novecento nella Collezione Rimoldi", in scena fino al 6 novembre alla Ciasa de Ra Regoles. 


Se il nucleo delle opere di de Pisis rimane il focus più intrigante del percorso - cinquantaquattro lavori - le altre centocinquanta opere esposte, sotto la cura di Alessandra de Bigontina, escono in larga parte per la prima volta dal depositi del Museo d'arte Mario Rimoldi, dove sono custodite per mancanza di spazi adeguati, ripercorrono i grandi protagonisti dell'arte del ventesimo secolo. A queste, si aggiunge un repertorio di memorabilia legati alla figura eclettica e versatile di Rimoldi, tra oggetti d'arte, carteggi con de Pisis, foto d'epoca, documenti vari. 

Roma fu una tappa strategica nella vita di Rimoldi. Qui si recò ventunenne per frequentare la scuola alberghiera della Capitale, e qui, sulla scia di una fascinazione per gli artisti scoperti visitando gallerie e musei, iniziò timidamente a comprare. I primi anni da collezionista guardano soprattutto ad artisti della sua terra, tra Cadore e Veneto. Come Luigi de Zanna, figura di spicco nell'ambito dello storicismo viennese, anche se i paesaggi di Rimoldi sposano un raffinato realismo inondato di suggestioni atmosferiche. Con de Pisis, che adorava passare le vacanze estive in montagna sulle Dolomiti, scegliendo Cortina come meta preferita negli anni Trenta, Rimordi scoprì la finezza cromatica di un realismo trasfigurato da una prorompente emotività. Spiccano in mostra il "Soldatino francese", la "Chiesa di Cortina" del 37, la "Natura morta con ombrello" del '39. Il filone figurativo e l'affinità col territorio comune legano Rimoldi ad artisti di area veneta come Cadorin, Cesetti, Saetti, Depero. A questi ben presto si affiancano i protagonisti principali degli artisti residenti a Parigi, come de Chirico, Campigli, Savinio, Severini, Tozzi. E nel 1941, l'anno della "Prima Mostra Italiana del Collezionista" dedicata a Rimoldi dalla sua Cortina (dove nel '51 sarà eletto sindaco) la collezione vanta capolavori di Morandi, Sironi, Guidi, Mafai, Scipione, Pirandello, Martini, Funi, Carrà, Guttuso e Rosai, di cui la mostra offre cinque intensi lavori. Al di là dell'affezione ai quadri figurativi, Rimoldi testimonia anche una attenzione verso la sperimentazione, acquisendo lavori di Music, Vedova, Crippa, Santomaso, Morlotti. Tra i lavori meno noti, fatti riemergere dai depositi, ecco allora l'Isola di San Giorgio di De Chirico, la Spiaggia di Campigli, gli Amanti di Carrà, una natura morta di Carena, un pastello su carta di Kokoshka dedicata a Venezia, l'Etet di Severini, Ritratto del figlio di Pirandello. E ancora un Picasso, Ligabue e Funi.


Notizie utili - "Il Bello chiama il Bello. Da De Pisis a Sironi, grandi maestri del Novecento nella collezione Rimoldi", fino al 6 novembre 2011, Museo Rimoldi Ciasa de Ra Regoles, Corso Italia 69, Cortina d'Ampezzo (Belluno)Orari: fino al 30 agosto tutti i giorni 10-20, dal 1 settembre al 6 novembre tutti i giorni 10-12.30 e 16-19,30.Ingresso: intero €8, ridotto €5.Informazioni: 0436-866222.


FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

venerdì 26 agosto 2011

Così lontani, così simili tra loro A Fermo nuova luce su Licini e Morandi


Nel Palazzo dei priori, una grande mostra indaga le affinità elettive tra i due maestri del Novecento. Tra inediti e lavori rari, sfila tutta la loro aspirazione alla modernità


Scoprire le affinità elettive tra due artisti come Osvaldo Licini e Giorgio Morandi significa compiere un viaggio al di là della poetica essenziale delle cose. Significa scavalcare le visioni fantastiche e sognanti del primo, superare quel senso apparente di ordine del secondo, per conquistare di entrambi l'intima aspirazione alla modernità del linguaggio, alla sperimentazione audace e più radicale delle forme. Un'esperienza che regala la mostra "Osvaldo Licini  -  Giorgio Morandi. Divergenze parallele", visitabile fino al 25 settembre a Palazzo dei Priori di Fermo, con una raffinata appendice al Centro Studi Osvaldo Licini di Monte Vidon Corrado, dove Licini nacque (1894) e dove decise di vivere, dopo il lungo soggiorno a Parigi, dal dopoguerra alla metà degli anni Venti - e dove fu anche sindaco dal 1946 al 1956  -  dedicata al rapporto che lega l'arte di Licini e Morandi alla poesia di Dino Campana, per un verso, e di Giacomo Leopardi, per un altro. 

La mostra, curata da Marilena Pasquali e Daniela Simoni, e frutto di una inedita ricerca documentaria condotta per più di un anno tra archivi e biblioteche di mezza Italia, con l'obiettivo di riconsiderare i due portentosi maestri del Novecento, distanti per temperamento e stile espressivo, ma legati per cinquant'anni da una solidarietà amicale fatta di condivisioni e comprensioni. Le cinque sezioni cronologiche che si susseguono nell'esposizione di Fermo, che scandiscono per entrambi gli esordi negli anni Dieci fino agli anni Cinquanta e Sessanta, propongono un duetto parallelo tra le opere di Morandi - 43 lavori tra oli, disegni e incisioni dal 1909 al 1963, un anno prima della scomparsa  -  e quelle di Licini - 51 dipinti, tra il 1913  il 1958, anno della morte - ad offrire in presa diretta un repertorio di diversità ma allo stesso tempo sorprendenti analogie grazie ad un patrimonio di prestiti illustri da parte di importanti istituzioni museali pubbliche. Per Licini si è riusciti a riunire tutte le maggiori collezioni pubbliche e private: da quella fondamentale degli eredi Silvia e Lorenzo Licini al fondo Hellström della Galleria Comunale di Arte Contemporanea di Ascoli Piceno. Osvaldo Licini, marchigiano fino al midollo osseo, ci piace considerarlo il Klee italiano, tra i pochi artisti che seppe metabolizzare le teorie di matrice Bauhaus, e cercare appassionatamente il valore evocativo e suggestivo del colore accanto alla libera invenzione delle forme. Morandi, solitario e pignolo bolognese, è il pittore che ha dato a bottiglie e vasi di fiori, un valore estetico universale, al di là della classificazione accademica di "natura morta", infondendo più ebbrezza astrattista che rigore compositivo. Il percorso, dunque, inanella piccole grandi esperienze congiunte, fatte di accordi e disaccordi armonici. Dai primi documenti d'Accademia sulla scia di un primitivo interesse per il futurismo, alle ricerche più sperimentali negli anni Venti, attraversando gli anni Trenta tra la scelta astratta di Licini e le atmosfere inquiete di Morandi. 

E gli anni Quaranta dei capolavori, tra Licini che codifica il suo mondo di creature fantastiche, tra Amalassunte e Angeli ribelli, e Morandi che dà alla luce i suoi scenari misteriosi e lirici di oggetti, quando metabolizzò la lezione di Cézanne, Vermeer e Corot, accanto a paesaggi infarciti di silenzio spettrale e malinconia. Fino al riavvicinamento nel dopoguerra. A restituire questa doppia parabola sono, per Morandi, capolavori come "Fiori" del 1913, le grandi "Bagnanti", la "Natura morta" del 1932, la "Natura morta (conchiglie)" del 1943. E spiccano alcuni inediti, come la "Natura morta con il busto di gesso", lavoro d'Accademia, il "Paesaggio" del 1927, autenticato dal Comitato per il Catalogo Morandi nel 2011. Di Licini sfilano alcuni dipinti esposti alla sua prima importante mostra dell'Hotel Baglioni del 1914, come l'"Autoritratto" e il  "Ritratto di Giacomo Vespignani". Ancora, "Ritratto di Nella", "Archipittura" del 1932, "Castello in Aria", "Figura T3", "Fiore Fantastico" del 1941-43, la grande "Amalassunta Rossa" del 1950, il "Filosofo", l'Angelo disegnato su fondo giallo. Chicca, per la prima volta viene esposta una splendida "Marina" del 1922, accanto alla grande "Natura morta con limone" e al grande "Nudo".

Notizie utili  -  "Osvaldo Licini - Giorgio Morandi Divergenze parallele", fino al 25 settembre 2011Fermo, Palazzo dei Priori, Monte Vidon Corrado, Centro Studi Osvaldo LiciniOrari: agosto, tutti i giorni: 10-13/16-20; settembre: martedì-venerdì: 10-13/ 15.30  -  18, sabato e domenica: 10-13/ 15.30  -  19. Chiuso il lunedì.Ingresso: intero €8, ridotto €5.Informazioni: Call center, info, prenotazioni e visite guidate: 199.151.123.Catalogo: Gli Ori di Pistoia.

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

giovedì 25 agosto 2011

Kate Moss nuda per il calendario Pirelli


Kate Moss nuda sul calendario Pirelli 2012, che sarà presentato il prossimo 6 dicembre a New York. Lo rivela Vanity Fair che si è assicurato le immagini del backstage del calendario firmato dal fotografo Mario Sorrenti.

Protagoniste della trentanovesima edizione di The Cal, per la prima volta scattato da un fotografo italiano, sono 12 modelle, che hanno posato per una settimana lo scorso maggio in Corsica, nel resort di Murtoli. Tra i nomi - rivela Vanity Fair - spicca quello di Kate Moss, nel suo ultimo nudo prima di sposarsi con il rocker inglese Jamie Hince, anche lui presente sul set. Ci sono poi l'attrice ucraina Milla Jovovich e l'italiana Margareth Madè alla sue prima foto di nudo. Tra le top anche l'olandese Lara Stone e la russa Natasha Poly, la numero uno e due nella classifica delle modelle più richieste sulle passerelle.Il Pirelli 2012, a differenza di quello dello scorso anno dedicato alla perfezione delle divinità della mitologia e realizzato da Karl Lagerfeld nel suo studio di Parigi è, sostenono i curatori, un inno «alla naturalezza femminile incastonata nella natura di un angolo sperduto della Corsica». 


FONTE: ilmessaggero.it

lunedì 22 agosto 2011

Ammannati il genio delle fontane medicee


La sua fama fu oscurata dal contemporaneo Vasari. Ma i suoi lavori colpiscono per la straordinaria tecnica

Fidia novello» lo definisce l’amata moglie, la poetessa urbinate Laura Battiferri, immortalata dal Bronzino nel celebre ritratto che compare alle pareti del Bargello. Ancora, il non troppo tenero Giorgio Vasari, l’amico con cui lavorò a Roma e Firenze, in un sonetto declama: «Quella man che col ferro a i duri sassi dà forma spirto..» è capace di rendere in marmo «arte e natura in stil perfetto». Era questi Bartolomeo Ammannati, scultore eccellente e architetto, nato a Settignano nel 1511, formatosi a Firenze (vi scomparve nel 1592) con Baccio Bandinelli e Giovanni Angelo Montorsoli; assai noto al tempo, la sua fama è oscurata nei secoli dal Vasari, pittore, scultore, architetto, biografo delle arti, come precisa Cristina Acidini nell’introduzione al catalogo (ed. Giunti). 

Cadono quest’anno i 500 anni dalla nascita di entrambi, se gli Uffizi festeggiano con clamore l’aretino, il Bargello, squisito museo di scultura rinascimentale, celebra l’Ammannati con una raffinata, quanto preziosa mostra, per le cure di Beatrice Paolozzi Strozzi e Dimitrios Zikos (in collaborazione della Facoltà di Architettura di Firenze) densa di novità, attribuzioni e dall’indubbio pregio di ricreare il clima in cui lo scultore si formò e operò all’interno del granducato mediceo. La rassegna esplora l’autore di tante splendide fontane che abbellirono Firenze come i giardini voluti da Cosimo I, anche per illustrarne la politica di valorizzazione estetica dell’acqua e l’innovazione tecnica. A ciò allude il titolo «L’acqua, la pietra, il fuoco».

Ancora oggi nessuno attraversa Piazza della Signoria senza ammirare il colossale Nettuno che fra Titoni e Nereidi si impone per il candore (il cosiddetto «Biancone»), l’incantevole scenografia, il magistrale uso dei materiali (soprattutto il bronzo dei Fauni), la cura dei dettagli. Nel '500 la piazza divenne teatro di gara per artisti «moderni»; sicché le voci della memoria si uniscono al presente per raccontare l’avventura della fontana, a partire dal concorso, con disegni, modelli, documenti, motivi, repertori del passato, se non le altrui proposte come il progetto e bronzetto di Baccio Bandinelli.

All’entrata della due sale si impone lo svettante Ercole e Anteo, gruppo bronzeo in origine al culmine della fontana nella Villa di Castello (ora sostituito da copia), a lato figurano Pavone e Gallo, due bronzi ideati per la grotta nel giardino della medesima Villa medicea, come illustra una tempera di Giulio Utens, 1599, con le vedute e le fontane dell'Ammannati e la grotta per custodire gli animali. È poi la volta della giovanile Leda e il cigno, prodigioso gruppo marmoreo che rievoca un dipinto perduto di Michelangelo, a sua volta ispirato a una gemma antica; segue il Mosè, minuscola «copia» del capolavoro di Michelangelo. L’occhio viene subito catturato dalla prima opera monumentale dopo Venezia (lavorò con Jacopo Sansovino), la memorabile Tomba di Mario Nari, con l'eroe che pare colto dal sonno, per la Basilica di S.S. Annunziata, in seguito smontata, e al museo dal 1975. 

La passione per i classici affiora in opere quali Sapienza, e Venere, il bronzo in arrivo dal Prado, Il Genio Mediceo, preziosa allegoria della casa regnante; né mancano di suscitare interesse le medaglie, i documenti, il taccuino dei disegni, scritti d’epoca, come i sonetti dalla moglie e le risposte di amici, e un filmato. Incuriosiscono gli omaggi a Michelangelo, due tavolette bronzee, forse per le solenni esequie in onore del maestro: il rilievo Allegorie dell'Arno e del Tevere presentato a Giulio III, a Roma, nel Ninfeo di Villa Giulia, verso il 1650, allusivo ai luoghi di lavoro del Buonarroti, Toscana e Lazio, e Apoteosi di Michelangelo dove il genio figura in veste di architetto militare. Infine è d'obbligo sostare nel cortile davanti alla Fontana di Sala Grande, voluta da Cosimo I nel 1555 per il Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, collocata in realtà nei giardini di Pratolino e Boboli, poi smembrata nel '600, e approdata al Bargello nel secolo scorso. 

L’ACQUA, LA PIETRA, IL FUOCO
BARTOLOMEO AMMANNATI SCULTORE
FIRENZE, MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO
FINO AL 18 SETTEMBRE



FONTE: Fiorella Minervino (lastampa.it)

giovedì 18 agosto 2011

venerdì 12 agosto 2011

Calzolari, il poverista venuto dal freddo


Nelle sue prime opere anche superfici di ghiaccio. Una mostra a Venezia ne ripercorre la raffinata ricerca

Anche se spesso sono indicazioni restrittive e banalizzanti, succede a molti artisti di essere identificati in modo generico dal pubblico più allargato attraverso i soggetti più famosi oppure attraverso i materiali più tipici utilizzati per le loro opere. E così Morandi diventa il pittore delle bottiglie Pistoletto è quello degli specchi, Beuys il maestro del feltro e delle lavagne, Kounellis l’artista del fuoco, Hirst lo squartatore di bovini e squali. Anche Pier Paolo Calzolari subisce questa condanna (che è pur sempre segno di notorietà consolidata). Lui è l’artista delle superfici gelate con motori di frigorifero. E in effetti molte fra le sue opere più belle, a partire da quelle della fase germinale dell’Arte povera alla fine degli Anni 60, sono realizzate con questo tipo di procedimento tecnologico. 

Ma questo e i molti altri dispositivi e materiali dei suoi lavori (scritte al neon, motorini elettrici, registratori; oggetti come scale, materassi, flauti; elementi della natura come foglie, muschio, legno, uova, pesci vivi; e anche superfici di piombo, ferro, rame, feltro o sale) acquistano un affascinante senso artistico solo se si comprende la raffinata complessità del processo creativo messo in atto dall’artista. Un processo che (partendo da presupposti poveristi comuni) va al di là della logica rappresentativa attivando, in modo vitale, l’espressività primaria dei materiali e degli oggetti della realtà concreta. E questi, pur rimanendo sempre quello che sono, si trasformano, attraverso inedite combinazioni e accorte elaborazioni installative, in inediti strumenti linguistici generatori di nuovi significati e di nuove prospettive di visione estetica. E, in particolare nel caso di Calzolari, si può parlare di una ricerca caratterizzata da una peculiare tensione poetica e anche musicale, e sicuramente di una straordinaria sensibilità per la qualità formale. 

In altri termini, si può dire che l’artista non ha mai smesso di essere «pittore», sia pure con altri mezzi, e che attraverso la sua alchimia inventiva è arrivato a mettere in scena delle installazioni che sono delle vere «composizioni», dove la fisicità concreta degli oggetti e dei materiali entra in una dimensione di sospesa levità, e si propone agli occhi dell’osservatore come forma impregnata di vita ma allo stesso tempo carica di memorie culturali, direi della più alta tradizione artistica italiana. E l’occasione migliore per verificare la qualità, ormai quasi «classica», dell’opera di Calzolari è sicuramente questa antologica al museo veneziano di Ca’ Pesaro, curata da Daniela Ferretti e Silvio Fuso, dove sono esposte soprattutto grandi installazioni storiche e soprattutto recenti (ben combinate fra loro), la cui disposizione nelle sale al pian terreno e al primo piano è stata studiata con grande attenzione ai rapporti con lo spazio architettonico del Longhena e con la luce naturale che entra dalle vetrate che danno sul Canal Grande. 

È proprio una mostra da museo, nel senso migliore del termine. Dal punto di vista cromatico dominano i bianchi delle superfici gelate (o come preferisce l’artista «brinate»), di sale o di tessuti (o mollettoni); quelle nere di sale o feltro combusti, e quelle grigie plumbee, anche in relazione organica fra loro. Tra i lavori del periodo strettamente poverista troviamo un lavoro con un bianco materasso su cui sono è adagiata la scritta al neon Senz’altri rumori che i miei (1971), oppure la poetica frase Lago del cuore scritta con lettere in stagno su una foglia di tabacco (1968). La leggerezza nivea della brina compare, per esempio, in un’installazione come Tolomeo (1989), dove ricopre una tavola che si contrappone alla pesantezza di un pavimento di piombo, con un singolare effetto di sospensione metafisica.

Ed è presente anche nell’elegante installazione recente (2010) che si configura come una natura morta gigante fatta da un vaso metallico posato su una leggerissima struttura a rete con andamenti curvilinei, gelata, che si staglia su un fondale nero costituito da una superficie ondulata di nero feltro combusto. Qui si arriva (senza, per fortuna, superarlo) al limite dell’estetismo. Ed è questa la caratteristica anche di altre opere come la Natura morta (2008), che sembra un omaggio a Piero della Francesca, con un uovo posato su una tovaglia bianca , con una tela dipinta di bianco sullo sfondo. 

Ma a far da contrappunto a queste esaltazioni della forma e dell’armonia classiche, troviamo anche lavori di sorprendente liricità ironica, come il bellissimo video Colibrì (2002), con un nudo femminile sdraiato che gioca maliziosamente con un uccellino e anche con lo spettatore (grazie a sensori interattivi). E come Marie chante (2002) dove, davanti a uno schermo a parete su cui compare ogni tanto una ragazza che canta, c’è un tavolino con sopra un vaso pieno d’acqua con un pesciolino che nuota. Per segnare simbolicamente la presa di possesso temporanea di Ca’ Pesaro Calzolari si è divertito a collocare una sua Struttura ghiacciante (1990) addirittura nelle acque del Canal Grande vicino all’imbarcadero.

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)

giovedì 11 agosto 2011

Riapre a Vicenza la Basilica Palladiana


Riapre a Vicenza la Basilica Palladiana, monumento tra i più noti del‘500, emblema di questa città che più d’ogni altra annovera del geniale architetto  splendide case di villa immerse nel verde dei colli e gli aristocratici palazzi del suo centro storico.
E se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, fa ben sperare che nell’imminenza della restituzione di questo capolavoro al territorio e al turismo internazionale si sia subito pensato al suo futuro ruolo di importante e moderno contenitore culturale celebrando l’evento della riapertura con il progetto di due grandi mostre affidate entrambe a Marco Goldin, personaggio di gagliarda e comprovata professionalità.L’annuncio è stato dato la settimana scorsa nella conferenza stampa tenuta in Comune a Palazzo Trissino dal sindaco Achille Variati con a fianco l’assessore alla Cultura Francesca Lazzari, lo stesso Goldin( anche in qualità di direttore di Linea d’Ombra), Silvano Spiller e Fausto Sinagra rispettivamente vicepresidente e direttore generale di Fondazione Cariverona la quale col suo presidente Biasi, dopo aver sostenuto il restauro del monumento a partire dal 2001 con uno stanziamento di 21 milioni di euro, ha optato per la formula della condivisione delle esposizioni con Verona, decidendo di sponsorizzare le due mostre.La prima col titolo “ Da Raffaello a Rembrant, a Vang Gogh. Per una storia del ritratto in Europa” sarà inaugurata il 6 ottobre 2012 e resterà a Vicenza tenendo esposti fin al 6 gennaio 2013 una ottantina di dipinti e poi sculture di autori di fama che hanno fatto la storia della rappresentazione umana. La rassegna si impernia sui capolavori del ‘400 e ‘500 Veneto con opere di Bellini, Giorgione, Cima, Veronese, Tiziano, Lotto, Savoldo, e poi del mondo fiorentino e dell’Italia Centrale come Pontormo, Perugino, Raffaello, seguiti dal‘600 di Caravaggio, Velazquez, Vermeer, per arrivare ai grandi dell’impressionismo fino alle rappresentazioni del disfacimento della figura umana operato dal pittore Bacon e dallo scultore Giacometti. 


Successivamente la mostra si trasferirà alla Gran Guardia di Verona (12 gennaio 2013-23 marzo 2013), dandosi il cambio con Vicenza per la rassegna “Da Tiziano a Monet. Per una storia del paesaggio in Europa”, mostra prima allestita per la gran Guardia( 5 ottobre 2013- 6 gennaio 2014), poi per il secondo evento espositivo in Basilica Palladiana dall’11 gennaio 2014 al 24 marzo 2014.Ecco allora che nel capoluogo berico i visitatori in questa altrettanto alettante manche avranno modo di avvicinare soprattutto opere dell’Ottocento con autori quali Constable, Turner, Friedrich, ma anche capolavori che li precedono cronologicamente dove figure di arte sacra, specie di Madonne, stanno magnificamente inserite nella natura; e poi quadri di olandesi  e composizioni di Lorrain e Poussin, la veduta veneziana, concludendo il gran tour con gli impressionisti e il nuovo paesaggio dell’’900.


FONTE: Fortunato D'Amico (lastampa.it)

venerdì 5 agosto 2011

Terra Arte 2011

Terra Arte è un'esperienza che si segnala per lo sforzo di proporre e realizzare un modo alternativo di fruire l'arte e le sue diverse manifestazioni

Come ormai da tempo, anche quest'anno ho ricevuto e accolto l'invito di Luca Pugliese, artista nonché mio ex allievo alla facoltà di Architettura di Napoli, a esporre le mie opere nell'ambito della rassegna Terra Arte da lui ideata e diretta, la cui undicesima edizione, grazie al forte sostegno e alla sensibilità del sindaco Felice De Rienzo, si terrà nel comune irpino di Paternopoli il 6 e il 7 agosto prossimi.
Terra Arte è un'esperienza che si segnala per lo sforzo di proporre e realizzare un modo alternativo di fruire l'arte e le sue diverse manifestazioni, in un regime di totale convivialità festosa e di partecipazione popolare che di fatto sembrano plasmare lo spazio, sia pur urbano, come uno scenario naturale, privo di chiusure e a completo servizio della ritualità collettiva. L'invito a Terra Arte mi dà pertanto modo di riproporre alcune riflessioni che mi stanno particolarmente a cuore sul tema del rapporto tra natura e architettura.
L'uomo è immerso, e nello stesso tempo è, natura. In noi agiscono forze che ci avvicinano e ci allontano dal nostro essere natura. Riconvergere verso la totalità che la natura rappresenta è una sfida che siamo tenuti a raccogliere. La storia dell'architettura e dell'urbanistica, del resto, è la storia di questa lotta sin da quando nella radura si costruiva il villaggio in cerchio con i percorsi a raggio che convergevano verso il centro in una cristallina e complessa articolazione di significati. 

In modo alterno, nella storia, l'uomo ha sentito l'esigenza di riaccostarsi al verde, di reintrodurlo nel tessuto delle sue strade, e oggi più che mai questo bisogno di immersione e di nuova fusione con tutto ciò che diciamo “natura” preme nell'architettura e nell'urbanistica che non possono mancare all'appello della salvazione del pianeta.
E a questo proposito vorrei riportare alcune mie riflessioni che ho espresso nel volume “Decrescita. Architettura della nuova innocenza”, Corraini Edizioni 2009.

FONTE: Riccardo Dalisi (lastampa.it)

martedì 2 agosto 2011

Colle Oppio, scoperto prezioso mosaico Apollo e le muse abbellivano le terme


Colle Oppio ancora alla ribalta: se un giorno si parla dei restauri della Domus Aurea, il giorno dopo si parla della scoperta di un prezioso mosaico parietale rinvenuto nel cosiddetto criptoportico delle Terme di Traiano, raffigurante Apollo con le muse. E' stato presentato questa mattina da Dino Gasperini e Umberto Broccoli, rispettivamente assessore alle Politiche culturali e sovrintendente ai Beni culturali di Roma Capitale.

E questa è la prima cosa un po’ complicata da spiegare: mentre i lavori di restauro nella Domus Aurea sono coordinati dalla soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma, quelli di scavo nelle strutture traianee sono di competenza del Comune, e sono coordinati dalla specialista Rita Volpe.Di altre situazioni complicate parleremo subito dopo, ma intanto diciamo qualcosa del mosaico, di cui peraltro ancora poco si sa, non solo perché prima della presentazione ufficiale di informazioni ne trapelano ben poche, ma anche perché lo scavo è ancora in corso, e quella venuta alla luce potrebbe essere solo una parte. Sembra che sia molto grande, e si dovrebbe dire che è una rarità, in quanto collocato su una parete, mentre la maggior parte dei mosaici antichi che conosciamo sono pavimentali: anche se, per la verità, negli ultimi anni qualche scoperta ha modificato un po’ il quadro, e un mosaico parietale ormai famoso, con una singolare scena di vendemmia, è stato trovato nel 2005 proprio a pochissima distanza da qui. Apollo, sia nel mondo greco sia in quello romano, è il dio della luce (e in quanto tale si identifica anche con il Sole), della medicina, dell’arte profetica, della musica, della poesia, ed è anche noto come “Musagete”, guida delle Muse, spesso raffigurato con tutte e nove, talvolta solo con alcune, come – sembra - nel nostro caso.Apollo era protagonista anche di un’altra opera trovata non lontano nel 1998: l’affresco con veduta a volo d’uccello di una città, che qualcuno volle identificare con Londinium (Londra), ma che Eugenio La Rocca ha interpretato come Città ideale, che assomma la caratteristiche di città diverse. Ebbene, in una piazza spicca una statua del dio, qui però senza Muse. 


Significherà qualcosa questa reiterata presenza? E in che modo si collegano (se si collegano) queste figure con la scena di vendemmia, e con altri mosaici trovati qui vicino?Rispondere non è facile: i lavori, come si è detto, non sono finiti, e soprattutto è davvero complessa la sovrapposizione delle strutture in questa parte del Colle. Alcune appartengono alla Domus Aurea, la grande dimora di Nerone (che a sua volta si sovrappone a resti di edifici preesistenti) di cui così spesso si torna a parlare, altre alle terme di Traiano, che (dopo un primo impianto più piccolo fatto costruire da Tito nell’80) l’imperatore affidò nel 104 d.C. al suo architetto di fiducia Apollodoro di Damasco. L’orientamento era volutamente diverso da quello della Domus; resti talvolta imponenti sono sparsi sul Colle stesso, e si conosce anche, col nome di Sette Sale, una grande cisterna. Il nostro criptoportico delle meraviglie è uno dei punti in cui il contatto fra i resti neroniani, traianei e forse altri è più ravvicinato e di difficile decifrazione. In sede di presentazione, emergeranno certamente preziose indicazioni al riguardo.


FONTE: Sergio Rinaldi Tufi (ilmessaggero.it)