lunedì 27 giugno 2011

L'arte d'Oriente arriva a Roma

Per la Biennale Internazionale di Cultura la capitale celebrale «Vie della seta»

Per la Biennale Internazionale di Cultura, dedicata a quei Paesi del Medio ed Estremo Oriente, prevista nella capitale fino al 2012, alcuni tra i luoghi storici e archeologici romani diventano sedi espositive delle «Vie della seta». 

Con 11 mostre, che spaziano dalla storia all’archeologia, dall’arte contemporanea all’attualità, sei delle quali alle Terme di Diocleziano, al Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano, al Museo di Roma in Palazzo Braschi e al Museo di Roma in Trastevere, Macro Future, Roma diventa capitale della cultura internazionale. 

A queste si aggiunge il complesso delle Terme di Diocleziano, che per l’occasione riaprirà al pubblico alcune aule chiuse da tempo per ospitare la mostra «Le strade degli Dei» (a cura dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, con la cura scientifica di Gherardo Gnoli, Pierfrancesco Callieri e Francesco D’Arelli) che metterà in scena, una mappa cinese di oltre 30 metri, risalente all’inizio del XVI secolo e rinvenuta recentemente in Giappone, la sovrapposizione di culture e religioni lungo le Vie della Seta. 

Quasi come lo svolgimento di un rotolo, il percorso porterà il visitatore a percorrere un affascinante ed interminabile viaggio, illustrato con materiali virtuali e con una selezione di importanti manufatti di varia tipologia, attraverso le Città che più animarono la via dal ’Mare Nostrum’ a Pechino, tra il II secolo a.C. e il XIV secolo d.C.. 

Attraverso la collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e grazie all’impegno della rete diplomatico consolare e degli Istituti italiani di Cultura alcuni degli eventi proposti «ripercorreranno» la via della seta per essere proposti nei luoghi storici che hanno segnato questo cammino. Gli Istituti italiani di Cultura di Pechino, New Delhi, Jakarta ed Istanbul saranno promotori, con il coinvolgimento delle Istituzioni locali, di iniziative, mostre, incontri, conferenze e rassegne da realizzare nelle rispettive città. 

Al Museo delle Terme di Diocleziano la mostra «Luci cinesi 1980/2010» (di Enrico Rondoni, con la collaborazione dell’architetto Donata Tchou per l’allestimento) racconta, grazie al confronto tra le immagini di ieri con quelle odierne, il grande cambiamento che la Repubblica Popolare Cinese ha compiuto negli ultimi 30 anni. 

Il Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano ospiterà due mostre. La prima, «Il Vello d’Oro: antichi tesori della Georgia» (a cura di Tiziana D’Acchille), si ispira al mito degli Argonauti e dei Paesi Caucasici come ponte culturale tra Europa e Asia. Da oltre quaranta anni di scavi a Vani, «la Pompei della Colchide», sono emersi oggetti risalenti al V e IV secolo, periodo in cui la città e il regno giunsero al culmine della ricchezza e dello splendore, considerati la traccia più preziosa legata alla leggenda di Giasone e Medea. 

La seconda, «L’ultima Carovana», è una mostra fotografica e audiovisiva del grande fotografo contemporaneo turco Arif Asci che ha ripercorso, con una carovana di otto persone e dieci cammelli, un antico tracciato commerciale partendo da Xian ed arrivando ad Istanbul. Al Museo di Roma in Palazzo Braschi ’Dvin: una Capitale tra Europa ed Asià, ripercorre la storia della Capitale Armena tra Europa ed Asia, evidenziando le profonde stratificazioni culturali, grazie all’esposizione di oltre quaranta reperti archeologici dall’Armenia. 

Al Museo di Roma in Trastevere la mostra «Il fascino di Beijing» illustra le bellezze, le attrattive e le contraddizioni di una delle città più importanti del mondo, Pechino/Beijing, attraverso 100 gigantografie di famosi fotografi. Le cinque mostre di arte contemporanea saranno ospitate negli spazi del MACRO Testaccio e saranno arricchite da incontri con gli artisti. 

La «Grande astrazione celeste» è la mostra a cura di Achille Bonito Oliva. L’arte cinese contemporanea è il frutto di una lunga strada pittorica, che si è emancipata da una manualità iniziale come semplice conferma della tradizione. Gli artisti sono tutti di età diversa, ed è possibile rintracciare un’astrazione in continua trasformazione dal 1973 fino agli anni ’90 e ai giorni nostri dove la pittura acquista una misura minimale e trova una consonanza con la ricerca artistica occidentale per la quale l’arte, come diceva Leonardo Da Vinci, è «cosa mentale». 

«Oltre l’Oriente: Arte Contemporanea Indonesiana» a cura di Dominique Lora, si pone l’obiettivo di creare un luogo dove il pubblico, attraverso le arti visive, possa accedere alle logiche e alle dinamiche che oggi stanno trasformando il volto dell’Asia. 

«(Un)Forbidden City, La post-rivoluzione della nuova arte cinese», a cura di Simona Rossi e Dominique Lora in collaborazione con Gao Zhen e Gao Qiang, in arte i Gao Brothers, rappresenta uno scorcio sulle nuove tendenze che animano la scena artistica contemporanea cinese ’The Big Gamè, la mostra a cura di Marco Meneguzzo con la collaborazione co-curatoriale di Ryas Komu, nasce dalla considerazione che l’area geografica di India, Pakistan, Afghanistan è di fatto un territorio unico, unito indissolubilmente nel proprio destino dalla situazione storica e culturale. L’intreccio di situazioni politiche, economiche, religiose, sociali trova la sua espressione e la sua interpretazione anche nell’arte prodotta in quei luoghi, qui rappresentata da una ventina di artisti operanti in quelle regioni e particolarmente sensibili alle questioni sociopolitiche. 

«Il Suono della Luce - L’ombra tra l’idea e la realtà, tra l’emozione e il gesto». La mostra, organizzata dall’Ambasciata della Repubblica di Korea presenta le opere dell’artista coreana Minjung Kim. L’incontro tra Occidente e Oriente nell’opera di Kim si gioca sulla contaminazione, lo scambio, la stratificazione, lo «sfondamento» di segni e di macchie. Segni e macchie che danno vita a una molteplicità produttiva dove la rappresentazione cede il posto alla vitalità del gesto. Non ci sono paesaggi, ritratti o cose. Carta-pennello-inchiostro-combustione costituiscono un concatenamento, un divenire molteplice su un piano d’immanenza. 

Ma la Biennale Internazionale di Cultura Vie della Seta non sarà solo mostre. Il programma prevede, infatti, un calendario di conferenze internazionali sui temi della geopolitica e della cooperazione culturale. La definizione del calendario è prevista per il mese di settembre. Il programma delle 11 mostre è stato realizzato con la collaborazione di Armenia, Cina, Corea, Georgia, India, Indonesia, Turchia, grazie al coinvolgimento delle loro Istituzioni e degli esponenti di spicco del panorama artistico e culturale internazionale. 

Fuori del periodo della Biennale, il Palazzo delle esposizioni di Roma ospiterà dal 24 novembre 2012 al 25 marzo 2013, la mostra internazionale «La Via della Seta», realizzata dall’American Museum of Natural History di New York in collaborazione con Azienda Speciale Palaexpo, Roma, Idee per la cultura, Torino, National Museum of Australia, Canberra, National Museum of Natural Science, Taichung, Taiwan, and United Daily News, Taipei, Taiwan. La Mostra ripercorre le tappe delle antiche città, attraverso un percorso espositivo di reperti ed immagini. Il carattere internazionale della mostra non ne ha permesso l’inserimento all’interno dei quattro mesi della Biennale.

FONTE: lastampa.it

venerdì 17 giugno 2011

Apre i battenti Art Basel 2011 e sembra tornare aria di boom. I Vip all'anteprima


È iniziata con un'anteprima Vip e prezzi folli, come i 5,5 milioni di dollari per un quadro di Mark Rothko del 1969, la 42ª edizione di Art Basel, la più grande e prestigiosa fiera d'arte contemporanea al mondo, aperta al pubblico dal 15 al 19 giugno. I primi segnali fanno pensare che la crisi del 2008-2009 sia ormai lontana e sia tornata una gran voglia di acquistare arte contemporanea.
Nei vari appuntamenti riservati ai Vip ieri si sono visti Dasha Zhukova, la compagna del magnate russo Roman Abramovich; la modella Naomi Campbell; l'attore Will Ferrell; ma anche la figlia dell'emiro del Qatar nonché i collezionisti americani Don Mera Rubell. Ma tra gli habitué di art Basel figurano anche il magnate indiano Aditya Mittal, Howard Rachofsky, Laurence Graff, gli attori Brad Pitt e Val Kilmer.
All'evento di Basilea hanno trovato posto quest'anno 300 gallerie (su circa mille che hanno fatto richiesta) in rappresentanza di 35 paesi che espongono i lavori di oltre 2500 artisti, assicurati per oltre 1,75 miliardi di dollari, il 15% in più del 2010, secondo le stime di Robert Read della Hiscox. Sono attesi oltre 60mila visitatori. Arte Basel, fondata nel 1970 da Ernst Beyeler e altri, lanciata a livello internazionale da Sam Keller che l'ha diretta dal 1999 al 2008, é diventata un appuntamento da non perdere per galleristi e collezionisti.
La parte del leone è fatta da americani ed europei. Tra le gallerie si annoverano 73 provenienti dagli Usa, 50 dalla Germania, 32 dalla Svizzera, 31 dalla Gran Bretagna, 23 dalla Francia, 20 dall'Italia, 8 dal Belgio, 7 dal Giappone e dalla Spagna, 6 dall'Austria, 4 dal Brasile e dalla Polonia, 3 dalla Cina, dalla Danimarca, dall'India, dalla Norvegia e dai Paesi Bassi, 2 dal Canada, dall'Irlanda, dal Messico, dal Portogallo, dalla Svezia, dal Sudafrica e dalla Turchia e 1 rispettivamente dall'Argentina, dalla Corea del Sud, dalla Finlandia, dalla Grecia, da Hong Kong, dall'Islanda, da Israele, dal Libano, dalla Russia, dalla Slovenia, dalla Thailandia e dall'Ungheria.
«C'è aria di boom quest'anno a Basilea» - avverte Philip Hoffman, ceo della londinese Fine Art Fund, che ha già venduto quattro pezzi per 8,2 milioni di dollari e ha dichiarato a Bloomberg : «I ricchi vedono l'arte come una protezione contro la recessione. Oggi sono consigliati meglio rispetto al 2007, anno del boom, in cui ho visto degli idioti comprare qualsiasi cosa».
Andy Warhol da 80 milioni 
Pochi minuti dopo l'apertura della fiera, dal gallerista svizzero Bruno Bischofberger si è fatto avanti un collezionista europeo interessato al quadro gigante da 10 metri di Andy Warhol raffigurante Marilyn e messo in vendita per 80 milioni di dollari. Ma poi l'opzione è saltata perché il venditore ha deciso di ritirare il quadro dal mercato.

Opere del 1960-70 
I collezionisti americani ammettono che i prezzi sono un pò alti e che bisogna fare i conti con l'euro che si è rivalutato, ma che la qualità è buona quest'anno. Particolare interesse sembrano incontrare le opere del periodo 1960-1970. Due dei 13 barattoli di Campbell's Tomato Juice del 1964 firmati da Andy Warhol messi in vendita da un collezionista privato, hanno trovato subito dei compratori disposti a sborsare 1,1 milioni dollari per ciascun pezzo.

Una scultura di Anish Kapoor, l'artista anglo indiano attualmente presente in Italia con tre installazione tra Milano e Venezia, è stata venduta dalla galleria Lisson per circa 890 mila dollari (625mila euro). Uno stereogramma di Haroon Mirza, promettente giovane artista vincitore del Leone d'argento alla Biennale di Venezia 2011, é passato di mano a 26mila dollari (18mila euro). «I ricchi sono sempre più ricchi - commenta il gallerista che nelle prime quattro ore di apertura della Fiera ha venduto ben 15 pezzi - scendono dall'aereo e comprano. Anche se i prezzi richiesti sono alti».
La scorsa estate sono stati i visitatori asiatici e del Medio Oriente a conquistare la scena, quest'anno ci si aspetta qualche acquisto eclatante da parte dei collezionisti dell'America Latina, in particolare del Messico e del Brasile.
FONTE: Antonia Bordignon (ilsole24ore.com)

lunedì 13 giugno 2011

Spoleto 2011, un'officina per tutte le arti al via il 24 giugno il Festival dei due mondi

LA 54esima edizione del Festival di Spoleto parte il 24 giugno. Aggiustati i tiri, equilibrate le sezioni, arricchiti i programmi, abbondano i divi, le proposte, le occasioni. E (farà piacere a molti) c’è anche un preciso omaggio al padre fondatore, Gian Carlo Menotti, scomparso il 1° febbraio 2007: il Due Mondi di quest’anno è dedicato a lui per espressa volonta del direttore della rassegna, Giorgio Ferrara, nel centenario della nascita del maestro (Menotti avrebbe compiuto un secolo il 7 luglio). E al Teatro Nuovo andrà in scena, il giorno dell’inaugurazione, «Amelia al ballo», primo titolo lirico del compositore di Cadegliano.

Ferrara, saldamente insediato da quattro stagioni, firma un cartellone organico, memore della tradizione ma aperto al nuovo, ai giovani, alla internazionalità. Ama riparlare del Due Mondi-officina che guarda avanti, pur senza dimenticare le vocazioni d’origine e la valorizzazione di una collocazione geografica privilegiata. Non a caso il Festival è tornato ad essere, come nel passato, luogo di produzione di allestimenti originali, concepiti per l’occasione e per la prima volta offerti al pubblico. Proprio l’«Amelia», di cui lo stesso Ferrara firma la regia, ne è non piccola testimonianza.

I nomi? Tanti, da Jeanne Moreau a Luca Ronconi, da Anouk Aimée a Angel Corella, da James Conlon ad Andrea Camilleri, da Annamaria Guarnieri ad Adriana Asti, Maurizio Scaparro, Massimo Ghini, Claudio Santamaria, Massimo Popolizio, Filippo Timi... Il teatro, tutto considerato, fa la parte del leone. Sarebbe contento, ancora una volta, il maestro Menotti, che soprattutto nell’ultimo periodo della sua presenza spoletina, lamentava la penuria della prosa. 

Appuntamento da non perdere, fra le varie offerte, quello con «La modestia» di Rafael Spregelburd, diretta da Ronconi. Spregelburd, quarantenne argentino, ha scritto il suo primo testo teatrale a ventidue anni, «Cucha de almas», vincendo nel suo Paese il Premio nacional de dramaturgia. Da allora ad oggi ha prodotto una trentina di pièces che sono state rappresentate in tutto il mondo. «La modestia» che vedremo a Spoleto fa parte della «Eptalogia di Hieronymus Bosch», opera formata da sette testi dedicati a quelli che, per l’autore, sono i sette peccati capitali contemporanei. L’idea di scrivere l’Eptalogia, Spregelburd l’ha avuta osservando al Prado di Madrid la teatralissima tavola sui peccati capitali attribuita a Bosch. Ognuno dei sette capitoli, indipendenti l’uno dall’altro, associa un vizio contemporaneo alla traccia del corrispettivo antico. La modestia (in Bosch la superbia) è due parti e si svolge prima a Trieste, poi a Buenos Aires.

Vivace, al Festival, anche l’ambito tricolore, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Ci sono il «Cannibardo» di Massimo Ghini e i balli ottocenteschi; le letture di storia patria della Asti fatte assieme a Giorgio Ferrara; la rievocazione delle ultime ore di una grande italiana come Eleonora Duse che Scaparro ha affidato all’interpretazione della Guarnieri. E tanto altro, il cinema, le mostre d’arte, il new cabaret burlesque.

Ferrara si aspetta, da questa 54esima edizione, ulteriore crescita del pubblico, degli incassi, dell’attenzione da parte delle istituzioni, degli artisti, degli operatori, delle aziende, dei media. Un artista contemporaneo, Luigi Ontani, ha creato per il manifesto 2011 la figura di un’Italia-persona «titolare di una sempre verde e originale anima barocca, capace di fronteggiare esteticamente il mutare dei tempi».

FONTE: Rita Sala (ilmessaggero.it)

mercoledì 8 giugno 2011

Fibula Prenestina, giallo risolto: è autentica la più antica iscrizione latina

In una giornata di studio al Museo Pigorini, sembra sia stato finalmente risolto un giallo archeologico ultrasecolare, quello della Fibula Prenestina. Una Fibula (non fibbia, come si potrebbe essere tentati di tradurre, ma spillone, che si usava per tenere uniti lembi di tessuto) molto celebre: non solo per la sua semplice eleganza e la preziosità dell’oro, ma per un’iscrizione che per i linguisti vale ancor più dell’oro stesso, in quanto espressione di un latino antichissimo: Manios med phephaked Numasioi. In latino classico sarebbe Manius me fecit Numerio, cioè: Manio mi ha fatto per Numerio. 

Si usa la prima persona come se a parlare fosse il prezioso oggetto; per gli studiosi dell’evoluzione delle lingue antiche, il testo potrebbe risalire al VII secolo a.C. Due illustri specialisti, Daniela Ferro (CNR) e Edilberto Formigli (La Sapienza) hanno esposto i risultati di nuove indagini condotte con tecniche avanzatissime, e cioè con la microscopia a scansione elettronica accoppiata alla scansione per raggi X, studiata per acquisire dati certi sulla composizione chimica senza danneggiare in alcun modo il metallo. Il verdetto è perentorio: la Fibula è autentica.

Perché a questa conclusione si arriva solo ora? Vediamo. Il pezzo fu presentato dall’archeologo Wolfgang Helbig nel 1887, e la provenienza fu indicata in Palestrina. Nel 1889 il proprietario, l’antiquario Francesco Martinetti, la donò al Museo di Villa Giulia; nel 1900 fu trasferita proprio al Pigorini (che allora era al Collegio Romano). Helbig, grande studioso, era però molto legato ad antiquari (fra cui lo stesso Martinetti) e collezionisti. Qualcuno sospettò che il passo da antiquario a falsario potesse essere breve: Helbig oltretutto era ritenuto troppo bravo, bene in grado di inventare un’iscrizione in latino arcaico. Nel secolo scorso, pesante fu l’intervento negli anni ’80 dell’epigrafista Margherita Guarducci, che lanciò una condanna postuma per quel mondo di trafficanti di alto bordo fin-de-siècle. 

Ma ecco l’assoluzione. Già da anni Formigli, in base all’esame della struttura fisica, si era pronunciato per l’autenticità del gioiello, lasciando al momento nel dubbio l’iscrizione; questa poi però era stata riabilitata da Annalisa Franchi De Bellis (Università di Urbino). Ora, dopo la prosecuzione delle analisi con la Ferro, il quadro è più completo. 

La Fibula è costituita di ben 12 componenti, anche di dimensioni minime, e per ogni pezzo la lega impiegata (oro, argento, rame) presenta raffinate variazioni percentuali a seconda delle necessità (maggiore elasticità, maggiore resistenza, maggiore precisione per la cerniera…): è una caratteristica nota nelle oreficerie etrusche. Di più: l’oro col tempo cristallizza, e qui la cristallizzazione è uniforme pure su una piccola riparazione (che perciò è anch’essa antica) e soprattutto sui solchi dell’iscrizione, che quindi non è stata incisa in un secondo momento. Tutto risolto? No: la Fibula è autentica, ma il dibattito, già fra i numerosi presenti alla giornata di studio, si rilancia. Viene davvero da Preneste? Che vuol dire esattamente quel testo? Manios è autore o committente? Era un oggetto che si usava nella vita quotidiana, o era un dono per il corredo di un defunto? Non finisce qui.

Dubbi e polemiche si scatenarono immediatamente. Etruscologo, epigrafista, gran conoscitore di Pompei, autore di un monumentale catalogo dei musei di Roma, Helbig fu figura di spicco dell’Istituto Archeologico Germanico a Roma, ma proprio in quel 1887 si dimise per protesta, non essendone stato nominato direttore. Restò attivissimo però come studioso, sviluppando inoltre una serie di relazioni con gli antiquari (fra cui proprio il Martinetti, autore di quel dono) e con spregiudicati collezionisti, come Carl Jacobsen, che andava realizzando a Copenaghen la Gliptoteca Ny Carlsberg, dal nome della birra da lui prodotta.

Da antiquario a falsario il passo talvolta è breve, e proprio questo qualcuno rinfacciò a Helbig, che oltretutto era ritenuto in grado di inventare un’iscrizione in latino del VII secolo a.C. Così nell’interminabile querelle che ha attraversato il Novecento l’epigrafista Margherita Guarducci fece eseguire fra l’altro analisi dell’oro, e concluse che si trattava di un falso.

Ma due anni fa un’illustre studiosa dell’Università di Urbino, Annalisa Franchi De Bellis, ha riaperto la questione: quel med phephaked (mi ha fatto) della discussa iscrizione, che ormai consideravamo invenzione del geniale ma disonesto Helbig, in realtà lo troviamo in iscrizioni falische di recente scoperte: e i Falisci, si sa, avevano origini comuni con i vicini Latini, e anche una lingua analoga. Ora, la Ferro e Formigli hanno condotto nuove indagini, stavolta microanalitiche, con microscopio elettronico a scansione. Avranno risolto il giallo, come il titolo della conferenza sembra suggerire? Potrà considerarsi recuperato quel remoto antefatto del latino a noi noto?

FONTE: Sergio Rinaldi Tufi

martedì 7 giugno 2011

MIA, la nuova fiera della fotografia, piace molto ma vende poco

Si è conclusa domenica 15 maggio la prima fiera fotografica italiana nel sempre più prolifico Superstudiopiù (www.miafair.it) con un enorme successo di pubblico. Sono stati 15mila gli appassionati che l'hanno visitata, di cui molti fotografi e tecnici di laboratori fotografici per un valore assicurato di 4 milioni di euro (non comprendente le gallerie con opere molto care, assicurate separatamente). La fiera con 230 espositori, annunciata come un appuntamento necessario per riunire il collezionismo di fotografia in Italia e promossa da Fabio Castelli (www.fabiocastelli.it), ex direttore della galleria Fotografia Italiana, collezionista ed esperto di fotografia, è stata accolta con slancio dai galleristi . 

Secondo molti, infatti, in Italia mancava un appuntamento fieristico interamente dedicato alla fotografia che formasse un nuovo collezionismo mirato e informato (come per esempio, quello americano che si ritrova alla fiera Aipad-The Association of International Photography Art Dealers, www.aipad.com - dal 1979). Gran parte delle opere esposte aveva prezzi abbordabili, intorno ai 5mila euro. Alcuni galleristi hanno scelto di prendere più di uno stand, visto che la regola era di presentare un solo artista per stand, arrivando così a portare varie mostre monografiche. Così Camera21 di Roma, presentava per esempio, stampe ai sali d'argento di Eva Tomei (www.evatomei.blogspot.com, dai 700 ai 1200 euro a seconda del formato, in tiratura di 3), e nello stand accanto il duo di fotografi Diamonds Land (www.diamondsland.org/) che mette sottosopra i guru del mondo dell'arte con un collage tridimensionale a 5.550 euro e stampe digitali. 

Mentre Antonia Jannone, che aveva 4 stand, ha presentato per la prima volta il giovane Simone Florena (stampe dai 1.550 ai 5mila euro, www.simoneflorena.com), e nello stand accanto Ferdinando Scianna(it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Scianna), storico maestro della perfezionismo compositivo in bianco e nero (con prezzi dai 3mila a i 4mila e tiratura aperta). Altri lavori in tiratura aperta erano quelli di Nobuyoshi Araki (www.assemblylanguage.com/reviews/Arakii.html) nello stand di Cà di Frà, le cui cibachrome costavano da 4.500 ai 6mila euro. Il fatto che Araki non abbia mai fatto lavorato in tiratura in vita, ha imposto ai galleristi e di conseguenza ai collezionisti la tiratura aperta, e per chi non la accetta ci sono sempre le sue polaroid, in vendita a 1000 euro l'una. Secondo Castelli, il collezionista non ha alcun problema a comprare così perché fino a vent'anni fa, molti dei lavori che adesso sono in vendita di maestri indiscussi, erano considerati solo lavori di fotogiornalismo, per cui la tiratura aperta è scontata. Sono gli artisti stessi come Berengo Gardin /it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Berengo_Gardin) o Scianna che rifiutano di limitare le copie, proprio perché le trattano come parte del lavoro fotogiornalistico svolto.

Per chi voleva scoprire artisti senza galleria, c'era un'ampia zona con stand pagati dagli artisti che, in caso di vendite, dovevano dare una percentuale alla fiera. Alcuni artisti si sono pentiti di aver partecipato, perché a loro parere, il collezionista di solito non fa il talent scout e va dalle gallerie di fiducia. Questa sezione della fiera, era, a dire il vero, meno popolata di quella con le gallerie e di minore interesse. Le vendite, però, sono state scarse in ogni parte della fiera, tanto che Massimo Minini ha affermato di sentirsi fortunato ad avere ormai da anni un seguito di collezionisti che lo seguono, perché per le gallerie più giovani è più difficile chiudere la fiera in attivo. Pochi i collezionisti che hanno comprato, malgrado la grande affluenza, e molti i curiosi, soprattutto artisti, benché nel suo stand si potessero comprare gli scatti dell'americana Francesca Woodman (www.studio-international.co.uk/photo/woodman.asp) per 4mila euro l'uno in tiratura da 25.
Questo forse è stato un primo passo verso la formazione di un collezionismo per la sola fotografia in Italia, e come inizio ha suscitato un grande interesse che può essere sviluppato, col miglioramento continuo della proposta fieristica, che si è di certo contraddistinta per l'alta qualità della serie di conferenze e degli incontri con importanti fotografi.

FONTE: Irina Zucca Alessandrelli (ilsole24ore.it)

lunedì 6 giugno 2011

«Produco gadget, l'arte non basta»


Murakami: mescolo le tradizioni per far incontrare identità diverse. Nomadismo, contaminazioni, mercato. Il maestro a Palazzo Grassi.

Da globale, il mondo sta diventando apolide, cioè abitato da individui che non vivono dove sono nati o dove hanno le proprie radici. In questi giorni, Venezia è tornata ad essere la terra di questi apolidi. È diventata un'enorme sogliola brulicante di idiomi, segni e colori che ricorda un «superflat», ovvero quelle superfici dense di storia e cariche di futuro che caratterizzano le opere di Takashi Murakami, il maggior artista giapponese. Il cui lavoro The emergence of God at the reversal of faith - composto da 16 pannelli che occupano un'intera stanza - è esposto nella mostra inaugurata ieri a Palazzo Grassi. Una mostra che tratta proprio il tema del nomadismo: dei quaranta maestri contemporanei esposti, infatti, più del 50% non vive nel Paese dov'è nato.
«Io penso che la scelta dei curatori sia azzeccata e il titolo, Il mondo vi appartiene, sia una prospettiva giusta. Il mondo contemporaneo non può che parlare diverse lingue» afferma Murakami che, studio a New York a parte, è però un artista molto legato alla tradizione giapponese. Pertanto, il suo nomadismo si esprime soprattutto nel sovrapporre diverse tradizioni culturali e religiose. «Io sono un traduttore delle tradizioni» racconta. «Per capire come avvengono questi incontri tra identità diverse nella mia opera bisogna seguirne il processo creativo. Che, nel caso di questa esposta a Palazzo Grassi, parte da un teschio, riprodotto decine e decine di volte. Questo elemento è un riferimento alla tradizione cinese di 600 anni fa, poi copiato dai giapponesi. Le nubi che si vedono nell'opera sono invece ispirate a quelle del periodo Edo di 400 anni fa, e anche allora i temi figurativi erano ripresi dalla Cina. Dunque, io traduco queste diverse tradizioni nel mio quadro, ponendo elementi multiculturali su un supporto pittorico, anche come la tela, che è una espressione tipicamente occidentale».
I lavori di Murakami poggiano le basi nella tradizione cinese e giapponese più antica. Eppure, con la presenza di supereroi, manga e creature fantastiche, le immagini da lui create sembrano proiettare l'osservatore verso un futuro immaginifico. «Nella mia espressione pittorica c'è un'unione di due elementi: l'epoca della tradizione e quella pop. Il loro punto di unione è la linea. La linea dà vita a tutte le immagini, siano esse manga o qualsiasi altra cosa. La linea è lo strumento che aggancia le diverse tradizioni. In Giappone ci concentriamo molto sull'essenza della linea e sul suo concetto linguistico».
FONTE: corriere.it

venerdì 3 giugno 2011

Memoria e gioco: Chiharu Shiota conquista la Biennale

Memory of books dell'artista giapponese esposta a Venezia in collaborazione con Shiseido

Shiseido, nota azienda leader in campo cosmetico da sempre fortemente legata all'arte, per la prima volta parteciperà alla Biennale di Venezia, uno dei più importanti appuntamenti artistici a livello internazionale, giunto alla sua 54esima edizione. Il brand giapponese sarà sponsor della suggestiva mostraMemory of Books di Chiharu Shiota a cura di James Putnam. Fin dalle sue origini nel 1872 Shiseido si è sempre caratterizzata per una spiccata attitudine al mecenatismo, molte le attività culturali che l'azienda giapponese ha dedicato all'arte. Una di queste è la Shiseido Gallery, una galleria d'arte aperta a Tokyo nel 1928, che Shiseido mette a disposizione di artisti già noti, emergenti o spesso addirittura sconosciuti. E' proprio nella Shiseido Gallery che è avvenuto l'incontro tra Shiseido e Chiharu Shiota, l'ormai celebre artista che fino al 2010 è stata parte della Tsubaki-kai, mostra di gruppo che dal 1947 viene allestita presso la Gallery di Tokio.

Chiharu Shiota ha creato per la Biennale di Venezia una suggestiva installazione che occupa una stanza intera: una moltitudine di fili di lana nera che partendo dal soffitto e dalle pareti si intrecciano per formare una gigantesca rete. All'interno di questa enorme rete, nella quale i visitatori devono farsi strada, sono avvolti centinaia di libri, una scrivania con la sua sedia e pagine sparse per la stanza. L'opera è una rappresentazione evocativa delle intricate relazioni umane, i fili di lana e del bagaglio della memoria di ognuno, i libri e le pagine. Nata ad Osaka nel 1972, 
Chiharu Shiota attualmente lavora a Berlino ed è molto nota su scala internazionale I temi centrali della sua opera sono il  ricordo e l'oblio, il sonno e il sogno, tracce del passato e dell'infanzia, il rapporto con le proprie ansie.
Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali.

FONTE: Francesca Lovatelli Caetani (libero-news.it)