lunedì 29 marzo 2010

"Flussi immobili" di Francesca Leone, le sfumature dell'umore

Flussi immobili”. Il titolo è un ossimoro. L’elemento che scorre per antonomasia, l’acqua, messo in relazione con la fissità della natura umana, che solo apparentemente cambia di per se stessa, mentre invece subisce solo l’effetto degli agenti modificanti contro cui s’infrange. Che ne cambiano espressioni e connotati. Dopo essersi cimentata con i ritratti di volti noti, più precisamente con le icone dei diritti civili del Novecento (Martin Luther King, Gandhi, Malcolm X, il Dalai Lama), Francesca Leone (www.francescaleone.it) atterra tra la gente comune per esaltarne le peculiarità. 

Figlia del grande regista Sergio Leone e di Carla Ranalli, che è stata prima ballerina al teatro dell’Opera di Roma (ma c’è un precedente anche nel campo dell’immagine: il nonno era illustratore per Il Messaggero), l’artista romana, classe 1964, è alla galleria Valentina Moncada di Roma con la sua quinta personale, dopo aver esposto anche a Castel dell’Ovo a Napoli, al loggiato di San Bartolomeo a Palermo, al Museum of Modern Art di Mosca. Nel 2008 Palazzo Venezia le ha dedicato una personale curata da Claudio Strinati. Nello stesso anno, con Bonalumi, Gallo, Guccione e Mitoraj è invitata a realizzare un’opera per la mostra “Galilei divin Uomo” nella Basilica di Santa Maria degli Angeli.
Alla Moncada ci sono solo otto dipinti di grandi dimensioni (200 x 150 cm) realizzati con tecnica mista, che catturano il volto delle persone ritratte nel momento l’acqua li colpisce. Elemento naturale contro elemento statico, e conseguenze dell’impatto. Senza stare troppo a disquisire sul significato simbolico (la purificazione), filosofico (il divenire), psicologico (il flusso inconscio), dell’acqua, ci sembra, ma soprattutto sull’effetto prettamente estetico dell’”incontro”, la Leone realizza otto tele che comunicano in maniera vibrante, contaminando la pop art come concetto e il non-finito come tecnica. Risultato: un’arte che lei stessa definisce espressionista, che nasce dalla fotografia e la rielabora. Il ciclo, inedito, si apre con “Respiro/Breath”, e continua con una serie di Volti senza nome e senza titolo. Il senso per l’immagine potente e maestosa, l’attenzione per i volti e per le espressioni, accomunano il lavoro di questa interessante artista con quello del padre, cui fece da assistente nella realizzazione di alcuni dei suoi film. 

Dopo aver frequentato un corso di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma, la Leone scelse però di completare i suoi studi con il quadriennio di pittura alla Libera Accademia di Belle Arti della Rome University of Fine Arts. Con sguardo essenziale, poco autocompiacimento e pennellate vigorose, coglie precise sfumature dell’umore, prigionia e liberazione. E in uno dei dipinti sembra di poter indovinare un autoritratto.

Galleria Valentina Moncada, via Margutta 54, www.valentinamoncada.com, fino al 21 aprile, ingresso gratuito.

FONTE: Paola Polidoro (ilmessaggero.it)

sabato 27 marzo 2010

New York, i "First Open" scaldano il contemporaneo



Nella settimana successiva alla chiusura positiva dell'Armory Show, New York ha passato il test del mercato secondario con le vendite di mezza stagione di Sotheby's e Christie's. 
Note come "First Open" da Christie's e "Mid-Season Sale" da Sotheby's, queste aste diurne si rivolgono ad un'ampia gamma di acquirenti e mirano ad attirare nuovi collezionisti con un'offerta eterogenea che abbraccia diversi livelli di prezzo (si parte da poche migliaia di dollari). Due volte all'anno, a settembre e marzo, le vendite funzionano come una sorta di riscaldamento prima degli appuntamenti più competitivi di primavera, - Sotheby's ha già annunciato un importante autoritratto di Warhol datato 1986, un anno prima della sua morte, agli incanti di New York del prossimo 12 maggio con una stima tra 10 e 15 milioni di dollari, mentre Christie's sfoggerà l'11 maggio alcune opere importanti della collezione di Michael Crichton, tra cui un raro Jasper Johns - e servono da indicatore di ciò che si attende per la stagione a venire. 

I risultati migliori sono stati ottenuti da Christie's che la mattina di giovedì 11 marzo ha guadagnato 7,5 milioni di $ con la vendita di 168 lotti (stima 3,5-5 milioni $). In una sala ben frequentata e animata dal brusio degli offerenti a telefono, prolungati botta e risposta hanno portato a stabilire diversi valori a sei cifre. Due i record segnati, uno per Glenn Ligon, la cui opera "Untitled (Invisible Man)" del 1992, raffigurata sulla copertina del catalogo, è passata di mano per 314.500 $ (stima 50-70mila), e l'altro per opera su carta dell'artista giapponese Yayoi Kusama con "Repetitive-Vision", realizzata con 480 adesivi della posta via aerea e venduta per $818.500 (stima 100-150mila $). 

Koji Inoue, direttore della vendita, spiega in un'intervista dopo l'asta che "accanto al contatto con nuovi collezionisti, lo scopo del First Open è scoprire opere meno note di artisti affermati, come nel caso dell'opera su carta di Keith Haring, un pezzo raro venduto per 220.900 $ (stima 20-30mila $), e dell'opera su plexiglas di Andy Warhol, un doppio ritratto di Jackie Kennedy in edizione unica passato di mano per 446.500 $ che apre una nuova area del mercato di Warhol (stima 40-60mila)".

Altri highlight della vendita sono state alcune opere degli anni '80 e '90 quali "Untitled (Your every wish is our command)" di Barbara Kruger, venduto per 278.500 $ (stima 80-120mila); "Figure Collage" di George Condo, venduto per 122.500 $ (stima 35-45mila); e "Valley River" di Wayne Thiebaud, top lot della vendita con 842.500 (stima 200-300mila). 

Koji Inoue esalta il successo della strategia "less is more", cioè puntare su poche opere di qualità con prezzi accattivanti. Sotheby's al contrario ha offerto il doppio dei lotti, senza raggiungere le stesse cifre: con 333 lotti in vendita il totale realizzato è stato di 5,8 milioni di $ (stima 4,8-6,9 milioni). La vendita si è tenuta martedì 9 marzo in due sessioni, una mattutina e una pomeridiana, in una sala meno affollata di quella di Christie's. Jennifer Roth, direttrice del dipartimento Fine Arts che organizza le Mid-Season Sale, fa notare che quasi la metà degli acquirenti sono mercanti, segno della momentanea positività del mercato. Tuttavia non ci sono stati momenti eclatanti. Il top lot è stato ancora una volta un'opera di Warhol, "Self Defense" della metà degli anni '80, rappresentata sulla copertina del catalogo e venduta per 506.500 $ a un collezionista privato americano al telefono (stima 250-350mila). Risultati positivi anche per Robert Motherwell con "Open #94", venduto a una dealer americana in sala per 224.500 $ (stima 100-150.000); Cindy Sherman con "Untitled Film Still #63", venduto a un privato europeo per 218.500 $ (stima 80-120mila); e Ed Rusha con "Rusty Silencers", aggiudicato per 110.500 $ (stima 80-120mila).

FONTE: Silvia Anna Barrilà

giovedì 25 marzo 2010

Nuova tecnologia per la datazione delle opere



NON COMPORTA L’ASPORTAZIONE DI UN CAMPIONE, COME NEL CASO DEL METODO DEL RADIOCARBONIO.

Il metodo del carbonio 14 o radiocarbonio ha troppe controindicazioni e rischia di compromettere per sempre opere d’arte preziosissime. Per questo un professore di chimica archeologica del Texas ha studiato una metodologia alternativa, chiamata estrazione del plasma, consistente in una lenta e delicata ossidazione dell’oggetto da analizzare al fine di produrre anidride carbonica per l’analisi. In questo modo non è necessario danneggiare la superficie dei reperti.
NIENTE COMBUSTIONE - Il merito va al dottor Marvin Rowe e alla sua équipe della Texas A&M University: «Questa tecnica rivoluzionerà il radiocarbonio», promette il professore, spiegando che non sarà più necessario asportare porzioni di tessuti o materiali. In sostanza l’intero oggetto da analizzare verrà posto in una camera in cui è presente il plasma (lo stesso gas utilizzato per gli schermi televisivi) che produrrà anidride carbonica necessaria all’analisi C-14 senza compromettere la superficie e con molta delicatezza. L’equipe statunitense ha già testato con successo questa tecnica, chiamata anche non-destructive carbon dating (datazione al radiocarbonio non-distruttiva), su 20 reperti, tra cui una mummia egiziana.
IL RADIOCARBONIO – Il padre di questo metodo si chiamava Willard Frank Libby e questa invenzione gli valse un Nobel nel 1960. Si tratta di un sistema di datazione che permette di attribuire una data a ogni materiale di origine organica, ma presenta molte controindicazioni, come testimonia la stessa storia della Sacra Sindone. Innanzitutto presuppone che la concentrazione di C-14 nell’atmosfera sia immutata nel tempo. Infine viene fatta prelevando alcuni campioni, successivamente indotti a combustione in una piccola camera di vetro, con il conseguente pericolo che vengano danneggiati.
LA SACRA SINDONE - Nel 1978 fu costituito il Progetto di ricerca sulla Sindone di Torino (STURP), il cui gruppo di lavoro era composto da una trentina di scienziati, sia atei che di differenti fedi religiose. La più celebre datazione del telo è del 1988 e fa risalire il lenzuolo a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390. Ma tutt’oggi la questione rimane aperta e le obiezioni sono molte.
FONTE: Emanuela Di Pasqua (corriere.it)

mercoledì 24 marzo 2010

John Alfred Scott

Perché Dante?


Questo volume offre una risposta esauriente alla domanda fondamentale posta dal titolo, Perché Dante?, mediante una disamina critico-analitica di tutti gli scritti canonici dell’Alighieri. Perché Dante è una versione interamente riveduta e aggiornata di Understanding Dante (University of Notre Dame Press, 2004), di cui Piero Boitani formulò il seguente giudizio, pubblicato nel 2005 su Il Sole e 24 Ore: «Scott porta alla critica dantesca il sapiente equilibrio che gli viene da una vita dedicata al poeta, della cui opera traccia un bilancio dettagliato, esauriente, suggestivo e di chiarezza esemplare: la migliore introduzione complessiva all’autore della Commedia che si possa leggere ai nostri giorni». Tale giudizio è stato ribadito da Matthew Treherne sul Times Literary Supplement del 23 giugno 2006 («the richest and clearest account in any language of Dante’s oeuvre»). Dopo gli studi compiuti a Oxford (Paget Toynbee Dante Prize, Oxford University, 1956), John Scott inaugurò un pionieristico programma di italianistica presso l’Università di Bristol. In seguito, è stato docente d’italiano presso l’Università di California a Berkeley, l’Università della British Columbia (Vancouver), l’Università di Reading (Inghilterra) e, dal 1978, The University of Western Australia (Perth). Autore di numerosi saggi danteschi – e, in particolare, di Dante magnanimo (1977), Dante’s Political Purgatory (1996), Understanding Dante (2004) –, Scott è membro della prestigiosa Australian Academy for the Humanities. Nel 2000 è stato eletto Honorary Life Member of the Dante Society of America. Attualmente, è Professore Emerito e Honorary Senior Research Fellow presso The University of Western Australia.

FONTE: aracneeditrice.it

sabato 20 marzo 2010

Le mostre da Milano ad Agrigento: Goya, Modì e Pirandello


E rassegna di arte contemporanea tra le imponenti rovine delle Valle dei Templi di Agrigento


A Milano i capolavori di Goya e degli artisti che in due secoli si sono ispirati al suo genio, nella vicina Gallarate dipinti e disegni di Modigliani per la nuova sede del Maga, a Roma il periodo d'oro di Fausto Pirandello sono le mostre di maggior rilievo che si aprono nel week end, che vede anche una rassegna di arte contemporanea tra le imponenti rovine delle Valle dei Templi di Agrigento.
MILANO - Oltre 180 opere, tra dipinti, incisioni e disegni, raccontano a Palazzo Reale il genio di Goya e l'influenza da lui esercitata sugli artisti più importanti degli ultimi due secoli, tra cui Delacroix, Klee, David, Kokoschka, Mirò, Picasso, Bacon, Pollock, Guttuso, De Kooning. Intitolata Goya e il mondo moderno, l'importante rassegna si articola in 5 sezioni e filoni tematici. Tra i capolavori esposti, si possono ammirare l'Autoritratto di Goya del Prado, affiancato a quello di Delacroix degli Uffizi, mentre le raffigurazione del Re Carlo IV e della Regina Maria Luisa, sono in dialogo con la splendida Mujer con mantilla di Pablo Picasso. A rappresentare i suggestivi squarci di vita quotidiana ci sono, sempre di Goya, L'arrotino e La lattaia di Bordeaux, Lampo nero di Paul Klee e Donna e uccelli nella notte di Joan Mirò.
GALLARATE (MILANO) - Con un omaggio al genio di Amedeo Modigliani, si inaugura il 19 marzo la nuova sede del Museo d'Arte di Gallarate (Maga), nato dalla storica Galleria Civica. Intitolata Il Mistico Profano, la mostra presenta una ventina di celebri dipinti e 50 splendidi disegni del maestro livornese, provenienti da importanti collezioni internazionali. Ad aprire l'esposizione, ecco Stradina toscana, dipinta a Livorno nel 1889, cui fanno seguito i capolavori della maturità creativa: i ritratti come quelli di Paul Guillaume del 1916, e di Moise Kisling (1915) da Brera, i nudi scandalosi e celebrati, tra cui il Nudo sdraiato (1918-1919) della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e il Nu couché (1917) della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, icona dell'esposizione. Tra i disegni, meravigliosi studi di teste e la serie delle Cariatidi. 

ROMA - L'unico ritratto del celebre padre, la Siccità, che fece arrabbiare Mussolini, i Ranocchi, con la tela dimezzata perché la parte inferiore servì a chiudere una finestra in tempo di guerra, la meravigliosa Gioventù e le nature morte, con gli oggetti sparpagliati "come pesci sulla rena": il periodo d'oro di Fausto Pirandello, quello delle Quadriennali del 1935 e 1939, è in mostra da oggi alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna per un omaggio a uno dei grandi maestri italiani del '900. In tutto 44 opere, alcune mai piu' viste, che riemergono da prestigiose raccolte private, oltreché dalle collezioni di importanti musei per fare nuova luce critica con il pittore che, in vita e dopo la morte, ha dovuto sempre fare i conti con la figura soverchiante di un padre divenuto un mostro sacro della letteratura mondiale e con lui mai tenero e comprensivo nei giudizi. Prostrato anche dalla malattia della madre, accudita con tenerezza, la formazione di Fausto non fu serena e la maturità segnata da un conflitto mai sopito. 

VALLE DEI TEMPLI (AGRIGENTO) - Il segno contemporaneo per finanziare il restauro del Tempio di Zeus nella Valle dei Templi di Agrigento. Da oggi al 3 ottobre cinquanta opere, tra cui capolavori di Carla Accardi, Mirko Basaldella, Giacomo Manzù, Francesco Messina, Emilio Greco, Daniel Spoerri, sono allestite tra il Tempio della Concordia, la Necropoli e Villa Aurea del sito archeologico, patrimonio Unesco, per poi essere battute all'asta autunnale di Christies, a Milano. Con il ricavato, sarà possibile avviare l'intervento di tutela e anastilosi del Telamone del Tempio di Zeus. Gli artisti coinvolti nell'iniziativa sono tra i protagonisti della scena internazionale e hanno donato interamente o parzialmente una loro opera sia per il recupero del Tempio di Zeus, sia per costituire un percorso straordinario nell'area archeologica, dove i diversi siti, per la durata della mostra, saranno visitabili in via eccezionale anche nell'interno.

FONTE: ansa.it

venerdì 19 marzo 2010

Tefaf, 2 miliardi di opere in mostra



La straordinaria qualità delle opere esposte a Maastricht ormai non fa più notizia. Per questa 23° edizione di Tefaf (The European Fine Art Foundation) i pezzi da oltre 1 milione di euro si sprecano. Le cifre parlano chiaro: disseminati tra poco più di 15mila metri quadrati di fiera, 263 tra i migliori mercanti d'arte del mondo, offrono migliaia di opere d'arte per un corrispettivo di circa 2 miliardi di euro. Bisognerà attendere il 21 marzo per sapere quanti di questi pezzi finiranno tra le mura di un museo o tra le opere di autorevoli collezioni private, certo è che l'anno passato sono transitati per fare shopping 225 curatori di musei e che il 18% dei 67.818 visitatori del 2009, ha dichiarato di aver acquistato almeno un'opera. Quest'anno, la giornata destinata ai Vip, arrivati su invito da Europa, Asia e America, affollando di jet privati il piccolo aeroporto della cittadina olandese e riempiendo tutti i 2mila posti letto disponibili nel raggio di 20 chilometri, ha presentato un inedito quanto insolito colpo di scena. Per sette lunghissimi minuti, attorno alle 14 di giovedì 11, un black out elettrico ha sprofondato nel buio tutti gli stands, creando panico non solo negli addetti alla sicurezza ma soprattutto negli espositori. Chi aveva attaccato a un chiodo un Botticelli da 10 milioni di euro, oppure un rarissimo ritratto di George Washington dipinto nel 1822 dall'artista americano Gilbert Stuart da 5 milioni di dollari, oppure un Gauguin da 18 o un Munch da 9,5 milioni di euro, si sarà senz'altro allarmato. Certo non si è preoccupato il proprietario del The Little Piggy Went Home, un maialino in formaldeide, realizzato nei primi anni della brillante carriera artistica di Damien Hirst, difficilmente asportabile nonostante la stima di 8,8 milioni di euro. Anche uno dei mobili più cari in mostra, il magnifico letto a baldacchino in stile Impero, appartenuto a Talleyrand, offerto a 380mila euro, ha solo rischiato che qualcuno ci si addormentasse sopra. Il numero record di espositori di quest'anno, include 22 nuovi partecipanti, presenti soprattutto nella nuova sezione "Tefaf on paper". Gli italiani, Altomani & Sons, Gianmaria Buccellati, Bulgari, Alessandro Cesati, Alberto Di Castro, Alessandra Di Castro, Rita Francsaly, Cesare Lampronti, Silvano Lodi, Moretti, Domenico Piva e Voena & Robilant, hanno confermato la loro presenza presentando opere inedite e di notevole interesse che hanno come sempre attirato i più noti curatori di museo. "Tefaf on paper", situata al piano superiore, dove l'anno passato c'era il dipartimento design, tornato oggi accanto agli stand di Arte Moderna, rappresenta un'importante aggiunta alla già eccezionale offerta di questa fiera. Per la prima volta infatti è presente un'intera sezione, con ben 19 mercanti presenti, dedicata a disegni antichi, moderni e contemporanei, libri, manoscritti, stampe giapponesi, serigrafie, miniature islamiche e fotografie d'epoca. Tra queste ultime, che rappresentano un mercato in rapida e continua ascesa, va segnalata la foto più importante della mostra, un'inedita stampa in resina pigmentata del compositore tedesco Richard Strauss scattata nel 1904 da Edward Steichen, in vendita a 420mila euro. Tra i disegni, ricordiamo invece quello in gesso, realizzato da François Boucher. Si tratta di Charlotte Sparre che tiene una tazza di caffè, in vendita attorno a 400mila euro. Infine, attendendo i primi risultati, c'è da rilevare una tendenza, legata forse al rilievo dato alla nuova sezione Paper.  Negli stand dedicati alla pittura antica, si è notata una singolare presenza di opere trompe-l'oeil francesi, fiamminghe e italiane a prezzi elevati ma anche interessanti. Segnaliamo una bella tela di Antonio Cioci (1700c.-1792c.) e una del francese Thomas Germain Duvivier (1735-1814), buon allievo di Chardin, entrambi a 120mila euro, mentre un ottimo Edwaert Collier (1633-1708) è offerto a soli 83mila euro. Di grande qualità, ma di epoca posteriore è anche il trompe-l'oeil con vanitas e crocifisso di bronzo, firmato da Prospero Mallerini nel 1827, in vendita a 141mila euro, da non perdere, infine, l'eccezionale coppia di Sebastiano Lazzari, datata 1747, per la quale si chiedono 160mila euro.

FONTE: Giovanna Poletti (ilsole24ore.it)

martedì 16 marzo 2010

Orologi, all'asta vintage di Patrizzi pendola di Cartier battuta a 250.000 dollari



“L’asta nel suo insieme è andata bene. Sono stati venduti due orologi su tre, e direi che questa volta chi ha fatto la parte del leone sono stati Cartier, Rolex e Patek”. Parola di Osvaldo Patrizzi, presidente di Patrizzi & Co Auctioneers, che ha commentato a IGN, testata on line del gruppo Adnkronos, l’asta dedicata agli orologi vintage ‘Timeless Emotions’, che si è svolta il 9 marzo a New York e che è stata seguita in tutto il mondo via internet e telefono. In realtà, spiega Patrizzi, “le vendite americane, a differenza delle europee, hanno sempre pochissima gente in sala, e molti on line. Muoversi a New York è una perdita di tempo, chi non è nella zona non viene, preferisce collegarsi o utilizzare il telefono. E’ una pratica – afferma - sempre molto attiva”.
Così, proprio grazie alla possibilità di collegarsi per partecipare, a comprare di più sono stati gli utenti europei. “Direi un 50% di acquirenti dall’Europa, un 40% dall’America. Il restante dall’Oriente”, spiega ancora Patrizzi. Non trova molto spazio questo genere di aste nel mercato arabo e islamico: “Là c’è più interesse per il nuovo. A parte qualche caso, sono persone che comprano l’orologio nuovo, estremamente caro, importantissimo, ma non l’orologio da collezione vintage”.
Nell’evento del 9 marzo a strappare il prezzo più alto è stata una pendola di Cartier. “Ha fatto 250.000 dollari – indica Patrizzi – questa pendoletta molto bella, molto interessante, simpatica e rara tra l’altro, in nefrite con calendario. Era l’oggetto più raro presente nel lotto”. Mentre tra gli orologi da polso, aggiunge, “quello che ha fatto di più è stato il Celestiale di Patek Philippe, battuto per 180.000 dollari”.
A interessare i presenti, però, sono state anche altri tre oggetti. “Il magnifico Louis Cartier del 1929 in platino, che ha fatto 135.000 dollari, venduto in Europa. E poi due orologi da tasca sempre di Cartier, un ripetitore minuti che ha praticamente doppiato la sua stima, e un orologio da sera, da taschino, in cristallo di rocca e rubini intorno alla cassa, anche lui che ha doppiato il suo valore, ottenendo un certo interesse durante la vendita all’asta”.
A colpire Osvaldo Patrizzi è stato in particolare il Louis Cartier in platino: “Io non ne avevo mai visti di così belli, integri in questo stato di quell’epoca, è del 1929 e sembra uscito dieci giorni fa. Il cliente quando l’ha visto si è innamorato e ha detto ‘lo voglio, lo voglio e basta’”.
La clientela di Patrizzi è una clientela selettiva come ha confermato l’andamento dell’asta di New York: “Sono andati molto bene gli orologi da tasca. Ci rendiamo conto che abbiamo una clientela più portata all’orologio di una certa cultura, piuttosto che all’orologio di massa. Una clientela abbastanza selettiva che cerca l’oggetto raro sia nel polso, che nella tasca che nella pendola”.
Patrizzi & Co. darà vita a Milano, dal 9 all’11 aprile, una Silent Auction, un’asta silenziosa. Un’invenzione della casa che prevede l’allestimento in una delle sedi di una vera e propria mostra di orologi, durante la quale sarà possibile fare offerte dopo aver visto gli oggetti in vendita, eliminando tutta la frenesia di un vero e proprio incanto. “L’asta silenziosa l’abbiamo creata noi – racconta Patrizzi - per dare interesse a chi viene all’esposizione, potendo vedere oltre a quello che è illustrato nel catalogo, anche quegli orologi che per il fatto che sono ad esempio arrivati tardi non sono stati messi in catalogo. Dà più possibilità a chi è amatore di questi oggetti di poter vedere le cose e scegliere con più calma. Dura tre giorni – aggiunge - c’è un rilancio che viene fatto automaticamente. Trovare una cosa che non è stata vista da tutti, che non è stata illustrata su un catalogo ma che è un vero inedito dà soddisfazione maggiore”, conclude Patrizzi.

FONTE: adnkronos.it

domenica 14 marzo 2010

Roma, ai Musei Capitolini il fascino dell'arte greca


Con 'L'Età della conquista' la mostra con i capolavori dell'arte antica, provenienti dai maggiori Musei europei. Si può visitare dal 13 marzo al 5 settembre

L’arte greca arriva a Roma con una grande mostra allestita ai Musei Capitolini su 'L’Età della conquista', il primo appuntamento della rassegna quinquennale che intende raccontare 'I giorni di Roma'. Dal 13 marzo al 5 settembre capolavori dell’arte antica provenienti dai maggiori Musei europei “per raccontare il percorso di Roma, che si affaccia nel Mediterraneo da vincitrice ma ne rimane vinta, conquistata dall’arte, dalla filosofia, dalla letteratura”, spiega Umberto Broccoli sovrintendente di Roma. “Una mostra pensata per il grande pubblico – aggiunge Broccoli– per avvicinarlo alla nostra storia”. Un'operazione che ha tenuto conto della chiarezza e della semplicità delle didascalie che raccontano e accompagnano tutto il percorso della mostra che, secondo l’assessore alla Cultura del Comune di Roma Umberto Croppi, “conferma e consolida una idea che abbiamo più volte espresso e che è una delle idee portanti che vogliamo realizzare: restituire alla storia di Roma un valore e una dignità che la emendano da quella idea stereotipata di una Roma guerresca, arrogante a volte ridicola. Roma – continua l’assessore – è stata anche una potenza ma è stata soprattutto una civiltà che ha costruito spesso dal nulla un intero sistema culturale, sociale e giuridico”.

Costata circa un milione di euro, la mostra espone imponenti statue in marmo, raffinate opere in bronzo e terracotta, interi cicli scultorei, fregi ed elementi di arredo domestico in bronzo e argento, del più alto valore stilistico, per narrare un’epoca di profondi cambiamenti nei canoni stilistici e sul gusto estetico della Roma antica. Un periodo in cui l’influenza ellenica diventa preponderante fino a coinvolgere completamente il mondo culturale romano. “Roma ha reso universale il linguaggio e l’arte greca” spiega Eugenio La Rocca che insieme a Claudio Parisi Presicce ha curato la mostra. Infatti, 'L’Età della conquista' parte dal momento di formazione dell’Impero romano, quando Roma espande progressivamente il proprio controllo su tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna alle coste dell’Asia Minore. Arrivano a Roma, al seguito dei condottieri, un gran numero di artigiani greci, architetti, precettori, medici e artisti. Si verificò così una rapida ellenizzazione dell’Urbe anche attraverso la commistione di modelli greci e romani, come nel caso di uno dei templi di largo Argentina: un edificio circolare, tipicamente greco, costruito tuttavia su un alto podio come consuetudine italica. La mostra si compone di quattro sezioni. Nella prima dal titolo ‘Dei e santuari’, sono esposti fregi e frontoni in terracotta provenienti da alcuni templi.
Per la prima volta, all’interno del medesimo percorso espositivo, si potranno confrontare opere di artisti greci, eseguite in Grecia, accanto a opere di grandi artisti eseguite a Roma, come statue di culto dei templi eretti per le grandi vittorie su commissione dei generali. La seconda sezione ‘monumenti onorari’, dà risalto alla figura del generale vincitore, generalmente in abiti militari, corazza, mantello e lungo scettro. Si diffondo nel mondo italico soluzioni figurative nuove: i corpi sono nudi, in posa autorevole. Nella sezione ‘Vivere alla Greca’ viene messo in risalto il gusto greco del vivere in ogni ambito. In mostra anche gli arredi domestici come candelieri. Tavoli, crateri, vasellame prezioso e statue provenienti dal Museo di Palestrina e dalla casa di Giulio Polibio a Pompei, al Museo di Napoli. Infine, la quarta sezione, è riservata ai Costumi funerari, in cui i romani appaiono meno influenzati dal fascino ellenico rispetto a tutti gli altri aspetti della vita pubblica e privata. Sembrano infatti rimanere legati alla propria tradizione continuando a mostrarsi ancora orgogliosamente avvinti nelle pieghe delle loro toghe, simbolo stesso della cittadinanza romana.

FONTE: adnkronos.it

venerdì 12 marzo 2010

Talent Prize 2010 Premio Arti Visive



La terza edizione del Talent Prize è stata presentata stamattina nella Sala rossa della Fondazione Roma, fin dall’inizio promotrice dell’evento insieme alla Guido Talarico editore, con l’importante partnership del Comune di Roma e con tre sponsor d’eccezione: oltre alla stessa Fondazione Roma (main sponsor), anche Editalia del gruppo Poligrafico e Zecca dello Stato e il Gruppo Sole 24ore.

La giuria è composta da prestigiose conferme e new entry d’eccezione: Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione Roma e dell’Azienda speciale Palaexpo; Luca Massimo Barbero, direttore del Macro; Eduardo Cicelyn (per la prima volta in giuria), direttore del Madre di Napoli; Alberto Fiz, direttore artistico del Marca di Catanzaro; Anna Mattirolo, direttrice del Maxxi arte; Ludovico Pratesi, direttore artistico di Palazzo Fabroni; Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente della fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino; Guido Talarico, editore e direttore di Inside Art; Gianluca Winkler, direttore generale dell’Hangar Bicocca.

«Una giuria – ha commentato Talarico durante la conferenza stampa – che rappresenta al meglio i due sistemi dell’arte contemporanea italiana, quello pubblico e quello privato, per dare un contributo tangibile ai giovani talenti. Mi auguro per questa terza edizione di proguire sulla strada intrapresa e fare sistema, puntando anche a uno sbocco fuori dai confini nazionali». Un premio innovativo e di grande respiro.

«Noi giurati siamo spinti anche dalla curiosità e dal desiderio di conoscere la realtà del contemporaneo, vedere storie, nuove narrazioni», ha spiegato Barbero. «Il Talent è una piattaforma per conoscere, scoprire e premiare la giovane arte italiana», ha aggiunto Pratesi.

Piena soddisfazione anche dell’assessore alla cultura capitolina Umberto Croppi: «Un premio originale concepito non come mera gratificazione, ma come occasione di emersione del talento. Un'occasione unica, che attraverso l'autorevolezza dei giurati, il sostegno prestigioso di un sistema editoriale, può immettere fin da subito giovani sullo scenario autorevole di spazi istituzionali».

Anche quest’anno il Talent prize sarà curato da Nicoletta Zanella: «E per la terza edizione – assicura – l’iniziativa ha confermato la sua utilità e serietà».

Il premio è aperto a tutti gli artisti, nati a partire dal 1971 e residenti in Italia, che vogliano presentare una loro opera originale di pittura, scultura, fotografia o video.
In palio 10mila euro, una mostra (negli spazi della Centrale Montemartini, anche se, come dice Croppi, non si escludono altri luoghi istituzionali del Comune di Roma a partire dalla prossima edizione) un catalogo, articoli pubblicati sulla rivista Inside Art, sia cartacea che web, e tanta visibilità.

A questa terza edizione si aggiungono, inoltre, il premio speciale della Fondazione Roma, il riconoscimento della redazione di Inside Art e una votazione online aperta a tutti.

Per inviare il materiale c’è tempo fino al 15 giugno. La partecipazione è gratuita.

Tutte le informazioni, il bando e la domanda di partecipazione sul sito ufficiale
www.talentprize.it e sul portale della rivista Inside Art, www.insideart.eu

giovedì 11 marzo 2010

L'Armory rivitalizza New York



È in corso a New York la dodicesima edizione dell'Armory Show, la fiera per l'arte moderna e contemporanea che ogni anno trasforma i moli dell'Hudson River in un luogo d'incontro per i protagonisti della scena artistica americana. Rispetto all'anno passato la fiera si presenta in espansione con un deciso aumento del numero degli espositori, 289 da 31 paesi. L'atmosfera è molto più vivace rispetto alla scorsa edizione, che era stata colpita dalla crisi. Il clima è di ripresa, con parecchie vendite registrate già il primo giorno, corridoi affollati, e un elevato numero di collezionisti tra i visitatori. In sensibile crescita anche il numero delle manifestazioni parallele: oltre all'Art Show organizzato dalla Art Dealers Association of America, che ha spostato le date per coincidere con l'Armory, sono ben dieci le fiere parallele, di cui tre si tengono per la prima volta. L'aumento delle fiere può stupire se si pensa alla recessione, ma si spiega d'altra parte proprio con il calo degli affitti e la maggior disponibilità di spazi. 

Sebbene non brillino le novità, la risalita del mercato si rispecchia nelle scelte delle gallerie, che presentano da un lato opere eccentriche e colorate, quali quelle di Nancy Chunn da Ronald Feldman Fine Arts di New York, dall'altro mini-mostre personali che rivelano una recuperata fiducia nel mercato. La scelta del "solo show" è stata fatta soprattutto da gallerie locali, che in caso d'interesse dell'acquirente hanno comunque il proprio magazzino a disposizione o possono invitare i clienti in galleria. Un esempio è quello di David Zwirner, che mostra fotografie di Philip-Lorca di Corcia, tra cui una serie di polaroid a 4mila $ l'una, di cui una trentina sono state vendute il primo giorno. 

Stand dedicati a un solo artista, questa volta su invito dell'organizzazione, anche nella sezione dedicate alla scena artistica berlinese, una novità di quest'anno che ritornerà nelle prossime edizioni proponendo focus tematici o geografici. La scelta di Berlino deriva dalla sua reputazione di città "povera ma sexy" (famosa definizione del sindaco Klaus Wowereit), che viene associata dalla direttrice della fiera Katelijne De Backer alla scena newyorchese degli anni '90.  Molte gallerie hanno puntato sugli artisti e le opere selezionate dai curatori Francesco Bonami e Gary Carrion-Murayari per la 75esima edizione della Whitney Biennial, in corso fino al 30 maggio, con ottimi risultati: Kavi Gupta Gallery presenta un'opera fotografica di Curtis Mann della stessa serie esposta al museo, venduta il primo giorno per 22mila $; Ibid Project di Londra offre i bastoni di David Adamo, intagliati fino a diventare strumenti fragili e inutili (5mila $) e opere di Marianne Vitale; Derek Eller Gallery presenta Jessica Jackson Hutchins, Pierogi (Brooklyn) Dawn Clements e Tanya Leighton e i video di Sharon Hayes. 

L'Art Show dell'ADAA, pur essendo di dimensioni molto minori, spicca per la qualità museale delle opere. La fiera vanta essere la più antica fiera di New York, da 22 anni nell'elegante location dell'armeria di Park Avenue. Dei 70 espositori, molti presentano mostre personali e curate, tra cui William Kentridge da Marian Goodman, fino al maggio in mostra al MoMA, Matt Johnson alla Blum & Poe di Los Angeles, che partecipa per la prima volta, e Alighiero Boetti da Sperone Westwater. Assoluto highlight della fiera è una mostra di disegni dei due maestri Gustav Klimt e Egon Schiele, che la Galerie St. Etienne ha organizzato per celebrare il suo 70esimo anniversario ed è stata molto apprezzata da pubblico (prezzi da 700mila $ a poco meno di un milione).

FONTE: Silvia Anna Barrilà

lunedì 8 marzo 2010

Da Avatar a Sakamoto. L'estetica sposa il digitale



A Roma, il nuovo spazio della Pelanda dell'ex Mattatoio ospita la grande mostra tra arte e scienza. Tra i dodici artisti coinvolti, spicca il compositore premio Oscar Ryuichi Saakamoto con le sue "architetture" sonore per nove acquari di cristallo


Lo spazio è d'un buio pesto che quasi ci si muove a stento. Sospesi a mezz'aria (in realtà sono esattamente due metri e quaranta centimetri da terra) appaiono nove acquari quadrangolari di cristallo, pieni d'acqua con relativi effetti di nebbia artificiale. Il punto d'osservazione diventa obbligato, esattamente sotto ciascun modulo "acquatico", che si rivela essere uno schermo dove filtrano dall'alto proiezioni surreali e visionarie, del tutto ipnotiche e suggestive, tra spezzoni di film, sequenze di numeri e parole, movimenti di luci. Nulla è caotico o casuale, ma frutto di una sincronizzazione sofisticata che evita qualsiasi ripetizione, in modo che lo spettatore abbia sempre uno spettacolo diverso, da acquario ad acquario. Non solo di immagini, perché ogni cubo d'acqua ha la sua "variazione stereofonica" che si ricompone e si ricombina secondo il processo vitale di un'architettura sonora zen, che sembra placare anche l'animo più irrequieto.
È "Life-Fii (fluid, invisibile, inaudibile)" l'installazione multisensoriale del grande compositore giapponese premio Oscar Ryuichi Sakamoto, sensei, ossia "maestro" come lo chiamano tutti, firmata in tandem col videoartista Shiro Takatani, incentrata sul tema ambizioso della "vita nel presente contemporaneo". Opera che per la prima volta esce fuori dal Giappone per sbarcare a Roma e impreziosire la bellissima mostra-evento "Digital Life" ospitata alla Pelanda, nuovo grandioso spazio di archeologia industriale (il nome deriva dal luogo dove si pelavano i maiali) ricavato dal Mattatoio di Testaccio con un complesso intervento di restauro fortemente voluto dal Comune di Roma, durato tre anni e tredici milioni di euro. Ideata e organizzata dal Romaeuropa Festival, fortemente voluta e sostenuta dall'assessorato capitolino alla Cultura, la mostra curata da Richard Castelli  diventa un percorso "esperienziale" delle ultime frontiere del digitale all'insegna dell'immersività  dove il pubblico, fino al 2 maggio, si ritrova catapultato in installazioni rigorosamente hi-tech firmate da dodici illustri artisti contemporanei. 


Fil rouge è quello di offrire una complessità di visione e di esperienze, ma soprattutto di lasciar intuire al pubblico "una visione senza complessi del futuro  -  come dice Castelli  -  che porterà all'abbandono di cornici, quadri, schermi che hanno condizionato la nostra visione dalla fine della preistoria e delle sue grotte dipinte e vedrà lo sviluppo di nuovi supporti in tutti i sensi della parola". Cuore di questo futuro "senza gravità", come dice il curatore, è inevitabilmente l'incontro tra artisti e spazio. 

A tal proposito commenta sensei Sakamoto: "La Pelanda è un luogo favoloso, per noi è un sogno che si è avverato mostrare proprio qui l'installazione. L'opera è la stessa concepita in Giappone ma vederla qui, installata in questo spazio, ha avuto un forte impatto su di me. La Pelanda mi sembra la cosa più bella che c'è in questa mostra. Il lavoro  -  racconta Sakamoto  -  prende le mosse dai presupposti tematici e i materiali raccolti nel 1999 per l'opera Life, che doveva celebrare in un certo senso i lutti e le oscurità depositate nelle pieghe della memoria del '900. Tre anni fa con Takatani ci siamo messi insieme a decostruire quel lavoro, utilizzando i vari materiali per riformulare questa installazione di oggi. Siamo orgogliosi del risultato perché siamo riusciti a creare qualcosa di nuovo, un'esperienza innovativa per il pubblico. La mia idea è infatti quella di liberare suono e musica dalla realtà del tempo, musica e suono sono liberi per la prima volta di muoversi al di là della dimensione temporale". 

E nell'era di "Avatar", il kolossal di James Cameron, lo show di "Digital Life" segna l'apoteosi della ricerca tecnologica applicata all'arte visiva, dove domina un nuovo sistema audiovideo in 3D, Avie (che sta per Advanced Visual Interactive Environment), che tradotto significa che con Avie in pubblico dotato di appositi occhialini è calato in un ambiente cinematografico interattivo e immersivo a 360 gradi grazie a immagini combinate da più proiettori e suoni da fonti diverse. La chicca è che grazie ad un sistema di cineprese a infrarossi, in tempo reale un software genera elabora degli "avatar" del pubblico all'interno dell'ambiente immersivo, interagendo con esso. A potenziare l'applicazione di Avie nelle arti visive è l'australiano Jeffrey Shaw che firma la sua installazione su uno schermo cilindrico di quattro metri d'aktezza e dieci di diametro sul quale si divertono a combinare le immagini "reattive" con dodici proiettori. 

A esplorare le potenzialità di Avie ci sono anche il francese Jean Michel Bruyère, e il tedesco Ulf Langheinrich. Altri virtuosismi hi-techi li offre la straordinaria "Ondulatio", firmata da Thomas McIntosh, Emmanuel Madan e Mikko Hynninen, dove in una grande vasca d'acqua, le onde si increspano sulla base di una partitura musicale, mentre Erwin Redl porta "Matrix", un nome un programma, dove lo spettatore è immerso in un'architettura ambientale fatta di luci. Raffinatissimo, il lavoro "Mom" di Christian Partos, apparentemente un ritratto a mosaico della mamma, in realtà una composizione di cinquemila specchi rifrangenti opportunamente illuminati per creare l'effetto immagine del volto. Fino all'italiano Maurizio Martusciello, in arte Martux_M che gioca con modulazioni audio-video abbinate a musica techno, e Julien Maire che combina video, fotografia e macchina per creare sculture.

Notizie utili - "Digital Life", dal 3 marzo al 2 maggio 2010, Pelanda, piazza Orazio Giustiniani, 4, Roma. La mostra è ideata e organizzata dal Romaeuropa Festival.
Orari: martedì-venerdì 16-24, sabato-domenica 12-24.
Ingresso: intero 6 euro, ridotto 4 euro.
Informazioni: 060608, www.romaeuropa.net

venerdì 5 marzo 2010

Riemerge un gioiello del '600: ritrovata la corona di Vittoria della Rovere

Riemerge dalle pieghe della storia, e ritorna visibile dopo secoli, un preziosissimo capolavoro d'oreficeria ritenuto perduto, "vittima" delle razzie napoleoniche. E' la corona (nella foto) che Vittoria della Rovere, moglie del granduca Ferdinando II de' Medici, fece realizzare nel 1685 per donarla alle Suore Carmelitane di Borgo Pinti, a Firenze, quale segno della sua devozione per Maria Maddalena de' Pazzi.

La bellissima corona è stata rintracciata, insieme ai documenti che ne testimoniano committenza e caratteristiche, dallo studioso fiorentino Piero Pacini, il quale ne dà notizia in un articolo di approfondimento, corredato da fotografie a colori, sul nuovo numero di "Medicea. Rivista interdisciplinare di studi medicei", appena uscito in edicola e nelle librerie, diretta da Marco Ferri e Clara Gambaro.
Studioso della santa fiorentina, Pacini afferma che la corona - appartenente al patrimonio ecclesiastico, ritrovata in un convento a Firenze, di cui per ora non è stato reso noto il nome - è stata rintracciata dopo più di un secolo di assoluto silenzio e oggi, per la prima volta, sul quadrimestrale dedicato alla dinastia Medici si possono vedere le immagini di questo prezioso capolavoro di oreficeria.
Alcuni dettagliati documenti, scoperti nell'archivio delle Carmelitane di Careggi, hanno permesso allo studioso di ricostruire passo dopo passo la fattura di questo straordinario manufatto artistico che Giovanni Comparini e Giuseppe Vanni - i due orafi più richiesti della famiglia medicea - realizzarono utilizzando ben 30,12 once d'oro. Queste servirono per creare, con lavorazione a filigrana, la corona che venne tempestata di 655 gioie (tra cui 412 diamanti, 80 smeraldi e 114 rubini) per un costo totale di 1800 scudi, che al cambio attuale significherebbero diverse centinaia di milioni di euro.
Nel suo articolo, Pacini aggiunge che la "riscoperta" dell'oggetto, e della relativa documentazione, sono utili sia per valutare il mecenatismo e l'attitudine religiosa della Granduchessa, sia per ricomporre la storia dell'arte della filigrana e dell'oreficeria a Firenze. Infatti, vanno considerate la dispersione e la distruzione delle corone granducali e della maggior parte di quelle aggiunte alle immagini sacre, dalle quali fortunatamente il "dono" di Vittoria della Rovere a Santa Maria Maddalena de' Pazzi si è miracolosamente salvata.

FONTE: adnkronos.it

martedì 2 marzo 2010

Bronzi di Riace, dagli abissi del mare a patrimonio mondiale dell'umanità


Da sempre ammirati da esperti d'arte e cittadini comuni, i Bronzi di Riace si apprestano a diventare patrimonio mondiale dell'umanità.Nei giorni scorsi a Reggio Calabria è stato preso un impegno solenne da parte della delegazione Unesco Valencia, che ha compiuto una visita nella città dello Stretto. La firma è avvenuta a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria, dove i due guerrieri si trovano sottoposti a un delicato restauro. L'occasione, nata da una iniziativa promossa personalmente dal professore Massimiliano Ferrara, prorettore vicario dell'Università per Stranieri 'Dante Alighieri' e presidente del corso di laurea in Scienze Economiche della 'Mediterranea' di Reggio Calabria, è coincisa con il momento conclusivo della terza edizione del 'Magister Artis', un corso formativo di altissimo livello in materia di beni culturali realizzato con il patrocinio dell'Imac (Istituto Mediterraneo di Arte Classica presieduto dal professor Guglielmo de' Giovanni Centelles) e dei vertici Unesco della città spagnola, rappresentati a Reggio dal direttore Josè Manuel Girones Guillem.
I Bronzi di Riace rappresentano la città di Reggio Calabria e sono punto di riferimento per la regione intera per quanto riguarda le testimonianze storico-culturali della terra che fu chiamata Magna Grecia. Custoditi fino al dicembre scorso nel Museo di Reggio Calabria, ora si trovano in una teca allestita appositamente a Palazzo Campanella, dove sono sottoposti a un'attività di restauro in attesa del completamento dei lavori del Museo, la cui realizzazione terminerà non prima del 2011.
L'ipotesi di trasferimento delle statue a Roma per il restauro, paventata lo scorso anno, ha provocato una forte levata di scudi nella città di Reggio Calabria, i cui rappresentanti istituzionali si sono battuti per non lasciar partire i Bronzi nonostante le rassicurazioni sulla sicurezza del trasporto. In particolare, il presidente del Consiglio regionale Giuseppe Bova ha messo a disposizione un'ala della sede dell'assemblea legislativa calabrese curandone l'allestimento ottimale. In questo modo le statue bronzee sono rimaste nella città di Reggio Calabria, consentendo alla Regione di poter attirare visitatori attratti dall’interessante movimento scientifico sulle tecniche di restauro del laboratorio 'aperto' che permette di poter seguire in diretta, e fase per fase, i lavori di restauro.
Per farne ammirare la bellezza ai potenti della terra, è stata avanzata anche l'ipotesi del trasferimento al G8 ospitato dall'Italia e che avrebbe dovuto svolgersi nell'isola della Maddalena prima del trasferimento all'Aquila dopo il dramma del terremoto. Ma il timore di comprometterne l'integrità e la forte contrarietà dei reggini, ha fatto desistere dall'idea.
I Bronzi di Riace sono stati recuperati il 16 agosto 1972 al largo di Riace Marina, sulla costa Jonica reggina. Le statue, alte due metri, rappresentano guerrieri greci nudi, con una perfezione estrema dei muscoli che gli scultori greci sapevano rendere. La posizione delle braccia e delle mani indica che in mano tenessero una lancia e uno scudo, mai ritrovati. L'origine si fa risalire al V secolo a.C., e probabilmente erano contenute in un carico che dalla Grecia stava giungendo a Roma.
Tanto belli e 'potenti' nell'aspetto, quanto bisognosi di cure e attenzioni, a causa del deterioramento del bronzo, sottoposto all'erosione dell'acqua salata fino a quando sono stati riportati in superficie, i Bronzi di Riace sono stati sottoposti immediatamente a un primo restauro a Reggio Calabria, poi dal 1975 al Centro di Restauro Archeologico della Sovrintendenza Archeologica di Firenze che si è concluso nel 1980.

FONTE: adnkronos.it

lunedì 1 marzo 2010

'Da Corot a Monet, la sinfonia della natura': dal 6 marzo a Roma.


Fino al 29 giugno al Complesso Vittoriano di Roma una prestigiosa esposizione che per la prima volta mette in relazione oltre 170 tra dipinti, opere su carta e fotografie d’epoca

Da Corot a Monet. La sinfonia della natura”, dal 6 marzo al 29 giugno al Complesso Vittoriano di Roma presenta una prestigiosa esposizione che per la prima volta mette in relazione le straordinarie innovazioni, attraverso cui gli Impressionisti rivoluzionarono la pittura tradizionale, con una comprensione più ampia della natura, della cultura e della modernizzazione del loro tempo. Oltre 170 opere tra dipinti, opere su carta e fotografie d’epoca, queste ultime mai esposte prima in Italia, ripercorrono l’evoluzione della rappresentazione della natura nella pittura francese dell’Ottocento, partendo dalle prime innovazioni ai canoni classici apportate dai pittori della Scuola di Barbizon, esplorando a fondo la rivoluzione degli Impressionisti, per arrivare al trionfo cromatico delle Ninfee di Monet.
Tanti prestigiosi musei di tutto il mondo, insieme ad importanti gallerie e collezioni private, hanno sostenuto questo ambizioso progetto. Tra gli altri il ‘The Art Institute di Chiacago’, il ‘The Metropolitan Museum of Art’ e ‘The New York public Library di New York’, ‘The National Gallery of Art’ e il The Corcoran Gallery of Art di Washington’, il ‘Toledo Museum of Art’, e ‘Kimbell Art Museum’, Museée Marmottan’ e ‘Biblioteque nationale de France di Parigi, ‘Musee Fabre di Montepellier’, e ancora ‘Hamburger Kunsthalle e The State Hermitage Museum.La mostra si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l’imponente ‘Vista dell’isola di Capri’ di Harpignies, dall’altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione.La Scuola di Barbizon comprende quegli artisti, tra cui Corot, Rousseau, Diaz de la Pena, Dupré e Daubigny, che a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, si stabilirono proprio a Barbizon, una località della foresta di Fontainebleau, dove cominciarono a disegnare e, talvolta anche a dipingere, en plein aire con un’attenzione particolare agli effetti transitori della luce e dell’atmosfera, pur mantenendo un notevole rispetto per la tradizione artistica, raffigurando scene rurali solitarie, oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale.La foresta di Fontainbleau, poco lontana da Parigi, rappresentava per i francesi dell’epoca un vero e proprio monumento naturale, da proteggere e preservare. Nelle opere degli Impressionisti appare, quindi, evidente questa nuova volontà di rappresentare una realtà che è frutto dell’equilibrio e della commistione indissolubile tra tutte le parti del mondo naturale. Prendendo spunto dagli sviluppi della scienza a loro contemporanea, come testimoniano in mostra alcune copie della rivista scientifica ‘La Nature’ di Gustave Tissandier e pubblicazioni del geologo radicale Elisee Reclus, i pittori impressionisti rappresentano ‘l’economia della natura’, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate. La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee di Monet, oggi chiamato ‘Grandes Decorations’, installato all’Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell’artista.

FONTE: adnkronos.com