lunedì 28 dicembre 2015

Con SubBrixia, l'arte scende in metrò

Con SubBrixia, l'arte scende in metrò


La metropolitana della città lombarda si trasforma in un museo di contemporanea con una “mostra diffusa” che si sviluppa in momenti temporali e spaziali diversi. Le prime cinque stazioni porteranno le firme di Marcello Maloberti, Rä di Martino, Francesco Fonassi, Patrick Tuttofuoco e Elisabetta Benassi


Se vi trovate nella metropolitana nella città leonessa d'Italia e vedete un cartello stradale con il suo nome (mi riferisco ai soliti che si incontrano alle porte di ogni centro abitato) che pende dal soffitto e con la scritta capovolta, non è opera di qualche impiegato pubblico impazzito, ma è un’istallazione d’arte. E’ proprio con l’intenzione di rendere un luogo pubblico di passaggio, uno spazio anche di riflessione e cultura, che è stato pensato il progetto intitolato SubBrixia, ideato e prodotto da Brescia Musei e Brescia Mobilità in collaborazione con il Comune di Brescia, che sta portando alcuni dei protagonisti della scena artistica italiana contemporanea ad interagire con la rete metropolitana della città, inaugurata nel 2013.

«Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone», scriveva Italo Calvino nelle sue “Città invisibili” e così sono varie le città che hanno pensato a un’arte che scende in metrò: esempi illustri non mancano dalla celebre metropolitana di Napoli a quella di Londra, per non parlare di quella di Stoccolma che con i suoi 110 km di lunghezza è considerata l’esposizione d’arte più estesa del mondo. La metropolitana di Brescia elegante e avveniristica nelle forma, è composta da 17 stazioni e percorre la città per una lunghezza complessiva di circa 14 chilometri, che piano piano si arricchiranno di opere. Tornando all’installazione con il cartello capovolto, ha titolo Brixia, ed è un’opera di Marcello Maloberti posta tra le due scale mobili della stazione metropolitana. L'idea del cartello stradale è strettamente legata al luogo, considerato porta della città. Si tratta di una scultura-oggetto che si sviluppa in verticale, tagliando orizzontalmente lo spazio, cadendo dall'alto come un lampadario. La scritta rovesciata rappresenta idealmente una seconda città, quella archeologica che si sviluppa sottoterra. Due città speculari, una che vive in superficie, l’altra antica sottoterra. Il progetto artistico è curato da NERO, che opera nel campo della cultura e delle arti contemporanee, in collaborazione con Fondazione Brescia Musei. Il progetto è stato realizzato anche grazie ai contributi del Progetto Moving Culture, del Fondo Regionale Expo 2^ fase, con il sostegno di Regione Lombardia e alla collaborazione di ATS Expo.

Un viaggio sotto terra con le diverse stazioni a simboleggiare i vari capitoli di un racconto che prende corpo nella realtà. Un libro aperto che indaga identità e linguaggi eterogenei. Nei prossimi mesi si aggiungeranno le opere di Francesco Fonassi, Patrick Tuttofuoco e Elisabetta Benassi. “Per Brescia è un’operazione importante e di ampio respiro, che spinge l’acceleratore sul futuro, poiché va a coinvolgere gli elementi tra i più propulsivi del suo territorio: la metro, che negli ultimi due anni e mezzo ha trasformato la geografia urbana con i suoi 15 milioni di viaggiatori all'anno e che quindi si trasforma, come in altre città, nel luogo ideale dell’arte contemporanea. Un progetto che potrà facilmente lanciare nuovi ponti con l’Europa e confermare il carattere internazionale di una città che sa sempre più e sempre meglio parlare una lingua che va oltre i propri confini e le proprie dimensioni”, sostengono con ragione gli organizzatori.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

sabato 26 dicembre 2015

L'Aquila. La rinascita dell'arte

L'Aquila. La rinascita dell'arte

A sei anni e mezzo dal sisma che ha distrutto il castello cinquecentesco che lo ospitava, rinasce il museo nazionale del capoluogo abruzzese. In attesa del completamento dei restauri nella sede originale, l'allestimento viene ospitato nell'ex mattatoio. Il via con il ministro Franceschini che promette un polo contemporaneo: "Chiederemo opere ai grandi artisti, vedremo chi oserà dire di no". In primavera anche la succursale del Maxxi, finanziata dalla Russia

"Quando apre un museo è sempre una festa, in questo caso la festa è doppia perché è stata anche vinta una sfida": con queste parole del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo Dario Franceschini, finalmente, da questa mattina l'Aquila ha di nuovo un museo. Si tratta del Munda, il Museo Nazionale d'Abruzzo, che oggi apre le porte al pubblico, con accesso gratuito a tutti fino al 3 gennaio. Un luogo inedito, l'ex mattatoio della città, concesso in comodato d'uso gratuito al Mibact per offrire un temporaneo ricovero alle opere della collezione, fino a quando non termineranno i lavori nel castello cinquecentesco, ex sede del museo.
Un momento importante ed emozionante, sia per l'importanza del progetto museografico, che ha visto lo svolgimento dei lavori proseguire con un'eccellenza strutturale e di restauro, sia per il valore storico artistico delle opere esposte, ma, soprattutto, per il significato che riveste la riapertura di questo museo.

 L'Aquila, infatti, perse il suo museo nel terribile terremoto del 2009. Ora è rinato in una nuova sede, quella dell'ex Mattatoio comunale appunto, completamente ristrutturato con tecnologie antisismiche e ripensato per venire incontro nel migliore dei modi a questa sua nuova funzione, in borgo Rivera, a ridosso delle mura della città, di fronte alla Fontana delle 99 Cannelle: un'area più decentrata rispetto al luogo centrale in cui sorgeva il museo prima, ma molto significativa, legata alla fondazione della città. Il ministro Franceschini ha visitato con attenzione tutte e sei le sale del Munda (dalla A alla F,  all'interno di cinque ambienti espositivi) seguendo le introduzioni del Direttore del Polo Museale d'Abruzzo Lucia Arbace, che parla, commossa, di una grande sinergia di sforzi e di lavoro e di lotta contro il tempo: "mancano le didascalie ma da lunedì ci saranno anche quelle e saranno quelle più moderne possibili" precisa la Arbace.

Con loro anche il vicepresidente della Regione Abruzzo Giovanni Lolli, il Sindaco della Città dell'Aquila Massimo Cialente e monsignor Giuseppe Petrocchi, arcivescovo del capoluogo abruzzese che ha ricordato che un patrimonio come quello del Munda ci porta a "coniugare i tempi al futuro e al plurale" perché mantiene i rapporti con il passato guardando al futuro, in sinergia con tutta la cittadinanza e con chi ha reso possibile la riapertura del museo. Il Munda sarà anche un nuovo centro di arte contemporanea. Il ministro Franceschini ha infatti aggiunto: "Chiederemo ad artisti importanti di realizzare un'opera e donarla alla città. Vedremo chi ha il coraggio di dire di no. Con il Maxxi, poi, abbiamo già avviato il progetto di creare una nuova sede del Museo proprio in questa città, all'interno di Palazzo Ardinghelli, di cui a primavera, si concluderanno i lavori, finanziati dal governo russo".

La scelta dei pezzi esposti al Munda è di oltre cento opere, tra i più importanti lavori del Museo Nazionale d'Abruzzo: opere di diverse epoche e tipologie (reperti archeologici, sculture lignee e dipinti fino al XVIII secolo), rappresentative della varietà e qualità delle collezioni del museo e identitarie della storia e della cultura dell'intera regione. Il progetto, oltre ad adottare soluzioni allestitive innovative sul piano della prevenzione, si è ispirato a criteri museografici moderni. Oltre all'importanza dell'aver finalmente restituito agli aquilani e al pubblico numerose opere importanti, è da sottolineare il grande lavoro di restauro che è stato fatto sui pezzi esposti che, recuperati tra le macerie, hanno avuto nuova vita grazie ad attenti restauri avvenuti dopo i gravi danni del terremoto. Da molte chiese distrutte provengono madonne, pale e reperti che troveranno ospitalità al Munda fin quando non potranno tornare nelle loro chiese di origine. Sono state ora riunite alcune delle più belle e antiche Madonne d'Abruzzo, come la Madonna di Lettopalena del XII secolo e la Madonna "de Ambro", della prima metà del XIII secolo, proveniente dalla chiesa di Santa Maria a Grajano.  

L'intero intervento, di restauro e di funzionalizzazione, è stato assunto dallo Stato italiano per il tramite del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo attraverso Invitalia, nell'ambito del progetto Mumex, che è la rete dei musei attrattori del Mezzogiorno

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it) 

lunedì 21 dicembre 2015

L’arte del futuro: dai libri che diventano quadri all’algoritmo che crea installazioni artistiche digitali

Displaying Electric Objects   A Computer Made for Art foto presa dal sito di electric objects.png

Sperimentazioni, invenzioni, arte e tecnologia: tutti aspetti che grazie alle innovazioni digitali hanno portato alla realizzazione di idee che, qualche anno fa, in campo artistico erano pressocché impossibili da immaginare. Ancora oggi quando parliamo di arte, di quadri e di mostre ci vengono in mente scenari classici come luoghi d’esposizione in cui passeggiare e ammirare opere del passato.

La tecnologia, però, ha ampliato questo concetto e ci ha permesso di comprendere che, se ben utilizzata, può portare a risultati sorprendenti. Tutto, ovviamente, nasce dalla ricerca, dallo studio e dall’impegno di persone che vogliono sconvolgere il concetto di arte e riescono a farlo tramite progetti che vale la pena conoscere. Ecco i tre più interessanti:

1- EO1 di Electric Objects
Meno impegnativo di un Gauguin o un Dalì (proteggibili da malintenzionati solo attraverso raffinati e funzionali impianti allarme wireless), ma comunque d’impatto. Se sognate di sfoggiare nella vostra casa quadri sempre diversi, provenienti da rinomati artisti provenienti da collezioni di tutto il mondo, ecco che con EO1 di Electric Objects potrete farlo. EO1 è un computer connesso ad internet che mostra perennemente il quadro scelto e scaricato tra migliaia. Sono molte le partnership che in questi anni la startup americana è riuscita a stringere, per questo la scelta è davvero ampia. Un dispositivo che potrebbe sembrare una versione avanzata delle cornici digitali, ma che invece è molto di più: con EO1, ogni giorno, potrete ammirare un quadro diverso e renderete unica la vostra casa ogni volta che lo vorrete.

FONTE: Alessia Mohamed (Nomesia)

giovedì 17 dicembre 2015

Tra de Chirico e Burri, i grandi del '900 da Parma a Roma

Tra de Chirico e Burri, i grandi del '900 da Parma a Roma

Nella Galleria d'Arte Moderna di via Crispi si vedono le più importanti opere contemporanee custodite dalla Fondazione Magnani Rocca nella città emiliana, che in precedenza aveva accolto cento lavori della struttura comunale della Capitale


"A differenza dei collezionisti, non frequento gli antiquari, non vado alle aste, non frequento le mostre. Ho, si, un mio museo immaginario, formato dalle opere più amate e ammirate nel tempo. Esse sono per me tutte oggetto di uguale amore e degne della più devota contemplazione; abitano la mia mente come la mia casa". In queste parole è racchiuso il pensiero di Luigi Magnani (1906-1984), fondatore della Fondazione Magnani Rocca, con cui è stata ideata la mostra "Affinità Elettive", dal 17 dicembre al 13 marzo 2016 alla Galleria d'Arte Moderna di Roma. Una mostra che fa conoscere al pubblico romano molti capolavori della raccolta del museo parmense Magnani Rocca, che custodisce nella sua sede emiliana, diverse celebri opere antiche, da Dürer a Tiziano, da Goya a Canova. L'esposizione è il proseguimento della collaborazione avviata con la Fondazione Magnani Rocca a marzo, con il prestito alla Villa dei Capolavori di Mamiano di Traversetolo a Parma di oltre cento opere della Galleria d'Arte Moderna di Roma. Quest'ultima, situata in via Francesco Crispi, è un museo comunale (diverso dalla galleria d'arte moderna nazionale, che si trova a Valle Giulia) che ora ospita importanti opere del Novecento della collezione parmense, per accostarle alle opere della sua collezione.

Gli "affiancamenti" sono stati scelti in base a "consonanze e suggestioni formali, a temi ed ambiti figurativi". Ci sono opere dei più grandi artisti italiani del '900, da Mafai a Scialoja, a Gino Severini con cinque bei pezzi al secondo piano a cui è accostato l'olio su tela  "Velocità di Movimento"" dipinto tra il 1924-26 da Benedetta Cappa (futurista, scenografa, moglie di Marinetti). In mostra anche pezzi di Giacomo Manzù, de Pisis, Marini, Burri e Alberto Savinio (1891-1952). Quest'ultimo, meno noto con il nome di Andrea de Chirico (fratello di Giorgio, è presente in questa mostra con un esemplare lavoro realizzato tra il 1945 e il 1946: "senza titolo (foresta tropicale)", una ceramica smaltata di rara bellezza esposta accanto a un'opera di Leoncillo, "vaso con fiori e vassioio con frutta", realizzato con terracotta invetriata nel 1943. Diverse somiglianze del lavoro lasciano pensare a una possibile firma dello stesso Leoncillo nella cornice dell'opera smaltata di Savinio, anche se non ci sono prove che possono attestare la paternità del lavoro. La mostra inizia comunque nella prima sala del museo con un capolavoro del de Chirico più famoso, Giorgio, e il suo "L'enigma della partenza", un olio su tela del 1914, di proprietà della Fondazione Magnani Rocca, a cui vengono accostate alcune opere della raccolta romana, in un gioco di rimandi che inizia al primo piano e termina al terzo.

L'allestimento, non prevede pannelli didattici, che in questo edificio sarebbero stati troppo invadenti, e adotta invece uno modo più efficace e delicato, quello di scrivere graficamente sulle pareti suggestive frasi degli stessi artisti in mostra. Il visitatore è aiutato anche da esaustive schede esplicative messe a disposizione, per sola consultazione, all'ingresso di ciascuna sala. Ad essere esposti anche molti pezzi di Giorgio Morandi, che conclude la mostra, nella sala della Grafica, con una serie di acqueforti. Documentazioni, foto, lettere di Magnani con artisti e intellettuali dell'epoca, sono esposte in teche in diverse sale del museo. Infine, una particolarità: per tutte le sale della mostra si sente, in sottofondo, una musica. Le "suggestioni musicali" sono state scelte per ricordare l'amore di Luigi Magnani per la musica. Lui fu anche musicologo e compositore oltre che mecenate e attento osservatore dell'arte. Se il nome di questa mostra spontaneamente, di rimando, induce a pensare al quarto romanzo di Goethe, pubblicato nel 1809, c'è da ricordare l'esito tragico di quella storia: speriamo che la fruizione delle opere non risulti danneggiata dall'ascolto, in fondo si tratta di due forme di arte dello stesso livello, quella musicale e quella figurativa, e sovrapporle non gioca a favore di nessuna, dal momento che forse può limitare l'attenzione di ciascuna a sfavore/favore dell'altra.

Info Utili
Affinità Elettive
Da de Chirico a Burri Opere della Galleria d'Arte Moderna e della Fondazione Magnani Rocca
A cura di Maria Catalano; Federica Pirani; Gloria Raimondi; Stefano Roffi
Galleria d'Arte Moderna di Roma
Via Francesco Crispi, 24
Dal 17 dicembre 2015 - 13 marzo 2016
Da martedì a domenica ore 10.00 - 18.30. 24 e 31 dicembre ore 10.00-14.00 L'ingresso è consentito fino a mezz'ora prima dell'orario di chiusura.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

domenica 13 dicembre 2015

Artista e critico. Montecarlo svela i due volti di Melotti

Melotti. La mostra a Montecarlo


Una grance mostra al Nouveau Musée National, a Villa Paloma, nel Principato di Monaco, mette a fuoco la figura di un artista semplice e complesso. Con le recensioni che per decenni scrisse per la rivista Domus e ad altri contributi video


È Villa Paloma la sede del Nouveau Musée National de Monaco che ospita la grande mostra dedicata all'artista italiano Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986). Prima di diventare un museo, l'edificio, era una residenza situata alla base delle panoramiche corniche di Montecarlo. Lo spazio espositivo, quindi, non è di quelli che facilitano l'allestimento, dal momento che mantiene ancora sembianze di struttura domestica come grandi scale e più stanze anziché un'unica grande sala. Nonostante questo, la fruizione della mostra appare fluida e impeccabile grazie allo studio di architettura Baukuh e di Valter Scelsi, che hanno scelto delle teche per  contenere  anche le opere più piccole di dimensioni o delicatissime come le circa settanta  opere in ceramica, realizzate  negli anni Quaranta e Cinquanta. La mostra di Melotti è interessante perché non è celebrativa ma sottintende una vera e propria azione di ricerca.

Sono infatti esposte oltre a diverse foto in bianco e nero e alle più famose sculture in metallo, anche molte documentazioni che sono il risultato di un grande lavoro di studio portato avanti da Eva Fabbris, curatrice indipendente e Cristiano Raimondi, curatore del museo. Una ricerca portata avanti a partire dall'osservazione del rapporto che l'artista ebbe per tutto il corso della sua vita con la rivista Domus, fondata nel 1928 da Gio Ponti. Su questo particolare aspetto della vasta carriera di Melotti è concentrata la mostra monegasca, che si focalizza quindi sulle opere a cui Domus ha dato spazio nel corso degli anni, nel periodo compreso tra il 1948 e il 1968. Molti articoli comparsi su Domus in quegli anni erano recensioni delle sue mostre come quella allestita negli anni Sessanta alla Galleria Apollinaire (recensita sul numero 377 di Domus), o alla galleria Toninelli (nel numero 449), entrambe a Milano; spazio anche per la mostra romana  presso il Segno recensita sul numero di luglio '68. Alcuni articoli sono scritti da Melotti stesso e quel che stupisce positivamente è la lettura critica che l'artista ebbe sulle opere dei suoi colleghi coevi. Iniziava così nel '62, sul numero 392 di Domus, un suo scritto: " Si chiamano ancora arti figurative, ma la bella realtà è fuggita. Oggi tolti i vecchissimi maestri, nessun grande artista, degno di rappresentare l'allucinata epoca nella quale viviamo, mette più la tela o il trespolo davanti alla realtà". Un anno dopo, nel '63 scriveva un pezzo dal titolo sin troppo chiaro: "L'incertezza" in cui di fatto, sosteneva, tra le altre cose, che "il mercato è il padrone degli artisti e delle loro opere".

Le pagine di Domus davano spazio anche allo studio milanese di Melotti, nel numero di marzo del '54 ci sono foto che ritraggono le sue opere nell'atelier, ma il ritratto più empatico dello spazio di via Leopardi 26, è quello scritto da Lisa Ponti che firma un pezzo nel numero 230 di Domus, nel 1948, usando parole come "riso" e "gioco", per meglio descrivere il carattere di un artista complesso e semplice allo stesso tempo. Tutti gli articoli pubblicati su Domus sono stati ristampati in occasione della mostra di Villa Paloma  e sono dislocati accanto alle opere nelle varie stanze della mostra, che non segue un andamento cronologico. Presenti nell'esposizione anche una serie di foto scattate da Ugo Mulas alle opere di Melotti: il rapporto di fiducia tra i due è ben descritto dal critico ed editore Vanni Schweiwille. Al terzo piano del museo, infine, c'è una project room per artisti più giovani: ora è in corso il lavoro di Paul Sietsema (Los Angeles, 1968) che si potrà vedere, come la mostra di Melotti, fino al 17 gennaio 2016.

Info Utili
Fausto Melotti
a cura di Eva Fabbris e Cristiano Raimondi
Nouveau Musée National de Monaco (Nmnm)  -  Villa Paloma
boulevard du Jardin Exotique 56  Principato di Monaco
In collaborazione con Fondazione Fausto Melotti Con la partecipazione di Domus Magazine e Archivio Ugo Mulas

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

lunedì 7 dicembre 2015

La rassegna su Giorgio Morandi arriva in Giappone

La mostra organizzata da Bologna Musei apre a Kobe l’8 dicembre, poi farà tappa a Tokyo e a Iwate

Comincia martedì il percorso giapponese della mostra Giorgio Morandi, infinite variations», organizzata da Bologna Musei che porterà in tre città l’opera del maestro bolognese. Martedì la mostra apre a Kobe l’8 dicembre, allo Hyogo Prefectural Museum of Art, poi sarà la volta di Tokyo (Tokyo Station Gallery, 20 febbraio-10 aprile 2016) e Iwate (Iwate Museum of Art, 16 aprile-5 giugno 2016). 

Con questa esposizione il Museo Morandi prosegue nella valorizzazione delle proprie collezioni attraverso importanti iniziative all’estero come quelle realizzate negli ultimi anni a New York (2008), a Porto Alegre (2012) e a Seoul (2014). Dopo diciassette anni l’opera di Giorgio Morandi torna in Giappone con un’ampia esposizione incentrata principalmente sulle sue nature morte. 

La rassegna, curata da Lorenza Selleri e Giusi Vecchi, prevede la presenza di oltre cinquanta dipinti e di circa cinquanta opere su carta (acquerelli, disegni e acqueforti) provenienti per lo più dal Museo Morandi e da altre importanti collezioni pubbliche e private italiane. Il percorso espositivo è arricchito anche da tre dipinti e due acqueforti appartenenti a musei e collezioni private giapponesi. Per l’occasione viene realizzato un catalogo bilingue (giapponese/inglese) pubblicato dal Tokyo Shimbun, nel quale verranno riprodotte tutte le opere esposte.  

FONTE: lastampa.it



sabato 5 dicembre 2015

A Treviso una mostra che racconta la storia dell'intrecciata vita dell'Impressionismo


Avvezzi come siamo alle numerose mostre dedicate ai pittori che hanno fatto della rappresentazione en plein air il loro marchio di fabbrica, il titoloStoria dell’impressionismo. I grandi protagonisti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin sembrerebbe non prospettare nulla di nuovo. Ma questa retrospettiva aperta presso il Museo di Santa Caterina di Treviso e curata da Marco Goldin ambisce a raccontarci la storia dell’impressionismo da un’angolazione diversa. Le 120 opere di grandi artisti come Manet, Degas, Monet, Renoir, Pissarro, Sisley, Seraut, Signac, Toulouse-Lautrec, Van Gogh e Gauguin, non godono della luce riflessa di se stesse, ma si allacciano a quel che c’era prima e a quel che è venuto dopo, raccontandoci di un percorso.

E’ il racconto, dunque, di un mutamento storico e artistico quello della mostra trevigiana, che resterà aperta a lungo, fino al 17 aprile 2017: si parte dall’inizio dell’Ottocento, con Ingres e Géricault - il genio dell'imponenteLa zattera della Medusa -, da questo gusto dionisiaco francese per poi assistere ad una rottura che parte dall’arte dei Salons ufficiali alle scelte stilistiche della scuola di Barbizon di Corot e Millet. Ma perchè organizzare una mostra del genere a Treviso? La retrospettiva fa parte di una serie di eventi nati per festeggiare i i vent’anni di attività di Linea d’ombra, un’azienda di cultura creata da Goldin che garantisce la gestione completa di una evento espositivo, dal momento della progettazione fino alla sua conclusione, unendo, come nessun altro pare faccia in Italia, la cura scientifica - garantita dal coinvolgimento di studiosi italiani e stranieri - e l’organizzazione.

FONTE: Maria Pia Bruno (ilmessaggero.it)

venerdì 4 dicembre 2015

A Milano appuntamento natalizio con l’Adorazione dei pastori di Rubens


Dal 3 dicembre al 10 gennaio 2016 in mostra a Palazzo Marino

Le porte di Palazzo Marino si aprono anche quest’anno per il tradizionale appuntamento natalizio con i capolavori dell’arte. Dal 3 dicembre al 10 gennaio 2016, il Comune di Milano offre la possibilità di ammirare gratuitamente in Sala Alessi una maestosa opera di Pietro Paolo Rubens, l’Adorazione dei pastori: una grande pala d’altare riscoperta come opera del pittore fiammingo solo nel 1927 dal grande storico dell’arte Roberto Longhi, folgorato dalla sua visione nella Chiesa di San Filippo Neri a Fermo. L’opera è oggi conservata nella Pinacoteca Civica della città marchigiana.  

«Si rinnova anche quest’anno l’incontro tra Milano e i grandi capolavori dell’arte che i milanesi non possono ammirare nei musei della Città - ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno -. Per le feste 2015 l’opera giunge da Fermo ed è stata realizzata da uno dei più grandi artisti di tutti i tempi proprio in Italia, e proprio per una chiesa italiana: la testimonianza di un intreccio felice, e al tempo stesso spettacolare, tra la tradizione fiamminga e l’arte del nostro Paese, che con la sua storia ha influenzato lo sviluppo di tutta l’arte europea. Un’opera grandiosa che richiama i temi della Natività, spandendo luce e bellezza intatte a distanza di quattro secoli sulle giornate di festa di tutti milanesi e i visitatori della nostra Città». 

Il progetto espositivo è curato da Anna Lo Bianco ed organizzato in collaborazione con Civita. Anticipazione del progetto che vedrà protagonista Rubens in una grande mostra a Palazzo Reale nell’autunno del 2016, la scelta dell’opera risponde a diverse motivazioni che si intrecciano tra loro creando una felice opportunità. In primo luogo, il tema più adatto alle festività natalizie. 

La grande tela dell’Adorazione dei pastori, che Rubens dipinse nel 1608, celebra infatti il momento più intimo e suggestivo della Natività e ci appare come una composizione dipinta in una luce notturna densa di bagliori, nella quale si stagliano le monumentali figure della Vergine con il Bambino, San Giuseppe e i pastori. Una scena suggestiva per rivivere un momento centrale della tradizione del Natale, un’opera grandiosa che racchiude in sé tutte quelle prerogative che raramente ritroviamo unite in un unico dipinto: la qualità altissima, che esprime tutta la forza della pittura del grande artista in questa sua fase di prima maturità, ma anche l’ampia documentazione che permette di seguire tutto l’iter dell’esecuzione, avvenuta in breve tempo e quindi di getto, senza ripensamenti, correzioni, difficoltà. 

FONTE: lastampa.it

domenica 29 novembre 2015

LE BARBIE 'ARTISTICHE' DI MARIEL CLAYTON, TRA SESSO SPINTO, OMICIDI E VIOLENZE


Mariel Clayton si è sempre definita una 'sovversiva' e concepisce le proprie idee allo scopo di scuotere il mondo tradizionale dell'arte.
L'ultima trovata dell'artista è nata in Giappone: "Ero in un negozio di bambole tradizionali e mi si è aperto un mondo: con quelli che consideriamo giocattoli per bambine è possibile immaginare, e raccontare, tante storie". E siccome Mariel è una sovversiva, ecco che ha immaginato una serie di situazioni in cui le bambole di Barbie vivono al limite, tra sesso spinto e sadomaso ed efferata violenza domestica ai danni del povero Ken.

FONTE: Leggo.it

giovedì 26 novembre 2015

A ROMA “ESPAI D’ART FOTOGRÀFIC”, LA MOSTRA FOTOGRAFICA DI 3 MAESTRI


Si inaugura a Roma oggi nella nuova sala esposizioni dell’Istituto Cervantes in piazza Navona intitolata a Salvador Dalí, la collettiva “Espai d’art fotogràfic”. Per la prima volta in Italia, la mostra raccoglie 70 opere appartenenti ai tre lavori fotografici vincitori del master della prestigiosa scuola internazionale di Valencia, Espai d’art fotogràfic: “Consumismo e abbandono. Impatto dell’uomo nel suo habitat” di Emilio Andrés Codina (20 foto, 2010), “The Unknown” di Sandra Sasera Cano (30 foto, 2011) e “New York. Lato B” di Jaime Belda (20 foto, 2012). I tre lavori selezionati da Francesc Vera, Romà della Calle e Tomàs Llorens, che resteranno esposti a Roma fino al 7 gennaio 2016, hanno come filo conduttore la visione critica dell’iconosfera contemporanea occidentale. I tre fotografi analizzano gli elementi sui quali si fonda il discorso della post-modernità, ognuno con le proprie idee estetiche e preoccupazioni, offrendo una chiave di lettura, capace di arricchire e decodificare la nostra visione del mondo.

FONTE: leggo.it 


mercoledì 25 novembre 2015

Echaurren sbarca alla Gnam: la contropittura si scopre adulta

Echaurren, la mostra alla Gnam


Roma, nella Galleria nazionale d'arte moderna si ammira l'autore famoso per la sua ecletticità, dalle "miniature" degli inizi alle Decomposizioni floreali, dalla corrispondenza con Calvino e Ernst alla collaborazione con Sofri e con Lotta Continua


Dopo tanti  insulti più o meno scritti e cancellati nelle sue tele colorate, e dopo tanti "Oask?!", finalmente uno degli artisti italiani più "precoci" è arrivato in una grande istituzione, come lo è la Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea (Gnam), dove dal 20 novembre (e fino al 3 aprile 2016) si potrà visitare "Pablo Echaurren. Contropittura", a cura di Angelandreina Rorro.

Precoce perché Echaurren (classe 1951) iniziò a muoversi tra colori e carte a soli 18 anni, incoraggiato e battezzato da un critico-gallerista che di nome fa Arturo Schwarz (senza di lui non ci sarebbe stato il Dada-Surrealismo) e da un artista che di cognome fa Baruchello (classe 1924), cui il riconoscimento sta arrivando invece soltanto negli ultimi anni... Proprio quest'ultimo fu uno dei primi ad ispirare Echaurren, come si vede nella prima sezione della mostra, dal nome "Volevo fare l'entomologo", che raccoglie i "quadratini", acquerelli e smalti di piccole dimensioni.

Molto interessanti le sale delle "Decomposizioni floreali", in cui sono raccolti lavori che palesemente mostrano un cambio di registro, una tabula rasa di colori urlati e parole che lasciano spazio a raffinate carte dove sono protagoniste ombre e tinture suggerite da petali. La mostra raccoglie, in diverse sezioni,oltre 200 opere (e ricche documentazioni) dell'artista, dagli anni settanta alle grandi tele di oggi, e va oltre quei tratti di Echaurren che in tanti conoscono, come i fumetti (chi si ricorda il libro sul futurista Marinetti edito da il Grifo editore?) o la passione per il basso (l'artista "curò l'immagine" del festival Arezzo Wave per diversi anni di seguito). L'esposizione di Roma, che non è un'antologica, mette l'accento su un artista più maturo, e ha come sezione centrale quella dedicata ai disegni e collage (molti dei quali esposti per la prima volta), legati all'esperienza dei cosiddetti "Indiani metropolitani" che, in un anno denso come quello del 1977, ha visto la nascita di una reintrerpretazione di tutti i  linguaggi estetici dell'avanguardia artistica con una finalità di denuncia e protesta.

Marcel Duchamp doveva essere un artista-strumento a disposizione di tutti: l'avanguardia storica andava collettivizzata. Certamente c'entra in questo, il coinvolgimento che l'artista ebbe nel movimento di Lotta Continua, chiamato da Adriano Sofri a illustrare giornali e scritti, contribuendo a fare di quel periodo, e dell'invaso creativo e intellettuale-culturale che ne conseguiva, il fulcro di quella controcultura di cui ancora oggi, in Italia, si fatica a capire il valore. Succede il contrario all'estero, tanto che Kevin Repp, curator  Beinecke Library, della Yale University, di cui si legge un testo nel catalogo dell'esposizione, ha acquistato proprio per la celebre biblioteca documenti e opere di Echaurren. Ciò che questa mostra in alcuni casi svela e in altri casi sottolinea, è il suo essere stato un artista sempre molto calato e presente nei suoi tempi, facendo confluire nei suoi lavori (ceramica, fumetto, pittura e scrittura che siano stati) la forte presenza di attualità, di attenzione storica a quanto accadeva intorno. Quanto alla sua ecletticità di modus operandi, forse è stata proprio questa a creargli chiusure più che aperture di porte a mercati e consacrazioni, che sono del resto quei "retroscena" che lui ha sempre osservato e "denunciato" a modo suo nei suoi lavori.

Ora, nonostante tutto questo, è un gran bel segnale vedere che un artista libero da dinamiche economiche e fortemente lucido e intellettuale come il suo vissuto biografico ha sempre voluto (da non perdere in mostra gli scambi epistolari con Italo Calvino e Max Ernst), arrivi in una grande istituzione come la Gnam.

Info utili
Pablo Echaurren. Contropittura
A cura di Angelandreina Rorro
Dal  20 novembre 2015 al 3 aprile 2016
Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Ingresso per disabili: via Gramsci 71
Catalogo: Silvana Editoriale con testi di A. Rorro, A. Schwarz, G. Baruchello, K. Repp, C. Salaris.
Orari di apertura: martedì - domenica dalle 8.30 alle 19.30. Ultimo ingresso ore 18.45 Chiusa lunedì
Biglietto: 8 euro, ridotto 4 euro Prima domenica del mese ingresso gratuito

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

martedì 24 novembre 2015

Sulle tracce degli impressionisti. 5 destinazioni per chi ama l'arte


SAINT REMY VAN GOGH

Per chi ama l’arte. Per chi da un viaggio vuol tornare arricchito. Le destinazioni in Europa per riconoscere il mondo visto attraverso i quadri dei grandi pittori – gli impressionisti per primi – non mancano. In Normandia, a Parigi, o ad Amsterdam ci sono le mete più conosciute, quelle che hanno ospitato i più grandi pittori. Basti pensare a Van Gogh e a Saint Rémy. A Saint Paul de Mausole è possibile fare una visita guidata al manicomio che ospitò il pittore: la facciata e il portone che ritroviamo nei suoi quadri esistono ancora.
Come esistono ancora i pazienti del manicomio, che tutt’oggi è ancora aperto. In Provenza i quadri degli impressionisti te li trovi davanti agli occhi: ad Aix en Provence, città natale di Cezanne, a Saint Paul de Vence meta privilegiata di artisti e intellettuali. Via dalla Provenza, in Normandia. A Giverny dove Claude Monet si trasferì con la sua compagna, Alice Hoschedé, e i loro otto bambini. Visse in una grande casa con frutteto e orto, dove si dedicò alle sue due passioni: la pittura e la botanica. Ma anche Dieppe, con Pissarro che dipingeva la chiesa di Saint-Jacques dalla sua camera all'Hotel du commerce. Il prossimo anno – dal 16 aprile al 26 settembre – torna il Festival Normandia Impressionista .
Portrait(s) impressionniste(s): il ritratto sarà il tema della terza edizione. Si potrà così scoprire che Renoir amava dipingere il viso delicato delle ragazze. Degas invece aveva una predilezione per le modiste e le lavandaie e Pissarro per le piccole contadine. Prima di allora, e prima di programmare un viaggio sulle tracce degli impressionisti meglio scegliere come prima destinazione Roma. Qui, al Vittoriano, fino al 7 febbraio, la mostra Impressionisti Tête-à-tête , un ritratto della società parigina della seconda metà dell’Ottocento, attraversata dai grandi mutamenti artistici, culturali e sociali di cui gli impressionisti furono esponenti e testimoni. Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Berthe Morisot, Auguste Rodin: questi, tra i tanti, gli artisti in mostra al Complesso del Vittoriano, in una rassegna di oltre sessanta opere, tra dipinti e sculture. 

FONTE: Nicoletta Moncalero (huffingtonpost.it)

lunedì 23 novembre 2015

Photolux Festival, fermo immagine tra sacro e profano

Apre oggi la Biennale di Fotografia di Lucca tra grandi autori, dibattiti, workshop ed eventi. Il fondatore: vogliamo divulgare la cultura visiva

Sacro e profano, spirito e materia, ci viviamo dentro ma è sempre difficile farci i conti fino in fondo. Il tema è nato con l’uomo e gli artisti non hanno mai smesso di rappresentarlo, ma per quelli di oggi, specie quelli che si esprimono con la fotografia, c’è un rischio in più di toccare i nervi scoperti della contemporaneità.  
Per questo le 29 mostre su «Sacro e profano» del Photolux Festival che apre oggi a Lucca (fino al 13 dicembre) faranno discutere per i linguaggi scelti, ma sono un mezzo di indagine importante per leggere la realtà in cui siamo immersi, oltre la riflessione artistica o estetica.  

«Il nostro festival nasce dalla volontà di diffondere la cultura fotografica nel nostro Paese», spiega Enrico Stefanelli, fondatore e direttore artistico del Festival, «facciamo vedere come un tema - in questo caso “Sacro e profano” - possa essere sviluppato in diversi linguaggi espressivi». Come è noto, uno di questi (una foto di Andres Serrano dell’87) è stato giudicato blasfemo o comunque offensivo della sensibilità dei cristiani e non sarà esposto. «Dell’autore però ci saranno gli altri lavori, compresi gli ultimi “Holy works”, da cui verrà fuori come si esprima sul sacro con pietà». 

Di certo il tema è delicato, urgente e merita di essere osservato, come le mostre tutte, oltre la logica della contrapposizione e dello choc.  

L’ATTUALITÀ DRAMMATICA  
Uno dei lavori più interessanti in questo senso è quello della fotografa francese France Keyser, che nella rassegna «Nous sommes français et musulmans» presenta la stessa realtà in due parti: prima e dopo Charlie Hebdo. Nel 2010 infatti aveva incontrato parigini che desideravano conciliare l’essere francesi con il credo religioso islamico e li ha fotografati, a colori, nella loro vita quotidiana. Poi, dopo la strage del 7 gennaio 2015, la fotografa è tornata dalle stesse persone e ha realizzato una nuova serie di ritratti in bianco e nero. 

Dalla Francia all’Italia, negli ultimi cinque anni Nicolò Degiorgis ha esplorato e fotografato i musulmani del Nordest nei loro luoghi di preghiera improvvisati: garage, palestre, negozi, vecchie fabbriche. «Un lavoro che ha vinto un importante premio a Arles e recensito da Martin Parr», spiega Enrico Stefanelli, che ci tiene a ricordare come questa Biennale internazionale di fotografia sia unica per il suo «mix fra reportage e arte».  

L’italiano Michele Borzoni invece ha viaggiato in Medio Oriente per tre anni, per fotografare la vita delle comunità cristiane là dove il cristianesimo è nato.  

FONTE: Sara Ricotta Voza (lastampa.it)

mercoledì 18 novembre 2015

Mattia Preti, a Roma le opere di uno dei protagonisti della scuola napoletana del Seicento

 
Mattia Preti, protagonista di una mostra romana attualmente aperta presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini, fu uno dei più importanti esponenti della scuola napoletana del Seicento: nato a Catanzaro e per questo detto Cavaliere Calabrese, fu fatto effettivamente Cavaliere da Papa Urbano VIII durante la sua permanenza tra il 1630 e il 1649 a Roma, in quella Roma ancora impregnata dall’impronta indelebile di Caravaggio, con cui Preti ebbe, in qualche modo, a che fare.
Si intitola infatti Mattia Preti, un giovane nella Roma dopo Caravaggio la mostra che ha come intento quello di approfondire la vicenda artistica romana del catanzarese che molto apprese dal Merisi, punto di riferimento morto vent’anni prima del suo arrivo con il quale condividerà anche l’esperienza maltese, e dai suoi seguaci.

Nel percorso espositivo sono messi per la prima volta a confronto i dipinti giovanili di Preti, come il Soldato del Museo Civico di Rende, il Sinite Parvulos e il Tributo della moneta di Brera, con il Tributo della Galleria Corsini, la Negazione di Pietro di Carcassonne, la Fuga da Troia di Palazzo Barberini, il Salomone sacrifica agli idoli, la Morte di Catone proveniente da collezione privata, e il Miracolo di San Pantaleo, probabilmente la sua prima committenza pubblica romana.

Rafforzano la narrazione una serie di opere facenti parte dell'allestimento storico della Galleria ospitante, realizzate dai pittori ai quali il Cavaliere Calabrese si ispirò: dal San Giovannino di Caravaggio, al Trionfo d'Amore di Poussin, dall'Erodiade di Vouet alla Salomé di Guido Reni, dal Presepe e l'Ecce homo di Guercino al Miracolo di Sant'Antonio di Sacchi.

La mostra, aperta fino al 18 gennaio 2016, è stata ideata da Vittorio Sgarbi e Giorgio Leone, attuale direttore della Galleria Corsini e curatore dell'esposizione, ed organizzata dal Segretariato Regionale Mibact per la Calabria e dal Segretariato Regionale Mibact per il Lazio con il finanziamento della Regione Calabria.
 
FONTE: Mariapia Bruno (ilmessaggero.it)

martedì 17 novembre 2015

Joys, cinquanta sfumature di blu

Apre il 19 novembre a Torino la mostra "Almost Blue" alla galleria Square23

Aprirà il 19 novembre a Torino, presso la galleria Square 23 Street Art Gallery, in via San Massimo 45, Almost Blue, la mostra dedicata all'artista padovano Joys, visitabile sino al 10 gennaio 2016. Come il titolo anticipa, aspettatevi una ricerca sulle forme e sul colore blu in tutte le sue declinazioni, tra linee parallele e in assonometria, per creare nuove forme e inediti incastri. 
 La sua ricerca è stata riconosciuta dagli addetti ai lavori del sistema dell'arte come inedita e assolutamente personale: i molteplici strati di livelli e linee, le forme sempre regolate da precisi riferimenti logici e geometrici e il suo maniacale studio del lettering lo hanno reso uno degli artisti più riconoscibili  e più apprezzati in Italia, muovendosi spesso tra Venezia, Roma e Milano, ma raggiungendo anche città come Amsterdam, Sarajevo, New York e Mosca.
 Joys ha iniziato la sua carriera artistica negli anni Novanta, a Padova, dove, ancora oggi vive e lavora. Come molti writer, comincia scrivendo il suo nome sul muro e focalizza la sua ricerca sul lettering, dapprima come esigenza di esistenza, poi come esigenza di evoluzione. Da anni l'artista ha esteso il suo linguaggio anche alla scultura, utilizzando materiali diversi ma mantenendo sempre uno stile unico: quello stesso stile che da quasi 20 anni lo rende inconfondibile sui muri di tutto il mondo.         
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FONTE: Salvo Cagnazzo (lastampa.it)

domenica 15 novembre 2015

Tra creatività e lavoro manuale. A Firenze le Mappe ricamate di Boetti

In occasione del Summit Mondiale dei Sindaci, arrivano al Palazzo Vecchio due capolavori dell'artista torinese. Sono esposti nel Salone dei Cinquecento


Kabul, interno giorno, inizi anni Settanta. In un hotel aperto da un artista italiano, Alighiero Boetti (1940-1994), donne afgane passano le giornate a ricamare. Si mescolano i colori, passano i giorni, i fili intrecciati diventano grandi opere tinte. Nascono così le Mappe di Boetti. Due di esse, in questi giorni, sono esposte a Firenze in occasione del Summit Mondiale dei Sindaci, un incontro che ruota intorno al tema "L'unità nella diversità", in corso a Palazzo Vecchio dal 3 all'8 novembre. La coppia di opere di 280x580 centimetri circa rimarrà esposta nel Salone dei Cinquecento fino al 22 novembre. In particolare, le due mappe esposte nel capoluogo fiorentino, si rifanno al passaggio epocale della Perestrojka, al periodo della fine dell'Unione Sovietica e la conseguente nascita della Russia nell'agosto del 1991.

Del resto Boetti è sempre stato una figura dalla biografia eclettica e internazionale, come è ravvisabile pensando a tutte le sue opere d'arte, dai "lavori postali", nati nella sua natìa Torino, passando per Roma e Parigi, per citare solo alcune delle città che sono state mete dei suoi continui spostamenti, coincidendo quasi sempre con varie fasi della sua carriera. Spesso è stata di sottofondo la poetica del viaggio, le coincidenze, il simile e il diverso.

Apparentemente è difficile spiegare come Boetti sia passato dai lavori più concettuali degli inizi, con esordi rintracciabili nell'arte povera, alle opere realizzate con tessuti. Ma già tra le prime mostre, oltre a quella nel gennaio del 1967 con la cura di Germano Celant, nella galleria La Bertesca di Genova, espose alla sua personale d'esordio presso la galleria Christian Stein di Torino, l'opera "Zig Zag", realizzata con una struttura metallica in cui all'interno era posizionato un tessuto a strisce, in modo da provocare un originale effetto ottico. In quel caso, a ricamare furono sempre donne afgane, ma rifugiate in Pakistan: si trattava dell'inizio della serie  di opere "Tutto".

Arte concettuale e arte povera sono solo una delle tante dualità che hanno caratterizzato la vita di Boetti. Il lavoro "manuale" era centrale quanto quello "intellettuale": con le mani si scriveva (opere a biro) ma anche ricamava. Doppio fu, a un certo punto della sua carriera, anche il modo di firmarsi, con o senza "e" tra nome e cognome: Alighiero "e" Boetti. Doppia anche la modalità scelta per i lavori su carta: segno (disegno) e tratto (scrittura). Doppio anche il celebre autoritratto del '68, "Gemelli", in cui due identiche foto dell'artista sono affiancate per apparire in maniera identica (è infatti impercettibile l'unico evento intercorso tra i due diversi scatti, ossia un lavaggio dei capelli) e doppia è anche anche questa esposizione di mappe a Palazzo Vecchio.

La mostra, curata scientificamente da Sergio Risaliti, e? organizzata dal Comune di Firenze (Direzione Musei Civici ed Eventi) in collaborazione con la Fondazione Alighiero e Boetti, l'Archivio Boetti, la galleria Tornabuoni Arte di Firenze e Parigi. Si tratta, come è stato fatto per Jeff Koons, di un nuovo confronto nel capoluogo toscano tra l'arte del passato e quella attuale. Boetti, all'interno di Palazzo Vecchio, affiancherà, infatti, gli Arazzi medicei disegnati da Bronzino e Pontormo, esposti nel Salone dei Duecento e le mappe cinquecentesche del Danti e del Bonsignori conservate nella Sala delle Carte Geografiche o del Mappamondo.
Quelli di Boetti infatti sono proprio arazzi, unici e inimitabili pezzi multiculturali ideati  dall'artista e ricordati anche dal regista parigino Oliver Assayas in uno dei suoi ultimi film, "Qualcosa nell'aria, Apres Mai" (2013). Nella pellicola si vedono dei giovani sessantottini impegnati nella ricerca del loro futuro dopo il liceo: parlano proprio di Alighiero Boetti come esempio da seguire. L'artista, e i suoi viaggi in Afganistan per la creazione degli arazzi dagli anni Settanta ad oggi, sono ancora considerati capolavori e punti di riferimento per l'arte e non solo e la scelta fiorentina di questi giorni ne è una testimonianza.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

sabato 14 novembre 2015

Creatività e trasformismo. Al Maxxi un evento tra Europa, Messico e Corea

Creatività e trasformismo. Al Maxxi un evento tra Europa, Messico e Corea


Roma. Quattro artisti di tre continenti, l'italiano Gamper, il francese Faustino, l'americano Reyes e l'asiatico Jeong-Hwa  per una mostra trasversale che passando per design e architettura tocca diversi temi sociali attraverso installazioni, foto, opere divertenti e colorate


Un fiore gigante dai petali color d'oro (ma di vera plastica) che si aprono e si chiudono di continuo, come se respirassero (l'opera, infatti, esposta lo scorso anno all'aereoporto giapponese di Fukuoka prendeva il nome di Breathing Flower) campeggia fuori dal museo di via Guido Reni a Roma.

É l'installazione Golden Lotus di Choi Jeong-hwa. Dieci metri di diametro che segnano l'ingresso per la nuova mostra del Maxxi, "Transformers", a cura di Hou Hanru, con Anne Palopoli, dall'11 novembre 2015 al 28 marzo 2016. Un'esposizione che coinvolge quattro artisti di diversa nazionalità. Ci sono il coreano Choi Jeong-hwa, il francese Didier Fiuza Faustino, l'italiano Martino Gamper, il messicano Pedro Reyes. "Ci interessava unire e confrontare autori che avessero provenienze diverse sia per quanto riguarda l'area geografica sia per la loro formazione artistica" specifica la cocuratrice Palopoli. E in effetti il risultato è sorprendentemente eterogeneo, e, spaziando dal design all'architettura, propone in ogni caso una lucida -e in alcuni casi ludica- lettura delle numerose trasformazioni che stanno attraversando il nostro periodo contemporaneo globalizzato, tutte visibili nella galleria tre del museo. Choi Jeong-hwa (Seouk, 1961) continua con la sua vena giocosa creando una sorta di foresta verde composta di tremila scolapasta. É l'opera Hubble Bubble, di nuovo in plastica, perché non solo le prime materie "serie"  servono a proporre alternative valide e anche quello che è il materiale più consumistico, la plastica appunto, può servire a creare un paesaggio verde e naturale così come è stato fatto per l'installazione Life Life, fatta di una lunga schiera di palloncini colorati tra i quali il visitatore può camminare come in corridoio, facendoli cadere, sgonfiarsi e scoppiare e contribuendo così a una nuova costruzione e modifica dell'opera stessa. Trasformazione del resto è la parola chiave di questa mostra e tutti hanno cambiato destinazione e uso a oggetti nati per altri utilizzi. Martino Gamper (Merano, 1971) è intervenuto, come è nel suo stile, su diverse tipologie di sedute, disposte in circolo e lievemente modificate con inserti in vetro e tessuto con cui è stata cambiata la sua forma originale dando così origine all'opera Post Forma, che invita a sedersi e ad aprire dialoghi e conversazioni.

Ma il lavoro più significativo a livello di trasformazione vera e propria, è quello realizzato dall'artista Pedro Reyes (Mexico City, Messico 1972). Proprio lui ha realizzato strumenti musicali per un'intera orchestra usando solamente armi che suonano da sole o che possono essere usate da musicisti veri, come avviene in un concerto gratuito e aperto a tutti la sera dell'inaugurazione della mostra, il 10 novembre alle ore 20:30.

"I creatori  -  afferma Hou Hanru, Direttore Artistico del MAXXI e curatore della mostra  -  sono  sognatori straordinari. I loro atti creativi sono ispirati da un forte impegno sociale e ambientale nei diversi contesti geopolitici odierni. Sono capaci di trasformare il quotidiano in fantastico e viceversa; trasformano il basso in alto, il vecchio in nuovo, il banale in arguto, il triste in gioioso e il vizio in virtù. Creano così nuove realtà più aperte, incoraggiandoci a vivere pienamente l'esperienza di esseri umani". Umano è la parola chiave per l'installazione site specific di Didier Fiuza Faustino, artista e architetto  francese da sempre attratto dalle relazioni che intercorrono tra le condizioni sociali del corpo e la produzione dello spazio. Chiude la mostra una sua opera, che vuole essere "una gigantesca boa in polistirolo cui aggrapparsi per salvarsi la vita": un'utopica zattera da gettare nel mare e offrire un aiuto ai molti migranti che approdano in mare. Il valore altamente simbolico di quest'opera, che non a caso si chiama Lampedusa,  è il suo essere allestita di fronte a una grande riproduzione dell'ottocenteso olio su tela de "La Zattera della Medusa" di Théodore Géricault. Sempre di Didier Fiuza Faustino è l'opera Body in Transit, una cassa da annettersi ai carrelli di un aereo, come spazio-cellula per il trasporto di un emigrante clandestino. Fu un lavoro di forte denuncia -anche se mascherato da oggetto di design- presentato alla Biennale di Venezia nel 2000 e presente nelle collezioni del Centre Pompidou. Al Maxxi, insieme alle oltre opere, propone grandi trasformazioni.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

giovedì 12 novembre 2015

In Piazza di Pietra rivive l'arte di Michelangelo Antonioni

L'esposizione, curata da Enrica Antonioni e dal direttore della galleria Francesca Anfosso, raccoglie circa 40 quadri del Maestro, premio Oscar alla carriera

La grande arte di Michelangelo Antonioni diventa di nuovo, finalmente, protagonista con una mostra speciale, che premia la "seconda" arte del Maestro, con circa 40 tele piene di colori, forme ed energie. La Galleria 28 Piazza di Pietra di Roma presenta, sino al 29 febbraio, la mostra “Michelangelo Antonioni Pittore”.

L'esposizione, curata dalla moglie del Maestro, la signora Enrica Antonioni, e dalla giovane Francesca Anfosso, direttore della galleria, raccoglie alcuni dei quadri del Maestro, premio Oscar alla carriera oltre che vincitore di tutti i principali premi della cinematogra?a internazionale. Si tratta della prima volta in cui le sue opere pittorichevengono esposte in una Galleria d’arte. Solo alcuni di questi dipinti furono in mostra per un mese, nel 2006, proprio nel Tempio di Adriano a Piazza di Pietra. E proprio qui sono tornati, a distanza di dieci anni. Non è un caso, però: il Maestro amava e frequentava questo luogo dove aveva anche girato alcune scene del film L'Eclisse. 
 "Dipingere per lui era una gran gioia - spiega Enrica Antonioni - i momenti dedicati alla pittura sembravano liberi dal tormento che il cinema poteva dargli, insieme alla soddisfazione di saper fare il mestiere che amava di più, ma che lo metteva sempre alla prova. Nei suoi ultimi anni, dal 2001, ha deciso di dedicare alla pittura tutto il tempo che gli rimaneva. Era al suo tavolo di lavoro tutto il giorno e tutti i giorni, assorbito nel colore, nella forma, nel silenzio, nella quiete del suo respiro. L'eleganza dei suoi gesti era disarmante, come sempre".
 Le opere in mostra, tutte acrilico su tela o su cartoncino telato, di natura astratta e di diverse dimensioni, raccontano l'ultima fase della vita di Antonioni, quella in cui si è dedicato con passione ed entusiasmo ad un'arte  diversa da quella che lo aveva portato ai massimi livelli di prestigio internazionale. Per tutta la durata della mostra sono previsti, in Galleria e in Piazza di Pietra, eventi e presentazioni, tutti in qualche misura collegabili alla vita e alle opere di Michelangelo Antonioni.
 "Provo ammirazione umana e professionale nei confronti del Maestro – diceFrancesca Anfosso - che ha dimostrato di essere Artista compiuto, capace di esprimersi e creare coinvolgimento emotivo utilizzando  con eguale maestria l’immagine,nella pittura come nel cinema. Le sue opere sono un'esplosione di colori e di forme, di suggestioni e di stili; colorate e “gioiose” ci svelano un Antonioni inatteso. Sono sicura che desteranno diffusamente la stessa ammirata emozione provata da me la prima volta che le ho viste nella splendida casa di Michelangelo ed Enrica a Bovara”.

Nel testo che arricchisce il Catalogo della mostra Alberto Asor Rosa scrive tra l'altro: “dipingendo, dal suo silenzio ha voluto far emergere la sua voce: nitida, squillante, ricca d'infiniti colori e di molteplici forme, talvolta inquieta, ma altre volte persino allegra”.

FONTE: Salvo Cagnazzo (lastampa.it)