domenica 29 novembre 2015

LE BARBIE 'ARTISTICHE' DI MARIEL CLAYTON, TRA SESSO SPINTO, OMICIDI E VIOLENZE


Mariel Clayton si è sempre definita una 'sovversiva' e concepisce le proprie idee allo scopo di scuotere il mondo tradizionale dell'arte.
L'ultima trovata dell'artista è nata in Giappone: "Ero in un negozio di bambole tradizionali e mi si è aperto un mondo: con quelli che consideriamo giocattoli per bambine è possibile immaginare, e raccontare, tante storie". E siccome Mariel è una sovversiva, ecco che ha immaginato una serie di situazioni in cui le bambole di Barbie vivono al limite, tra sesso spinto e sadomaso ed efferata violenza domestica ai danni del povero Ken.

FONTE: Leggo.it

giovedì 26 novembre 2015

A ROMA “ESPAI D’ART FOTOGRÀFIC”, LA MOSTRA FOTOGRAFICA DI 3 MAESTRI


Si inaugura a Roma oggi nella nuova sala esposizioni dell’Istituto Cervantes in piazza Navona intitolata a Salvador Dalí, la collettiva “Espai d’art fotogràfic”. Per la prima volta in Italia, la mostra raccoglie 70 opere appartenenti ai tre lavori fotografici vincitori del master della prestigiosa scuola internazionale di Valencia, Espai d’art fotogràfic: “Consumismo e abbandono. Impatto dell’uomo nel suo habitat” di Emilio Andrés Codina (20 foto, 2010), “The Unknown” di Sandra Sasera Cano (30 foto, 2011) e “New York. Lato B” di Jaime Belda (20 foto, 2012). I tre lavori selezionati da Francesc Vera, Romà della Calle e Tomàs Llorens, che resteranno esposti a Roma fino al 7 gennaio 2016, hanno come filo conduttore la visione critica dell’iconosfera contemporanea occidentale. I tre fotografi analizzano gli elementi sui quali si fonda il discorso della post-modernità, ognuno con le proprie idee estetiche e preoccupazioni, offrendo una chiave di lettura, capace di arricchire e decodificare la nostra visione del mondo.

FONTE: leggo.it 


mercoledì 25 novembre 2015

Echaurren sbarca alla Gnam: la contropittura si scopre adulta

Echaurren, la mostra alla Gnam


Roma, nella Galleria nazionale d'arte moderna si ammira l'autore famoso per la sua ecletticità, dalle "miniature" degli inizi alle Decomposizioni floreali, dalla corrispondenza con Calvino e Ernst alla collaborazione con Sofri e con Lotta Continua


Dopo tanti  insulti più o meno scritti e cancellati nelle sue tele colorate, e dopo tanti "Oask?!", finalmente uno degli artisti italiani più "precoci" è arrivato in una grande istituzione, come lo è la Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea (Gnam), dove dal 20 novembre (e fino al 3 aprile 2016) si potrà visitare "Pablo Echaurren. Contropittura", a cura di Angelandreina Rorro.

Precoce perché Echaurren (classe 1951) iniziò a muoversi tra colori e carte a soli 18 anni, incoraggiato e battezzato da un critico-gallerista che di nome fa Arturo Schwarz (senza di lui non ci sarebbe stato il Dada-Surrealismo) e da un artista che di cognome fa Baruchello (classe 1924), cui il riconoscimento sta arrivando invece soltanto negli ultimi anni... Proprio quest'ultimo fu uno dei primi ad ispirare Echaurren, come si vede nella prima sezione della mostra, dal nome "Volevo fare l'entomologo", che raccoglie i "quadratini", acquerelli e smalti di piccole dimensioni.

Molto interessanti le sale delle "Decomposizioni floreali", in cui sono raccolti lavori che palesemente mostrano un cambio di registro, una tabula rasa di colori urlati e parole che lasciano spazio a raffinate carte dove sono protagoniste ombre e tinture suggerite da petali. La mostra raccoglie, in diverse sezioni,oltre 200 opere (e ricche documentazioni) dell'artista, dagli anni settanta alle grandi tele di oggi, e va oltre quei tratti di Echaurren che in tanti conoscono, come i fumetti (chi si ricorda il libro sul futurista Marinetti edito da il Grifo editore?) o la passione per il basso (l'artista "curò l'immagine" del festival Arezzo Wave per diversi anni di seguito). L'esposizione di Roma, che non è un'antologica, mette l'accento su un artista più maturo, e ha come sezione centrale quella dedicata ai disegni e collage (molti dei quali esposti per la prima volta), legati all'esperienza dei cosiddetti "Indiani metropolitani" che, in un anno denso come quello del 1977, ha visto la nascita di una reintrerpretazione di tutti i  linguaggi estetici dell'avanguardia artistica con una finalità di denuncia e protesta.

Marcel Duchamp doveva essere un artista-strumento a disposizione di tutti: l'avanguardia storica andava collettivizzata. Certamente c'entra in questo, il coinvolgimento che l'artista ebbe nel movimento di Lotta Continua, chiamato da Adriano Sofri a illustrare giornali e scritti, contribuendo a fare di quel periodo, e dell'invaso creativo e intellettuale-culturale che ne conseguiva, il fulcro di quella controcultura di cui ancora oggi, in Italia, si fatica a capire il valore. Succede il contrario all'estero, tanto che Kevin Repp, curator  Beinecke Library, della Yale University, di cui si legge un testo nel catalogo dell'esposizione, ha acquistato proprio per la celebre biblioteca documenti e opere di Echaurren. Ciò che questa mostra in alcuni casi svela e in altri casi sottolinea, è il suo essere stato un artista sempre molto calato e presente nei suoi tempi, facendo confluire nei suoi lavori (ceramica, fumetto, pittura e scrittura che siano stati) la forte presenza di attualità, di attenzione storica a quanto accadeva intorno. Quanto alla sua ecletticità di modus operandi, forse è stata proprio questa a creargli chiusure più che aperture di porte a mercati e consacrazioni, che sono del resto quei "retroscena" che lui ha sempre osservato e "denunciato" a modo suo nei suoi lavori.

Ora, nonostante tutto questo, è un gran bel segnale vedere che un artista libero da dinamiche economiche e fortemente lucido e intellettuale come il suo vissuto biografico ha sempre voluto (da non perdere in mostra gli scambi epistolari con Italo Calvino e Max Ernst), arrivi in una grande istituzione come la Gnam.

Info utili
Pablo Echaurren. Contropittura
A cura di Angelandreina Rorro
Dal  20 novembre 2015 al 3 aprile 2016
Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Ingresso per disabili: via Gramsci 71
Catalogo: Silvana Editoriale con testi di A. Rorro, A. Schwarz, G. Baruchello, K. Repp, C. Salaris.
Orari di apertura: martedì - domenica dalle 8.30 alle 19.30. Ultimo ingresso ore 18.45 Chiusa lunedì
Biglietto: 8 euro, ridotto 4 euro Prima domenica del mese ingresso gratuito

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

martedì 24 novembre 2015

Sulle tracce degli impressionisti. 5 destinazioni per chi ama l'arte


SAINT REMY VAN GOGH

Per chi ama l’arte. Per chi da un viaggio vuol tornare arricchito. Le destinazioni in Europa per riconoscere il mondo visto attraverso i quadri dei grandi pittori – gli impressionisti per primi – non mancano. In Normandia, a Parigi, o ad Amsterdam ci sono le mete più conosciute, quelle che hanno ospitato i più grandi pittori. Basti pensare a Van Gogh e a Saint Rémy. A Saint Paul de Mausole è possibile fare una visita guidata al manicomio che ospitò il pittore: la facciata e il portone che ritroviamo nei suoi quadri esistono ancora.
Come esistono ancora i pazienti del manicomio, che tutt’oggi è ancora aperto. In Provenza i quadri degli impressionisti te li trovi davanti agli occhi: ad Aix en Provence, città natale di Cezanne, a Saint Paul de Vence meta privilegiata di artisti e intellettuali. Via dalla Provenza, in Normandia. A Giverny dove Claude Monet si trasferì con la sua compagna, Alice Hoschedé, e i loro otto bambini. Visse in una grande casa con frutteto e orto, dove si dedicò alle sue due passioni: la pittura e la botanica. Ma anche Dieppe, con Pissarro che dipingeva la chiesa di Saint-Jacques dalla sua camera all'Hotel du commerce. Il prossimo anno – dal 16 aprile al 26 settembre – torna il Festival Normandia Impressionista .
Portrait(s) impressionniste(s): il ritratto sarà il tema della terza edizione. Si potrà così scoprire che Renoir amava dipingere il viso delicato delle ragazze. Degas invece aveva una predilezione per le modiste e le lavandaie e Pissarro per le piccole contadine. Prima di allora, e prima di programmare un viaggio sulle tracce degli impressionisti meglio scegliere come prima destinazione Roma. Qui, al Vittoriano, fino al 7 febbraio, la mostra Impressionisti Tête-à-tête , un ritratto della società parigina della seconda metà dell’Ottocento, attraversata dai grandi mutamenti artistici, culturali e sociali di cui gli impressionisti furono esponenti e testimoni. Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Berthe Morisot, Auguste Rodin: questi, tra i tanti, gli artisti in mostra al Complesso del Vittoriano, in una rassegna di oltre sessanta opere, tra dipinti e sculture. 

FONTE: Nicoletta Moncalero (huffingtonpost.it)

lunedì 23 novembre 2015

Photolux Festival, fermo immagine tra sacro e profano

Apre oggi la Biennale di Fotografia di Lucca tra grandi autori, dibattiti, workshop ed eventi. Il fondatore: vogliamo divulgare la cultura visiva

Sacro e profano, spirito e materia, ci viviamo dentro ma è sempre difficile farci i conti fino in fondo. Il tema è nato con l’uomo e gli artisti non hanno mai smesso di rappresentarlo, ma per quelli di oggi, specie quelli che si esprimono con la fotografia, c’è un rischio in più di toccare i nervi scoperti della contemporaneità.  
Per questo le 29 mostre su «Sacro e profano» del Photolux Festival che apre oggi a Lucca (fino al 13 dicembre) faranno discutere per i linguaggi scelti, ma sono un mezzo di indagine importante per leggere la realtà in cui siamo immersi, oltre la riflessione artistica o estetica.  

«Il nostro festival nasce dalla volontà di diffondere la cultura fotografica nel nostro Paese», spiega Enrico Stefanelli, fondatore e direttore artistico del Festival, «facciamo vedere come un tema - in questo caso “Sacro e profano” - possa essere sviluppato in diversi linguaggi espressivi». Come è noto, uno di questi (una foto di Andres Serrano dell’87) è stato giudicato blasfemo o comunque offensivo della sensibilità dei cristiani e non sarà esposto. «Dell’autore però ci saranno gli altri lavori, compresi gli ultimi “Holy works”, da cui verrà fuori come si esprima sul sacro con pietà». 

Di certo il tema è delicato, urgente e merita di essere osservato, come le mostre tutte, oltre la logica della contrapposizione e dello choc.  

L’ATTUALITÀ DRAMMATICA  
Uno dei lavori più interessanti in questo senso è quello della fotografa francese France Keyser, che nella rassegna «Nous sommes français et musulmans» presenta la stessa realtà in due parti: prima e dopo Charlie Hebdo. Nel 2010 infatti aveva incontrato parigini che desideravano conciliare l’essere francesi con il credo religioso islamico e li ha fotografati, a colori, nella loro vita quotidiana. Poi, dopo la strage del 7 gennaio 2015, la fotografa è tornata dalle stesse persone e ha realizzato una nuova serie di ritratti in bianco e nero. 

Dalla Francia all’Italia, negli ultimi cinque anni Nicolò Degiorgis ha esplorato e fotografato i musulmani del Nordest nei loro luoghi di preghiera improvvisati: garage, palestre, negozi, vecchie fabbriche. «Un lavoro che ha vinto un importante premio a Arles e recensito da Martin Parr», spiega Enrico Stefanelli, che ci tiene a ricordare come questa Biennale internazionale di fotografia sia unica per il suo «mix fra reportage e arte».  

L’italiano Michele Borzoni invece ha viaggiato in Medio Oriente per tre anni, per fotografare la vita delle comunità cristiane là dove il cristianesimo è nato.  

FONTE: Sara Ricotta Voza (lastampa.it)

mercoledì 18 novembre 2015

Mattia Preti, a Roma le opere di uno dei protagonisti della scuola napoletana del Seicento

 
Mattia Preti, protagonista di una mostra romana attualmente aperta presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini, fu uno dei più importanti esponenti della scuola napoletana del Seicento: nato a Catanzaro e per questo detto Cavaliere Calabrese, fu fatto effettivamente Cavaliere da Papa Urbano VIII durante la sua permanenza tra il 1630 e il 1649 a Roma, in quella Roma ancora impregnata dall’impronta indelebile di Caravaggio, con cui Preti ebbe, in qualche modo, a che fare.
Si intitola infatti Mattia Preti, un giovane nella Roma dopo Caravaggio la mostra che ha come intento quello di approfondire la vicenda artistica romana del catanzarese che molto apprese dal Merisi, punto di riferimento morto vent’anni prima del suo arrivo con il quale condividerà anche l’esperienza maltese, e dai suoi seguaci.

Nel percorso espositivo sono messi per la prima volta a confronto i dipinti giovanili di Preti, come il Soldato del Museo Civico di Rende, il Sinite Parvulos e il Tributo della moneta di Brera, con il Tributo della Galleria Corsini, la Negazione di Pietro di Carcassonne, la Fuga da Troia di Palazzo Barberini, il Salomone sacrifica agli idoli, la Morte di Catone proveniente da collezione privata, e il Miracolo di San Pantaleo, probabilmente la sua prima committenza pubblica romana.

Rafforzano la narrazione una serie di opere facenti parte dell'allestimento storico della Galleria ospitante, realizzate dai pittori ai quali il Cavaliere Calabrese si ispirò: dal San Giovannino di Caravaggio, al Trionfo d'Amore di Poussin, dall'Erodiade di Vouet alla Salomé di Guido Reni, dal Presepe e l'Ecce homo di Guercino al Miracolo di Sant'Antonio di Sacchi.

La mostra, aperta fino al 18 gennaio 2016, è stata ideata da Vittorio Sgarbi e Giorgio Leone, attuale direttore della Galleria Corsini e curatore dell'esposizione, ed organizzata dal Segretariato Regionale Mibact per la Calabria e dal Segretariato Regionale Mibact per il Lazio con il finanziamento della Regione Calabria.
 
FONTE: Mariapia Bruno (ilmessaggero.it)

martedì 17 novembre 2015

Joys, cinquanta sfumature di blu

Apre il 19 novembre a Torino la mostra "Almost Blue" alla galleria Square23

Aprirà il 19 novembre a Torino, presso la galleria Square 23 Street Art Gallery, in via San Massimo 45, Almost Blue, la mostra dedicata all'artista padovano Joys, visitabile sino al 10 gennaio 2016. Come il titolo anticipa, aspettatevi una ricerca sulle forme e sul colore blu in tutte le sue declinazioni, tra linee parallele e in assonometria, per creare nuove forme e inediti incastri. 
 La sua ricerca è stata riconosciuta dagli addetti ai lavori del sistema dell'arte come inedita e assolutamente personale: i molteplici strati di livelli e linee, le forme sempre regolate da precisi riferimenti logici e geometrici e il suo maniacale studio del lettering lo hanno reso uno degli artisti più riconoscibili  e più apprezzati in Italia, muovendosi spesso tra Venezia, Roma e Milano, ma raggiungendo anche città come Amsterdam, Sarajevo, New York e Mosca.
 Joys ha iniziato la sua carriera artistica negli anni Novanta, a Padova, dove, ancora oggi vive e lavora. Come molti writer, comincia scrivendo il suo nome sul muro e focalizza la sua ricerca sul lettering, dapprima come esigenza di esistenza, poi come esigenza di evoluzione. Da anni l'artista ha esteso il suo linguaggio anche alla scultura, utilizzando materiali diversi ma mantenendo sempre uno stile unico: quello stesso stile che da quasi 20 anni lo rende inconfondibile sui muri di tutto il mondo.         
Leggi anche:
Blu, il suo arcobaleno nel quartiere OstienseStreet art, a Roma tutto questo è "sbagliato"Berlino: la Street Art racconta Storia e storieCatania: i silos diventano arteArriva Zedz: Tokyo incontra Torino.

FONTE: Salvo Cagnazzo (lastampa.it)

domenica 15 novembre 2015

Tra creatività e lavoro manuale. A Firenze le Mappe ricamate di Boetti

In occasione del Summit Mondiale dei Sindaci, arrivano al Palazzo Vecchio due capolavori dell'artista torinese. Sono esposti nel Salone dei Cinquecento


Kabul, interno giorno, inizi anni Settanta. In un hotel aperto da un artista italiano, Alighiero Boetti (1940-1994), donne afgane passano le giornate a ricamare. Si mescolano i colori, passano i giorni, i fili intrecciati diventano grandi opere tinte. Nascono così le Mappe di Boetti. Due di esse, in questi giorni, sono esposte a Firenze in occasione del Summit Mondiale dei Sindaci, un incontro che ruota intorno al tema "L'unità nella diversità", in corso a Palazzo Vecchio dal 3 all'8 novembre. La coppia di opere di 280x580 centimetri circa rimarrà esposta nel Salone dei Cinquecento fino al 22 novembre. In particolare, le due mappe esposte nel capoluogo fiorentino, si rifanno al passaggio epocale della Perestrojka, al periodo della fine dell'Unione Sovietica e la conseguente nascita della Russia nell'agosto del 1991.

Del resto Boetti è sempre stato una figura dalla biografia eclettica e internazionale, come è ravvisabile pensando a tutte le sue opere d'arte, dai "lavori postali", nati nella sua natìa Torino, passando per Roma e Parigi, per citare solo alcune delle città che sono state mete dei suoi continui spostamenti, coincidendo quasi sempre con varie fasi della sua carriera. Spesso è stata di sottofondo la poetica del viaggio, le coincidenze, il simile e il diverso.

Apparentemente è difficile spiegare come Boetti sia passato dai lavori più concettuali degli inizi, con esordi rintracciabili nell'arte povera, alle opere realizzate con tessuti. Ma già tra le prime mostre, oltre a quella nel gennaio del 1967 con la cura di Germano Celant, nella galleria La Bertesca di Genova, espose alla sua personale d'esordio presso la galleria Christian Stein di Torino, l'opera "Zig Zag", realizzata con una struttura metallica in cui all'interno era posizionato un tessuto a strisce, in modo da provocare un originale effetto ottico. In quel caso, a ricamare furono sempre donne afgane, ma rifugiate in Pakistan: si trattava dell'inizio della serie  di opere "Tutto".

Arte concettuale e arte povera sono solo una delle tante dualità che hanno caratterizzato la vita di Boetti. Il lavoro "manuale" era centrale quanto quello "intellettuale": con le mani si scriveva (opere a biro) ma anche ricamava. Doppio fu, a un certo punto della sua carriera, anche il modo di firmarsi, con o senza "e" tra nome e cognome: Alighiero "e" Boetti. Doppia anche la modalità scelta per i lavori su carta: segno (disegno) e tratto (scrittura). Doppio anche il celebre autoritratto del '68, "Gemelli", in cui due identiche foto dell'artista sono affiancate per apparire in maniera identica (è infatti impercettibile l'unico evento intercorso tra i due diversi scatti, ossia un lavaggio dei capelli) e doppia è anche anche questa esposizione di mappe a Palazzo Vecchio.

La mostra, curata scientificamente da Sergio Risaliti, e? organizzata dal Comune di Firenze (Direzione Musei Civici ed Eventi) in collaborazione con la Fondazione Alighiero e Boetti, l'Archivio Boetti, la galleria Tornabuoni Arte di Firenze e Parigi. Si tratta, come è stato fatto per Jeff Koons, di un nuovo confronto nel capoluogo toscano tra l'arte del passato e quella attuale. Boetti, all'interno di Palazzo Vecchio, affiancherà, infatti, gli Arazzi medicei disegnati da Bronzino e Pontormo, esposti nel Salone dei Duecento e le mappe cinquecentesche del Danti e del Bonsignori conservate nella Sala delle Carte Geografiche o del Mappamondo.
Quelli di Boetti infatti sono proprio arazzi, unici e inimitabili pezzi multiculturali ideati  dall'artista e ricordati anche dal regista parigino Oliver Assayas in uno dei suoi ultimi film, "Qualcosa nell'aria, Apres Mai" (2013). Nella pellicola si vedono dei giovani sessantottini impegnati nella ricerca del loro futuro dopo il liceo: parlano proprio di Alighiero Boetti come esempio da seguire. L'artista, e i suoi viaggi in Afganistan per la creazione degli arazzi dagli anni Settanta ad oggi, sono ancora considerati capolavori e punti di riferimento per l'arte e non solo e la scelta fiorentina di questi giorni ne è una testimonianza.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

sabato 14 novembre 2015

Creatività e trasformismo. Al Maxxi un evento tra Europa, Messico e Corea

Creatività e trasformismo. Al Maxxi un evento tra Europa, Messico e Corea


Roma. Quattro artisti di tre continenti, l'italiano Gamper, il francese Faustino, l'americano Reyes e l'asiatico Jeong-Hwa  per una mostra trasversale che passando per design e architettura tocca diversi temi sociali attraverso installazioni, foto, opere divertenti e colorate


Un fiore gigante dai petali color d'oro (ma di vera plastica) che si aprono e si chiudono di continuo, come se respirassero (l'opera, infatti, esposta lo scorso anno all'aereoporto giapponese di Fukuoka prendeva il nome di Breathing Flower) campeggia fuori dal museo di via Guido Reni a Roma.

É l'installazione Golden Lotus di Choi Jeong-hwa. Dieci metri di diametro che segnano l'ingresso per la nuova mostra del Maxxi, "Transformers", a cura di Hou Hanru, con Anne Palopoli, dall'11 novembre 2015 al 28 marzo 2016. Un'esposizione che coinvolge quattro artisti di diversa nazionalità. Ci sono il coreano Choi Jeong-hwa, il francese Didier Fiuza Faustino, l'italiano Martino Gamper, il messicano Pedro Reyes. "Ci interessava unire e confrontare autori che avessero provenienze diverse sia per quanto riguarda l'area geografica sia per la loro formazione artistica" specifica la cocuratrice Palopoli. E in effetti il risultato è sorprendentemente eterogeneo, e, spaziando dal design all'architettura, propone in ogni caso una lucida -e in alcuni casi ludica- lettura delle numerose trasformazioni che stanno attraversando il nostro periodo contemporaneo globalizzato, tutte visibili nella galleria tre del museo. Choi Jeong-hwa (Seouk, 1961) continua con la sua vena giocosa creando una sorta di foresta verde composta di tremila scolapasta. É l'opera Hubble Bubble, di nuovo in plastica, perché non solo le prime materie "serie"  servono a proporre alternative valide e anche quello che è il materiale più consumistico, la plastica appunto, può servire a creare un paesaggio verde e naturale così come è stato fatto per l'installazione Life Life, fatta di una lunga schiera di palloncini colorati tra i quali il visitatore può camminare come in corridoio, facendoli cadere, sgonfiarsi e scoppiare e contribuendo così a una nuova costruzione e modifica dell'opera stessa. Trasformazione del resto è la parola chiave di questa mostra e tutti hanno cambiato destinazione e uso a oggetti nati per altri utilizzi. Martino Gamper (Merano, 1971) è intervenuto, come è nel suo stile, su diverse tipologie di sedute, disposte in circolo e lievemente modificate con inserti in vetro e tessuto con cui è stata cambiata la sua forma originale dando così origine all'opera Post Forma, che invita a sedersi e ad aprire dialoghi e conversazioni.

Ma il lavoro più significativo a livello di trasformazione vera e propria, è quello realizzato dall'artista Pedro Reyes (Mexico City, Messico 1972). Proprio lui ha realizzato strumenti musicali per un'intera orchestra usando solamente armi che suonano da sole o che possono essere usate da musicisti veri, come avviene in un concerto gratuito e aperto a tutti la sera dell'inaugurazione della mostra, il 10 novembre alle ore 20:30.

"I creatori  -  afferma Hou Hanru, Direttore Artistico del MAXXI e curatore della mostra  -  sono  sognatori straordinari. I loro atti creativi sono ispirati da un forte impegno sociale e ambientale nei diversi contesti geopolitici odierni. Sono capaci di trasformare il quotidiano in fantastico e viceversa; trasformano il basso in alto, il vecchio in nuovo, il banale in arguto, il triste in gioioso e il vizio in virtù. Creano così nuove realtà più aperte, incoraggiandoci a vivere pienamente l'esperienza di esseri umani". Umano è la parola chiave per l'installazione site specific di Didier Fiuza Faustino, artista e architetto  francese da sempre attratto dalle relazioni che intercorrono tra le condizioni sociali del corpo e la produzione dello spazio. Chiude la mostra una sua opera, che vuole essere "una gigantesca boa in polistirolo cui aggrapparsi per salvarsi la vita": un'utopica zattera da gettare nel mare e offrire un aiuto ai molti migranti che approdano in mare. Il valore altamente simbolico di quest'opera, che non a caso si chiama Lampedusa,  è il suo essere allestita di fronte a una grande riproduzione dell'ottocenteso olio su tela de "La Zattera della Medusa" di Théodore Géricault. Sempre di Didier Fiuza Faustino è l'opera Body in Transit, una cassa da annettersi ai carrelli di un aereo, come spazio-cellula per il trasporto di un emigrante clandestino. Fu un lavoro di forte denuncia -anche se mascherato da oggetto di design- presentato alla Biennale di Venezia nel 2000 e presente nelle collezioni del Centre Pompidou. Al Maxxi, insieme alle oltre opere, propone grandi trasformazioni.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

giovedì 12 novembre 2015

In Piazza di Pietra rivive l'arte di Michelangelo Antonioni

L'esposizione, curata da Enrica Antonioni e dal direttore della galleria Francesca Anfosso, raccoglie circa 40 quadri del Maestro, premio Oscar alla carriera

La grande arte di Michelangelo Antonioni diventa di nuovo, finalmente, protagonista con una mostra speciale, che premia la "seconda" arte del Maestro, con circa 40 tele piene di colori, forme ed energie. La Galleria 28 Piazza di Pietra di Roma presenta, sino al 29 febbraio, la mostra “Michelangelo Antonioni Pittore”.

L'esposizione, curata dalla moglie del Maestro, la signora Enrica Antonioni, e dalla giovane Francesca Anfosso, direttore della galleria, raccoglie alcuni dei quadri del Maestro, premio Oscar alla carriera oltre che vincitore di tutti i principali premi della cinematogra?a internazionale. Si tratta della prima volta in cui le sue opere pittorichevengono esposte in una Galleria d’arte. Solo alcuni di questi dipinti furono in mostra per un mese, nel 2006, proprio nel Tempio di Adriano a Piazza di Pietra. E proprio qui sono tornati, a distanza di dieci anni. Non è un caso, però: il Maestro amava e frequentava questo luogo dove aveva anche girato alcune scene del film L'Eclisse. 
 "Dipingere per lui era una gran gioia - spiega Enrica Antonioni - i momenti dedicati alla pittura sembravano liberi dal tormento che il cinema poteva dargli, insieme alla soddisfazione di saper fare il mestiere che amava di più, ma che lo metteva sempre alla prova. Nei suoi ultimi anni, dal 2001, ha deciso di dedicare alla pittura tutto il tempo che gli rimaneva. Era al suo tavolo di lavoro tutto il giorno e tutti i giorni, assorbito nel colore, nella forma, nel silenzio, nella quiete del suo respiro. L'eleganza dei suoi gesti era disarmante, come sempre".
 Le opere in mostra, tutte acrilico su tela o su cartoncino telato, di natura astratta e di diverse dimensioni, raccontano l'ultima fase della vita di Antonioni, quella in cui si è dedicato con passione ed entusiasmo ad un'arte  diversa da quella che lo aveva portato ai massimi livelli di prestigio internazionale. Per tutta la durata della mostra sono previsti, in Galleria e in Piazza di Pietra, eventi e presentazioni, tutti in qualche misura collegabili alla vita e alle opere di Michelangelo Antonioni.
 "Provo ammirazione umana e professionale nei confronti del Maestro – diceFrancesca Anfosso - che ha dimostrato di essere Artista compiuto, capace di esprimersi e creare coinvolgimento emotivo utilizzando  con eguale maestria l’immagine,nella pittura come nel cinema. Le sue opere sono un'esplosione di colori e di forme, di suggestioni e di stili; colorate e “gioiose” ci svelano un Antonioni inatteso. Sono sicura che desteranno diffusamente la stessa ammirata emozione provata da me la prima volta che le ho viste nella splendida casa di Michelangelo ed Enrica a Bovara”.

Nel testo che arricchisce il Catalogo della mostra Alberto Asor Rosa scrive tra l'altro: “dipingendo, dal suo silenzio ha voluto far emergere la sua voce: nitida, squillante, ricca d'infiniti colori e di molteplici forme, talvolta inquieta, ma altre volte persino allegra”.

FONTE: Salvo Cagnazzo (lastampa.it)

martedì 10 novembre 2015

Artissima si vende benissimo: la kermesse batte tutti i record

Ottimi affari nei primi giorni all’Oval. Gallerie soddisfatte: il Comune vuole riconfermare Cosulich, ma c’è l’incognita bando

L’arte ad Artissima si vende benissimo. Sembra uno slogan di vago sapore futurista, buono per un neon di Kosuth. Ma è la realtà. Ieri parecchie gallerie di punta - quelle che vendono opere d’arte dai 100 mila euro in su come le magnifiche variazioni di colore firmate Spalletti - avevano già messo un sacco di bollini rossi sulle opere, il che significa «venduto». E anche il pubblico - al di là della carica dei 5 mila collezionisti invitati da Cosulich - ha preso d’assalto lo scrigno dell’Oval. Fra i visitatori c’era pure Maurizio Cattelan - ospite d’onore della rassegna - che come al solito si è divertito a fare Cattelan, spiegando che quest’anno gli era pure toccato pagare il biglietto: naturalmente era una performance. Bella quanto quella dei droni che si sono alzati in volo per la magica regia di William Hunt. 

Proprio in forza di questi risultati è ovvio che gli enti locali e le fondazioni bancarie pensino già alla prossima edizione. E, visto che il contratto di Sarah Cosulich scade quest’anno, il Comune ha già chiarito di essere intenzionato a chiederle di rimanere anche il prossimo anno: «Ha lavorato benissimo - ha dichiarato ieri l’assessore alla Cultura Maurizio Braccialarghe - non si vede il motivo per cui non dovremmo chiederle di continuare anche per il prossimo anno». Anche se qualcun altro all’interno del cda della Fondazione Musei, ha sostenuto invece la necessità di procedere a un bando. La direttrice, più che soddisfatta del successo riscosso anche da questa edizione ieri ha chiarito: «Se resterò anche nel 2016? Dipende da molte cose, innanzitutto dal progetto che mi verrà chiesto». Insomma il suo non è un sì incondizionato. Ma intanto, giustamente, si gode il successo dell’edizione in corso. Per quanto invece riguarda la prossima location, pare che le Ogr non saranno pronte per il novembre 2016. Quindi non resta che replicare l’art-show all’Oval. 

Intanto oggi, come da tradizione, sarà il grande sabato del villaggio-Oval. E di motivi per non perdersi nel weekend le collezioni di Artissima ce ne sono parecchi. Non ultimo il fatto che sono previste le performance più spettacolari. Prenotazioni a go-go per le passeggiate con i curatori e critici d’arte, e grande audience anche per il servizio di «consigli per gli acquisti» organizzato da Unicredit. L’obiettivo nel grande weekend dell’arte - che stasera culminerà nella grande notte bianca dedicata al contemporaneo - è di superare il record dello scorso anno, quando al Lingotto arrivarono 50 mila visitatori. 

FONTE: Emanuela Minucci (lastampa.it)

domenica 8 novembre 2015

Impressionismo, russi, design italiano. Un secolo in tre mostre per l'inizio del Giubileo

Da  Picasso al realismo sovietico: tre grandi mostre al Palazzo delle Esposizioni


Roma. Grandi eventi in contemporanea nel Palazzo delle Esposizioni di Roma. Ci sono i capolavori della Phillips Collection di Washington, da Manet a Cézanne a Van Gogh. E la "Russia on the road" dei primi anni sovietici. Infine, i maesti nostrani di inizio Novecento, che crearono veri e propri capolavori di "arte applicata" partendo dal Liberty


Capolavori impressionisti, design liberty, arte sovietica. Il 2015 chiude con un grande rilancio per il romano Palazzo delle Esposizioni. Dopo voci di laboratori in chiusura e precariato di personale, l'attività del celebre luogo espositivo romano prosegue con tre mostre di carattere davvero internazionale, "cercato e voluto anche per dare il benvenuto ai primi mesi che accoglieranno nella Capitale il giubileo" come ha ricordato l'assessore alla cultura di Roma Giovanna Marinelli. Quest'ultima, a proposito delle nuove esposizioni, ha dichiarato di voler "rafforzare l'offerta per il numero di turisti in crescita, affiancando alla scelta tradizionale, ossia quella del percorso abituale che tocca Colosseo, Musei Capitolini e Vaticani, anche un'offerta per pubblici diversi, che ora possono scegliere di ammirare anche tutta l'arte del Novecento"..

La mostra dal titolo "Impressionisti e Moderni. Capolavori alla Phillips Collection di Washington", fino al 14 febbraio 2016, espone sessantadue dipinti provenienti dal museo americano di arte moderna. Uno spazio nato per volere del suo fondatore Duncan Phillips,  ad inizio degli anni Venti del secolo scorso, con le intenzioni di creare "un museo intimo e raccolto, ma anche sede di sperimentazioni". Oggi vanta una delle più grandi collezioni mondiali, di cui nella mostra romana se ne possono ammirare una ricca parte grazie all'esposizione che, concentrata sulla pittura europea e americana, è allestita cronologicamente, con un ordine di suddivisione in sezioni che corrispondono alle correnti culturali che hanno attraversato l'Ottocento e il Novecento fino al secondo dopoguerra unendo artisti di diverse nazionalità. Si parte dall'inizio del XIX secolo con la pittura europea di Goya e Ingres, fino a Courbet e Manet, fatti dialogare con Cézanne, Degas, Van Gogh e altri. Ma le tele esposte sono davvero firmate da nomi internazionali e famosi: da Bonnard a Kandinskij, passando per Matisse, Modigliani, Picasso, Soutine e Rothko.

L'altra mostra è quella organizzata dall'Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con l'Istituto dell'Arte Realista Russa di Mosca, che raccoglie una sessantina di dipinti provenienti dalle collezioni dell'Istituto e dai principali musei russi, visitabile fino al 15 dicembre 2015. Si intitola "Russia on the road (1920-1990)" ma, a ben guardare i dipinti, si sarebbe potuta intitolare anche "Russia on the Sky" a giudicare dalla considerevole quantità dei soggetti che ritraggono, aerei, aviazioni, aeroplani e skyline. Ad ogni modo, la mostra, prende in esame quasi un secolo di storia dell'arte russa, e il soggetto rimane sempre quello della novità accolta con entusiasmo, nei confronti dei nuovi mezzi di trasporto, simbolo di progresso che diventano protagonisti tanto quanto lo erano prima i paesaggi naturali. Così treni, navi, automobili, autostrade, ferrovie, porti, riempiono le sale di questa mostra. Si segnala, a questo proposito il dipinto di Yuri Pimenov  (1903- 1977) "La Nuova Mosca" realizzato nel 1937 ritraendo di spalla una ragazza che guida una Gaz-A, la prima automobile sovietica prodotta a partire dal 1932, su modello di una Ford (la Phaeton). Se da un lato è visibile, in sottofondo, un'idea di idealismo e propaganda, non mancano lavori più intimi e poetici, basti pesare ad alcuni capolavori del celebre Aleksandr Deineka (1899- 1969), a cui il Palazzo delle Esposizioni aveva in passato dedicato una personale. In questa mostra sono raccolti diversi suoi pezzi che testimoniano tanto la sua passione per l'aviazione quanto la sua sensibilità alla letteratura. Un esempio ne è l'olio sul tela realizzato nel 1955, in cui è raffigurato un vagone di treno pieno di giovani sorridenti che leggono: il dipinto si intitola "Le poesie di Majakovskij". Quest'ultimo è stato più volte un punto di riferimento per l'artista russo. Deineka, infatti, ha dedicato diversi suoi lavori al poeta, a cominciare da "Marcia di Sinistra", titolo che riprende fedelmente il nome di un poema di Majakovskij che, nel 1941, venne anche ritratto "al Rosta", quadro conservato al museo letterario nazionale.

Bisogna salire le scale del secondo piano di Palazzo delle Esposizioni per trovarsi immersi nel tripudio del design, con una mostra organizzata dall'Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con il Musée d'Orsay di Parigi. L'esposizione "Una dolce vita? Dal Liberty al  design italiano. 1900-1940" (fino al 17 gennaio 2016) è un elogio alle qualità artigiane di artisti, ceramisti e maestri vetrai che, con le loro manifatture, hanno creato le origini di quello che è il design moderno, esplorato con un percorso cronologico che espone cento opere, in dialogo continuo tra arti decorative e arti plastiche. L'inizio del Novecento è caratterizzato dall'affermazione dell'Art Nouveau, noto in Italia come "stile Liberty" o "floreale". Si segnala l'originalità di ebanisti come Carlo Bugatti, accanto a opere futuriste, oltre la Metafisica di De Chirico e all Realismo magico di Felice Casorati, la bellezza della mostra è più per le notevoli ceramiche di Giò Ponti, le prime creazioni in vetro di Carlo Scarpa, le poltrone di Franco Albini, le creazioni di Murano innovative e splendenti come si vede nel grande pannello di Vittorio Zecchin.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

giovedì 5 novembre 2015

Erotismo, scene familiari, Giappone. In due mostre, tutti gli universi di Balthus

Erotismo, scene familiari, Giappone. In due mostre, tutti gli universi di Balthus


Roma celebra l'artista nato a Parigi ma vissuto nel mondo con due allestimenti alla Scuderie del Quirinale e all'Accademia di Francia Villa Medici, dove l'artista fu anche direttore per 16 anni


Balthus nacque a Parigi nel 1908 da padre polacco (storico dell'arte e scenografo) e madre russa, molto amica del poeta Rainer Maria Rilke che, di fatto, fu la sua figura paterna nonché mentore quando i genitori si separarono. La retrospettiva romana dell'artista Balthazar Klossowski de Rola detto Balthus, a cura di Cécile Debray (conservatrice al Museo nazionale d'arte moderna Centre Pompidou), è suddivisa in due, come le origini nazionali che si mescolano nelle sue radici: una parte della mostra di può visitare alle Scuderie del Quirinale,  l'altra all'Accademia di Francia Villa Medici, in tutte e due i casi dal 24 ottobre 2015 al 31 gennaio 2016. L'esposizione arriva a quattordici anni dalla morte del pittore (avvenuta a febbraio 2001 nel suo chalet di Rossinière, in Svizzera, dove si era stabilito al ritorno da Roma) e dall'ultima esposizione italiana (nel 2001, a Venezia, dentro Palazzo Grassi, organizzata da Jean Clair). La mostra sarà successivamente visitabile al Kunstforum di Vienna da febbraio 2016, come prima monografica dell'artista in Austria.

Partiamo dalle Scuderie del Quirinale dove il percorso (con la curatela coadiuvata da Matteo Lafranconi) inizia con l'opera dell'artista considerata più importante, ossia "La strada" del 1933, lavoro di cui precedentemente sono state realizzate altre versioni (in mostra anche la prima del '29), che ritraggono sempre la via del Quartiere Latino di Parigi.  Si prosegue con circa centocinquanta opere in totale. Entrando nella seconda stanza si conosce l'infanzia di Balthus, raffigurata con molti soggetti di esterni, come giardini e paesaggi. A seguire una sezione intitolata "Cime Tempestose", come il romanzo di Emily Brontë. I trentatré disegni esposti illustrano proprio il libro che tanto lo ispirò. Altro scrittore che fu fonte di stimoli per il pittore fu certamente Lewis Carroll e le celebri avventure di "Alice nel paese delle meraviglie", protagonista della quarta stanza -"Oltre lo specchio" - dove risultano fondamentali anche gli scambi con il fratello Pierre Klossowski che sottolinea i caratteri di "ambivalenza, seduzione e grottesco mostruoso" tipici di Balthus. Nella quinta sala -"La Camera"- c'è spazio per tutta la pittura più erotica e sensuale dell'artista. Bisognerà salire di un piano per ritrovarsi immersi nel "Teatro della crudeltà", tra opere intrise di "ieraticità", per dirla come Antonin Artaud, tra i primi a decifrare e recensire l'opera di Balthus. Si cambia registro nella sala successiva, "La scatola prospettica": qui si sente tutta l'influenza dell'artista Giacometti, con cui diventò molto amico, quando, durante la guerra lo conobbe in Svizzera, Paese scelto come terra di rifugio da tutti e due. Nella sala "La semplicità classica" i soggetti si fanno più intimi e familiari, dal fuoco dei camini ai giocatori di carte. Poi si prosegue con "Chassy", nome del castello nel Morvan dove, nel 1953 l'artista approdò per viverci quasi otto anni. Nell'ultima sala delle Scuderie - "Dal modello al fantasma"-  ci sono molti i ritratti del fratello e il grande dipinto "Il pittore e la sua modella", realizzato con caseina e tempera su tela nel 1980/1981, conservato al museo Pompidou.

A Villa Medici, invece, sono raccolte oltre cinquanta opere, tra dipinti, disegni e anche foto. C'è stato un periodo, infatti, in cui i bozzetti preparatori su carta sono stati sostituiti da polaroid, esposte in un allestimento rigoroso e accattivante allo stesso tempo all'Accademia di Francia. Il percorso inizia con la sezione "Spaesamenti" dove è protagonista il lavoro "La chambre turque", realizzato nel 1965/1966 con caseina e tempera su tela, in cui è ritratta come modella, così come in altre opere, la sua giovane moglie giapponese Setsuko. Subito dopo ci sono i celebri dipinti "Japonaise a' la table rouge" (1967-76) e "Nu de profil" (1973-77). A seguire le sezioni "Accademie"; "Paesaggi, schizzi, suggestione, materia"; "L'ultimo dipinto, un "capolavoro assoluto"?. Valore aggiunto della mostra di Villa Medici è la presenza di un suggestivo filmato girato da F. Rouan e l'apertura della camera turca, raffigurata nell'omonimo quadro, per la prima volta accessibile al pubblico. Una critica alle due mostre: non c'è un biglietto unico, che permetta a chiunque di visitare entrambe le sedi della retrospettiva, con un solo prezzo.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

lunedì 2 novembre 2015

Il cibo nell'arte di Daniel Spoerri: la mostra a Modena


Con Daniel Spoerri, classe 1930, il nutrimento diviene un motore d’azione divertente che ci fa riflettere sul connubio tra arte e vita. Giocando ed assemblando il cibo, lasciandosi guidare dall’istinto e dalle sensazioni, come si farebbe con gesso, calchi e pennelli, l’artista ha creato tantissime deliziose opere, provocatorie quanto basta, che mettono lo spettatore davanti l’apoteosi degli ingredienti che solitamente giacciono nei nostri piatti, prima di esser divorati.


Fondatore della Eat Art, la corrente creata nel 1967 con l’intento di avviare una riflessione critica sui principi fondamentali della nutrizione (esiste anche la Eat Art Gallery di Düsseldorf), l’artista, che fu anche danzatore, coreografo e ristoratore, la sa lunga riguardo l’inventare e il reinventarsi. E’ lui il creatore dei gustosissimi - solo per la vista, però - Brotteigobjekte, ovvero degli oggetti di pasta di pane, dei ferro da stiro ricolmi di impasto per il pane, di insolite tavole apparecchiate e di una serie di lavori cotti nel forno. Opere che possiamo ammirare all’interno della mostra Daniel Spoerri. Eat Art in transformation, curata da Susanne Bieri, Antonio d’Avossa e Nicoletta Ossanna Cavadini, ed aperta fino al 31 gennaio 2016 al Palazzo Santa Margherita e alla Palazzina dei Giardini in corso Canalgrande a Modena.

La retrospettiva, in linea con il tema dell’ormai quasi tramontato ExpoMilano 2015, ci trasporta nel mondo di Spoerri, facendoci riflettere sull’ancestrale attrazione dell’uomo nei confronti del cibo, e ripercorrendo la carriera dell’artista, da un primo periodo di sperimentazione, ai multipli cinetici, ai tableaux-pièges - "quadri trappola" ottenuti da assemblaggi di oggetti di uso quotidiano incollati a supporti e ribaltati nell'orientamento –, alle composizioni casuali di residui di cibo e stoviglie usate, fino alla scultura e alla ricerca in campo grafico.

FONTE: ilmessaggero.it