venerdì 26 luglio 2013

Ogni pagina un dipinto: le opere di Ekaterina Panikanova



L'artista russa utilizza i libri come fossero tele, componendo un mosaico di carta e colore

Avete mai ritrovato un oggetto che inspiegabilmente evoca un'immagine, un sentimento o il ricordo di un momento e luogo specifico nel tempo? L’artista russa Ekaterina Panikanova esplora il tema dei ricordi d'infanzia, grazie ad una serie di opere estetiche e concettuali che esaltano l’impiego di un mezzo insolito.

Panikanova tenta infatti di riscrivere visivamente le storie più intime della psiche umana intervenendo sulle pagine ingiallite di vecchi libri, quaderni di scuola e stampe di epoche diverse che assumono la duplice funzione di supporto e struttura concettuale.

In questo modo i disegni celebrano il mondo dell’infanzia, in un continuo tentativo di ritrovare la radice più profonda e intima del proprio essere.

Nata a San Pietroburgo nel 1975, Ekaterina attualmente vive e lavora dividendosi tra l'Italia e la Russia. Dopo gli studi presso la Scuola dell’Arte del Museo dell’Hermitage in San Pietroburgo nel 2001 ha conseguito la Laurea in Pittura Monumentale presso lo studio del professore Andrey Milnikov. Due anni più tardi è stata accolta nel Circolo degli Artisti di San Pietroburgo confermandosi una delle artiste più attive e prolifiche del panorama sovietico.

Adattando vecchi libri, quaderni e stampe di varie epoche in una griglia irregolare, Panikanova mette insieme una tela di grandi dimensioni non convenzionale dalle superfici interrotte. Disposti in gruppi irregolari, i libri assomigliano ad intricati tasselli di un puzzle: intercambiabili ma fortemente dipendenti l’uno dall’altro, molto simili alle esperienze e i ricordi che compongono la nostra vita.

Il risultato è una serie di spettacolari opere tridimensionali che evitano il formato tradizionale della pittura, per regalare allo spettatore una tecnica che spazia tra dipinto, installazione e collage.

FONTE: Giorgia Garbuggio (Nexta)

mercoledì 24 luglio 2013

Penone a Versailles. Parigi celebra l'Arte Povera


Per la prima volta, la consueta mostra-installazione estiva nella Reggia ospita un italiano. Dopo Jeff Koons, Takashi Murakami, Bernar Venet e Joana Vasconcelos è stato invitato l'artista piemontese, che ha realizzato per l'immenso parco diciassette sculture che saranno esposte fino al 31 ottobre.

Giuseppe Penone da sempre interagisce con la natura, gli piace catturarne aspetti inediti, la manipola ampliandone la bellezza intrinseca, è questa la sfida principale che in ogni suo lavoro mette in atto. Anche nella sorprendente cornice di Versailles, che ospita ora una sua personale, la prima di un artista contemporaneo italiano, non ha rinunciato a dialogare e ad indagare l'ambiente esterno operando con grande gusto e andando come sempre in profondità.

In reale stato di grazia, l'artista, questa volta più di altre, incanta con una serie di installazioni che sembrano abitare lo spazio, sia all'aperto che al chiuso, con grande autenticità e naturalezza. Di recente negli stessi spazi sono passati Murakami, Koons e la Vasconcelos, ma la raffinata e difficile mostra sembra far superare senza indugi ogni minima traccia mnemonica lasciata dai suoi predecessori, proiettando lo studio fatto in site-specific in una dimensione di grande armonia. Non si lascia minimamente influenzare dall'opulenza degli spazi e porta con decisa delicatezza il suo sistema dentro il contesto: legno, pietra, marmo, ferro sono i materiali a cui rimane fedele, coinvolgendoli nel suo progetto in modo da proporre un piano di ricchezza molto diversa dal sogno narcisista realizzato dal Re Sole. Del resto, da un artista poverista è ciò che giustamente ci si doveva aspettare.

Giuseppe Penone viene dalla provincia di Cuneo, ora vive ed opera tra Torino e Parigi, dove insegna all'École des Beaux-Arts. I suoi esordi artistici risalgono al 1968 con la prima personale a Torino, dove già rivelava la strada che avrebbe seguito e che porta, oggi come allora, al rapporto tra uomo-natura. Germano Celant nel '69 lo invita a contribuire al volume "Arte Povera", dove un insieme di fotografie testimoniano le azioni dell'artista in un bosco, mentre segue il processo di crescita degli alberi. Far parte del gruppo dell'Arte Povera, che raccoglie gli artisti italiani oggi più riconosciuti a livello internazionale, per Penone è la logica continuazione di quel dialogo che aveva intrapreso tra le forme del corpo umano e gli organismi vegetali, come alberi e boschi, fiumi e montagne, piante e giardini. La natura per Penone non è una forza da dominare, a differenza delle gigantesche installazioni della Land Art americana, l'intento dell'artista è quello di entrare nel gioco della natura, capirne le regole, i processi e proseguire con essa la creazione attraverso variazioni non invasive. Tra Scorza e scorza del 2008, è l'opera chiave della mostra, intorno alla quale si sviluppa il percorso, è formata da due calchi di corteccia che provengono da un gigantesco cedro del Libano, che sembra essersi divelto proprio a Versailles.

Un'altra scultura racconta il senso di monumentalità scarna che percorre tutta l'esposizione: Le foglie delle radici del 2011, mostrano una giovane pianta che sta crescendo proprio sulle radici rovesciate. Le sculture di Penone riescono ad imporsi sull'immensità del luogo, non disperdendosi, grazie alla capacità di ribaltare le dimensioni incantando con la forza delle idee perfettamente realizzate. Luigi IV amava la Reggia di Versailles e ne godeva a tal punto d'aver scritto una guida per visitarne i giardini indicando con grande precisione ogni rilievo e scultura, raccomandando così di non trascurare nulla. Penone infonde poesia in quei luoghi, facendo riflettere in totale naturalezza, perché 'respirare è scultura come un'impronta digitale è un'immagine pittorica', è invece l'indicazione data da questo artista.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

martedì 23 luglio 2013

Il mondo di Paz nel Porto Antico di Genova


Le opere di Andrea Pazienza approdano al Museo Luzzati che dedica al mito dell’artista un percorso antologico.



Nella cornice del Porto Antico di Genova, dal 25 luglio al 7 ottobre, il Museo Luzzati ospita una mostra su Andrea Pazienza.

Tra i percorsi antologici dedicati al celebre fumettista, questo rappresenta il più ricco omaggio che il nord Italia possa vantare da 15 anni a questa parte.

La selezione raccoglie 100 tavole originali che includono le storie ribelli di Zanardi, quelle in slang di Pentothal, il durissimo viaggio tossico di Pompeo, le ironiche avventure del Presidente partigiano Pert, e ancora le storie di Astarte, il cane da guerra di Annibale, e il delirio di Campofame.

Un’occasione per ripercorrere il febbrile ventennio compreso tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta dal punto di vista di Paz, che grazie al suo talento trasgressivo espresse un punto di vista alternativo e contribuì al movimento d’avanguardia con una cifra stilistica personalissima.

ARTE.it




venerdì 5 luglio 2013

L'arte della Sottrazione. Roma celebra Emilio Isgrò


Si intitola "Modello Italia 2013-1964",  la mostra che fino al 6 ottobre 2013 la Galleria Nazionale d'Arte Moderna dedica al grande artista siciliano. Comincia volutamente dove finiva l'antologica che il Centro Pecci  presentò nel 2008: comprende cioè la nuova stagione creativa e completa il valore della produzione già storicizzata decretando un nuovo senso alla pratica della cancellatura, segno distintivo della poetica dell'autore

Continuano a creare inquietudine le parole cancellate di Emilio Isgrò. Celano un mistero che pesa ben più del singolo significato che quella parola oscurata esprimeva. La forza di un lavoro artistico che saprà mantenersi sempre attuale, è ben documentata in ''Modello Italia'', un'ampia antologica che si sta svolgendo alla Galleria d'Arte Moderna di Roma, curata da Angelinandreina Rorro. L'esposizione non è allestita in ordine cronologico, ma presenta un percorso a ritroso. Così nelle sale al piano terra sono ospitate le opere realizzate negli ultimi cinque anni: da ''Dichiaro di essere Emilio Isgrò'' (2008), a ''Modello Italia'' (2012), c'è poi ''La costituzione è cancellata'' (2010), fino a ''Sbarco a Marsala'' (2010). Al piano superiore della Gnam sono invece esposte le opere eseguite tra il 1964 e il 1985: come ''Enciclopedia Treccani'' (1970), i primi libri cancellati e ancora la sempre carica di tensione emotiva ''Ora italiana'' (1985), dedicata alla strage di Bologna.

Passeggiando in quelle sale ci si trova circondati da immagini create da macchie ripetitive, scritti, parole, e si ha la sensazione di attraversare un racconto immaginato a capitoli, che tocca e assorbe tendenze e movimenti artistici, dalla poesia visiva al concettualismo, ma che al contempo ricrea un linguaggio nuovo e originale, irrequieto e irripetibile. E' palpabile la necessità dell'artista siciliano, di entrare in contatto con esperienze e conoscenze diverse, ma ciò non lo distrae e non lo

spinge a cambiare il tema di fondo. E' caratteristica di Isgrò quella di partire sempre da qualcosa di già esistente, atteggiamento dadaista che contraddistingue il suo operare, e tra questi oggetti sceglie sistemi pieni di contenuti, memoria, conoscenza. Strumenti cognitivi con spessore culturale, come libri, giornali, enciclopedie, e in questi ama raggiungere la cronaca, la saggistica, la filosofia, che saccheggia, altera e modifica praticando la ''cancellazione'' che diventerà la sua principale cifra stilistica.

Il tutto ha inizio nel 1962, quando facendo l'editing di un testo di Giovanni Comisso, Emilio Isgrò si trova difronte a un groviglio di segni e correzioni, episodio che lui stesso definirà con queste parole: ''Un mare di cancellature, il cui peso era più forte delle parole''. Questa improvvisa consapevolezza travolge la forza espressiva di Isgrò che ritroverà in questa pratica mille risvolti per impossessarsi di immagini e significati. Con abili interventi grafici, di volta in volta le sparizioni, i ritrovamenti, le negazioni, le censure e gli spostamenti, assumeranno aspetti differenti.

Ai segni preesistenti si aggiungono in sovrapposizione i nuovi, trame differenti si intrecciano, le parole cancellate donano forza a quelle rimaste e l'abilità gestuale nel ponderare il segno più o meno insistente, e la macchia evidenziata o sospesa, trasmette un'eleganza compositiva che dona all'immagine equilibrio e solennità. Mai prevedibile nel suo agire, impedisce di vedere e al contempo svela parti di testo che sarebbero potute passare senza lasciare segno.

''Indisciplinato'', così lo definisce Ferruccio De Bortoli in uno dei testi in catalogo (gli altri sono affidati ad Aldo Nove, è presente un dialogo tra Isgrò e Gillo Dorfles e un omaggio di Maurizio Cattelan), ad onore del vero Emilio Isgrò è un artista che tanto ama le immagini da volerle manipolare fino a stravolgerle. Entrato nelle case di tutti come quinta raffinata della popolarissima trasmissione televisiva Passepartout di Philippe Daverio, a lui stesso ben spiegato il suo ''modus operandi'', affermando che: ''Una parola cancellata sarà sempre una macchia. Ma resta pur sempre una parola". Famosa è anche la dedica di Dino Buzzati quando inviò all'artista il suo "Poema a fumetti": "A Emilio isgrò affinché mi cancelli".

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

giovedì 4 luglio 2013

A Villa Medici c'è Victor Man, il pittore della memoria


"Il mio lavoro ha molto a che fare con la memoria perché gli oggetti che dipingo, sebbene estrapolati dal loro significato originario, recano tracce del loro passato. E implicitamente essi si collegano con la memoria, che è già presente in loro, nel loro sangue”. Victor Man, quarantenne artista rumeno, usa queste parole per parlare della sua pittura che lo ha rivelato alla critica internazionale nel 2007, quando fu invitato a rappresentare il suo paese nel padiglione della Romania alla Biennale di Venezia.

Il suo particolare linguaggio stilistico, derivato dalla fotografia d’archivio, ma mescolato con influenze provenienti da ambiti culturali diversi, in particolare dalla letteratura e dal cinema, ma anche dalla pittura dell’Ottocento e dalla Pop Art. Ha aperto nuove possibilità alla pittura figurativa, sollecitando le sue relazioni con la storia e con la finzione.

Da alcuni giorni, l’Accademia di Francia a Villa Medici ha inaugurato una personale dedicata a Victor Man, dal titolo “In un altro aprile”, che chiude un ciclo di tre mostre intorno al concetto di Accademia e al rapporto degli artisti contemporanei con la tradizione, a cura di Alessandro Rabottini (fino al 1 settembre, viale Trinità dei Monti 1. Info: www.villamedici.it ).

Nelle sale della villa al Pincio, sono esposti, sia i dipinti elaborati da fotografie, che illustrano la prima fase della ricerca di Victor Man, che le opere più recenti, dove le immagini, le referenze iconografiche, sono allo stesso tempo letterarie, storico-artistiche e autobiografiche, mescolando i diversi livelli di lettura. Lo spettatore viene avvolto da un senso di ambiguità e spaesamento, che spesso, e volutamente, pervade le opere dell’artista. Le sue pitture dai toni cupi e gli assemblaggi di oggetti decontestualizzati, sono intrisi di malinconia e sottintendono preoccupazioni personali, legate a temi universali, quali l’identità declinata attraverso la figura dell’androgino.

I gesti delle figure, nelle sue opere, sembrano sospesi tra violenza e tenerezza. il mistico si sovrappone all’erotico e il sacro al violento, nella continua ricerca dell’eleganza della figurazione pittorica. Victor Man pesca nel “rimosso” della memoria collettiva e, osservando le sue opere, si ha la sottile percezione, a volte inquietante, di un “già visto”. L’artista non è mai esplicito, ma ci fornisce indizi, e le sue immagini risultano enigmi, che affiorano come stati d’animo e ricordi sfuggenti.

FONTE: Valentina Bruschi (ilmessaggero.it)

martedì 2 luglio 2013

Parks, la faccia nera del sogno americano



Si apre oggi ad Arles la mostra dedicata al grande fotografo che ha usato le sue immagini come un’arma contro il razzismo


Una delle tante leggende su Gordon Parks vuole che abbia iniziato ad amare la fotografia quando, nel 1934, poco più che ventenne, faceva l’inserviente sui treni Chicago-Seattle: la gente lasciava sui sedili Life e Vogue e lui, intelligenza sveglia di chi nasce ultimo di 15 figli in una famiglia nera e povera del Kansas, imparava da autodidatta, sfogliando quelle riviste patinate, cosa fosse e come si costruisse un’immagine. Certo poi avrà altri maestri come Roy Stryker, mitico direttore della Fsa (Farm Security Administration, culla della fotografia documentaristica americana), che l’accoglierà a Washington e lo porterà poi con sè alla Standard Oil. Alla Fsa il giovane Parks cerca di sbollire la rabbia per il razzismo di cui si sente circondato anche a Washingotn realizzando un reportage sulla vita della donna nera che fa le pulizie in quegli uffici: strizzando l’occhio al celebre quadro di Grant Wood la ritrae (siamo nel 1942) sotto una bandiera americana, con la scopa in una mano e nell'altra uno strofinaccio, e titola l’immagine American Gothic. Subito nessuno gliela pubblica, ma diventerà un’icona della fotografia americana del dopoguerra. 

A realizzare la prima grande retrospettiva italiana su Parks è stata nei mesi scorsi la Fondazione Forma a Milano e la stessa mostra, curata da Alessandra Mauro e Sara Antonelli, approda da oggi ai «Rencontres de la photographie» di Arles, che François Hebel dedica quest’anno al bianco e nero. La mostra segue l’evoluzione di Parks, dalle prime foto documentaristiche degli Anni 40 ai grandi reportage degli Anni 70 (dopo, il poliedrico Parks diventerà anche compositore di musica e regista cinematografico e, in una vita piena di record, sarà il primo nero a girare un film per le major hollywoodiane). Si può leggere la carriera di Parks fotografo come un proseguimento della sua fascinazione giovanile per Life e Vogue, perché Parks non sarà solo un grande documentarista ma anche un raffinato fotografo di moda e lavorerà da professionista per entrambe le testate.  

Ci sono, nella fotografia, vari modi di operare: c’è chi teorizza e pratica il distacco assoluto dai soggetti che riprende, e chi invece si fa coinvolgere al punto da viverci insieme per mesi e di andarli a cercare anche anni dopo gli scatti per vedere che fine hanno fatto e come se la passano e magari aiutarli a trovar casa o a risolvere problemi economici. Gordon Parks appartiene a questa seconda categoria: i suoi reportage - che abbiano per oggetto la donna delle pulizie della Fsa, le Pantere Nere e i movimenti antirazzisti Anni 60, Malcolm X o la famiglia Fontenelle che vive di stenti a Harlem, Cassius Clay o Luther King o i giovani delle gang di strada a New York - sono per lui fonte di incontri e amicizie che durano nel tempo. 

Il suo talento si manifesta anche nei ritratti di personaggi del mondo del cinema, artisti, musicisti o gente del jet-set: si va da Ingrid Bergman (celebre la serie a Stromboli sul set dell’omonimo film, quando lei viveva la sua storia d’amore con Rossellini) a Giacometti, da Carlo Levi (lo riprende nel suo studio mentre dipinge una modella) a Leonard Bernstein. Parks non si cimenta solo con il bianco e nero, ma lavora con risultati notevoli anche con il colore: basti pensare al reportage del 1957, «sporco» e cinematografico alla Cattivo tenente, in cui segue per un po’ di giorni la polizia di Chicago, o alle eleganti foto di moda dei primi Anni 50 o alle acciaierie della Pennsylvania o a The Learning Tree. C’è in Parks anche una vena letteraria: non solo scrive articoli e testi che accompagnano le sue foto, ma talora realizza reportage che si ispirano a celebri romanzi, come nel caso dell’Uomo invisibile di Ralph Ellison. 

Il taglio delle immagini, lo sguardo di Parks, il suo modo di comporre si possono definire classici: forse per valorizzare ancora di più gli emarginati o i discriminati di cui si occupa, il fotografo ha un’attenzione non comune per la forma, per i rapporti tra luce e ombra, e non mancano (non solo nel caso di American Gothic) i rimandi all’arte. E sono molte le immagini della mostra che rimangono scolpite nella mente: si tratti della fila di scarpe su un selciato di Harlem, della bambina che beve alla fontana per «coloured only» in Alabama, della donna nera che aspetta il tram su un marciapiede di Washington, delle modelle newyorchesi con taglio alla garçonne. E se pensiamo ai conflitti razziali di quegli anni possiamo davvero dar ragione a Parks (morirà 94enne nel 2006) quando diceva che la macchina fotografica è stata per lui «un’arma da usare contro tutto quello che non mi piace dell’America: la povertà, il razzismo, la discriminazione». 

GORDON PARKS, UNA STORIA AMERICANA  
ARLES MAGASIN ELECTRIQUE  
FINO AL 22 SETTEMBRE  

lunedì 1 luglio 2013

Terremoto in Emilia, donne simbolo della ricostruzione


C'è la parrucchiera che torna a fare lo shampoo alle mamme sotto una tenda. E la sarta che ha perso la Singer, e cuce a mano. E la fornaia, la venditrice ambulante, la titolare dell'agenzia di viaggi. Ci sono tutte. Venticinque donne simbolo dell'Emilia martoriata dal terremoto, che hanno saputo ripartire. Due giornalisti di SkyTg24, Ilaria Iacoviello e Giampiero Corelli, ne hanno fatto un libro di testi e foto d'autore, che è diventato un manifesto per il popolo emiliano che ha bisogno di tornare a sperare. E’ questo il cuore del progetto “Emilia, Ricostruzione Donna”, che racconta storie di grinta e determinazione ma anche storie di delusione e incertezza per sottolineare che in Emilia sono tante le ferite ancora aperte: la ricostruzione va a rilento e le imprese continuano a soffrire. Le immagini e i testi che accompagnano quei volti di donna sono in mostra da giovedi 20 giugno, a Modena, presso la sede Lapam Confartigianato in via Emilia Ovest 775. La mostra fotografica resterà presso la sede provinciale Lapam fino al prossimo mercoledì 3 luglio per poi trasferirsi nei giorni successivi a Mirandola, uno dei comuni maggiormente colpiti dal terremoto, presso la Galleria del Popolo.

FONTE: ilmessaggero.it