venerdì 31 agosto 2012

Tiziano, nella selva (non più) oscura



Alberi protagonisti come i personaggi sacri Quei pittori che hanno illuminato la natura

«Quadro, che ognun, che'l vede el se ghe inchina...Opera umana no, ma ben divina» lo aveva definito nel 1660 il Boschini nella sua Carta del navegar pittoresco, dopo averlo ammirato in Casa Grimani. E ben prima di lui si era profuso in entusiastici apprezzamenti anche il Vasari, lodando gli animali «quasi vivi» e l'incredibile ambientazione boschiva. E certo il grandioso telero dipinto da quel giovane pittore arrivato dal Cadore e che già era stato allievo del Bellini per entrare poi nella bottega di Giorgione era di una novità sconvolgente. Una testimonianza altissima di quella rivoluzione che avrebbe caratterizzato la cultura artistica veneta nei primi decenni del Cinquecento, trasformando il rapporto tra figura e natura, elevando il paesaggio e l'elemento atmosferico da sfondo, da semplice cornice, a soggetto di primo piano della narrazione, cassa di risonanza in grado di riverberare i sentimenti stessi dell'uomo.
Oggi, dopo 250 anni, l'imponente dipinto con la Fuga in Egitto di Tiziano (204 x 324 cm) esce per la prima volta dalla Russia per arrivare, dopo una sosta alla National Gallery di Londra, in laguna, nella mostra aperta da oggi alle Gallerie dell'Accademia. Un'occasione irripetibile per ammirarlo data l'eccezionalità del prestito (da Venezia tornerà definitivamente a San Pietroburgo) e rileggerlo in tutti i suoi particolari e nella suggestione della sua luce e dei suoi colori ritornati all'originaria ricchezza dopo il lungo restauro condotto dal Museo Ermitage, cui appartiene. Realizzato da Tiziano intorno al 1507 per Andrea Loredan e il suo nuovo palazzo sul Canal Grande, il telero era infatti giunto in Russia nel 1768, acquistato da Caterina la Grande per il Palazzo d'inverno e subito inserito nella lista dei più importanti dipinti della Galleria.
Ma se quest'opera straordinaria, così significativa per gli sviluppi dell'arte di Tiziano e di un'intera epoca, è il fulcro dell'evento veneziano, tutt'intorno s'intreccia un racconto dove ogni episodio è un capolavoro dei grandi maestri che si sono accostati in modo inedito alla natura, interpretandola in tutta la varietà delle sue forme con una freschezza e una libertà di resa assolutamente nuove. «È un percorso tracciato da coprotagonisti che si guardano a vicenda, così come andava allora verificandosi nella Roma di Giulio II», commenta Giuseppe Pavanello, curatore della mostra insieme a Irina Artemieva. «Ma se nella Cappella Sistina di Michelangelo o nelle Stanze Vaticane di Raffaello l'accento è sul dato umano, a Venezia è sulla scoperta del paesaggio, sul dato altrettanto meraviglioso di natura. Né va dimenticata l'influenza dei modelli nordici qui già ben noti, come le scene visionarie e metamorfiche di Bosch allora presenti nella collezione Grimani e oggi per la prima volta esposte in dialogo con la maniera dolce e le delicate trasparenze atmosferiche di Giorgione o le incisioni di Dürer, con quella sua capacità di cogliere, della natura, anche la specificità di una foglia, di un filo d'erba e di cui in mostra si potrà vedere l'incisione con la fuga in Egitto, contraltare con i suoi bianchi e grigi e il paesaggio aspro e inospitale di quella idilliaca e in technicolor di Tiziano».
Ad aprire questo percorso tra maestri veneziani e maestri oltremontani è l'Allegoria sacra di Giovanni Bellini, con quella terrazza affacciata sul lago e quelle figure di santi che sembrano parte integrante della serena bellezza del creato. Ma se in lui, come ha scritto Adriano Mariuz, «le figure si accampano monumentali mentre la natura sembra farsi abside e altare ad accogliere icone viventi» è con Giorgione che si sposteranno ai lati, mentre protagonista diventa il paesaggio, con la sua modulazione di luci e di ombre, con il suo carico di fascinazione e mistero, come si può cogliere da opere celeberrime e qui esposte,Il tramonto, Omaggio al poeta, La tempesta. Ma tante altre ancora, e tutte altissime, sono le voci, tanti i capolavori che si rincorrono in mostra, di Sebastiano del Piombo, di Dosso Dossi, dell'esordiente Lorenzo Lotto, fino a Tiziano, che porterà ai vertici più alti il cammino intrapreso. E il grandioso telero con la Fuga in Egitto (sul quale era stata inizialmente tracciata una Natività rivelata da uno studio a raggi X), ne è una prova stupefacente. Se infatti la composizione è ancora ispirata agli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, rivoluzionario è il modo di rendere la natura, il vero focus della narrazione, con gli animali palpitanti di vita, l'asinello condotto da un giovane, i pastorelli, le limpide acque a cui ristorarsi e quegli alberi diventati importanti come personaggi, mentre lo sfondo si perde in lontananza, digradando in piani successivi. Un paesaggio così fascinoso che viene voglia di passeggiarvi dentro.
FONTE: Francesca Montorfano (corriere.it)

mercoledì 29 agosto 2012

Prove di dialogo nel nome del riuso e del riciclo



Per la prima volta presenti Angola, Kosovo, Kuwait, Perù

Se qualcuno si aspetta bizzarrie o proposte bislacche in questa XIII Biennale, può ricredersi visitando i padiglioni delle 55 partecipazioni nazionali, distribuiti fra i Giardini e l’Arsenale. Alla richiesta di David Chipperfield di rintracciare un terreno comune all’interno delle proprie radici per radiografare lo stato dell’architettura nel mondo, e possibilmente offrire suggerimenti al futuro, quasi tutti hanno risposto con proposte originali, parecchie coinvolgenti, talune sorprendenti, altre strabilianti, compresi i Paesi per la prima volta presenti come Angola, Kosovo, Kuwait, Perù.

A dominare è la ricerca del dialogo, dell’agire insieme, nel nome del riuso e riciclo, per risistemare i guasti del secolo passato: è l’ora di «ricucire» edifici, città, periferie, alla ricerca di un futuro migliore e comunque ecosostenibile. La Germania scrive a lettere cubitali il proprio slogan delle tre R sulla facciata - Ridurre, Riuso, Riciclo - e annuncia di voler vivificare il preesistente, compresi i vecchi edifici postbellici: così numerosi studi sotto la guida del commissario Muck Petzet stabiliscono una risorsa per il futuro con le loro case e quartieri proiettati in magnifiche foto alle pareti.

Grandi cubi color arancio invadono l’entrata del Padiglione Usa: li ha disegnati un architetto americano d’origine siciliana, Daniel D’Oca, affinché la gente sieda, dialoghi, tenga conferenze, lezioni, proponga soluzioni. come hanno fatto nelle sale all’interno artisti, progettisti, cittadini comuni d’ogni età che hanno contribuito a creare 124 progetti, con proposte davvero spontanee come accade a Dallas, dove alcune strade deserte hanno ritrovato vita e energia grazie alla presenza di tavolini, fiori, piante, donne e uomini che hanno imparato a trascorrere ore insieme, mentre i bambini giocano.

Da non perdere le proposte della Francia da Ateliers Lion, che ha coinvolto più di cento studenti: tutti insieme hanno affrontato le periferie più a rischio di Parigi, sorte negli anni 70, vissute dal Paese come fonte di ogni crisi. Se la Spagna dopo 10 anni di ricerche da parte di progettisti, studiosi del cibo, specialisti di diverse discipline, trasforma un ristorante famoso in una Fondazione di ricerche avanzatissime in ogni campo (basti pensare che prefigura alberi simili a esseri viventi che inviano messaggi agli edifici), tuttavia a sorprendere è la Russia che in una sala oscurata propone le immagini di 39 città destinate a ricerche scientifiche, sorte nel periodo dei Soviet, proibite al pubblico, ora svelate e riproposte in una «città» aperta a tutti, alla cui progettazione hanno concorso studi importanti come gli svizzeri Herzog e de Meuron, Chipperfield, i Sanaa, Stefano Boeri.

Molto vitale la Gran Bretagna: ha indetto concorsi per oltre 100 studi con progetti di ricerca in giro per le vie del mondo per rinnovare le proprie strutture e infrastrutture, uno studio ha rintracciato in Brasile un progetto per 508 scuole prefabbricate, disegnate da Oscar Niemeyer negli anni 80, e le ha offerte alla riflessione per il rinnovo del sistema educativo. Commuove il Giappone che, con Toyo Ito, propone la «Casa-per-tutti», dove i tutti sono i giapponesi che hanno cooperato a realizzarla e dove vivono e comunicano dopo il terremoto dello scorso anno. Mentre la Svizzera, sotto la guida di Miroslav Sik, presenta un collage di progetti per comporre un memorabile panorama realizzato secondo la tecnica della foto analogica.

Sorprende il Canada con il mosaico di edifici di legno, modellini di abitazioni disegnate da architetti canadesi, ispirati alla loro esperienza di immigrazione in un Paese che accoglie benevolmente gli stranieri. L’Australia si impone per freschezza di idee anche nell’uso dei network e nelle riflessioni sulla formazione e pratica operativa degli architetti, l’Angola pensa alle trasformazioni in Africa dei concetti di Energia e Spazio, oltre la retorica della sostenibilità. Da non mancare una visita ai Paesi Scandinavi e al Portogallo, come pure è d’obbligo spingersi al Brasile che ricorda Lucio Costa coniugato oggi con Marcio Kogan. Infine non si può tralasciare all’Arsenale il vitalissimo Kuwait, così come resta stimolante addentrarsi in Cina, nell’Argentina dell’installazione site-specific di Clorindo Testa e visitare le tante nazioni ormai riemerse e in grado di regalare al mondo soluzioni inedite.

FONTE: Fiorella Minervino (lastampa.it)

venerdì 24 agosto 2012

Joker, streghe e mostri postumani Se l'arte svela il suo "lato oscuro"



Nelle sale del  Fortino di Forte dei Marmi una mostra raccoglie otto artisti italiani che raccontano gli ultimi dieci anni di globalizzazione e strapotere di Internet. Testimoni di un nuovo fenomeno surrealista


Brutti, sporchi, cattivi. La "meglio gioventù" dell'arte italiana? E' quella che si lascia sedurre dal lato oscuro della civiltà contemporanea, che ne insegue i turbamenti, i vizi, le follie e i sogni più allucinati. Quasi un'Arancia meccanica del malessere individuale e collettivo. Per Ivan Quadroni, curatore della mostra "Italian Newbrow. Cattive Compagnie", dall'8 agosto al 2 settembre nelle sale del Fortino, questa "meglio gioventù" è condensata da uno schieramento di otto artisti investiti dal tritacarne della globalizzazione economica, che hanno saputo metabolizzare, riflettere e reagire ai cambiamenti culturali degli ultimi dieci anni all'insegna dello strapotere di Internet. 

E' una visione tematica, che non esaurisce certo il panorama reale del contemporaneo italiano più attuale, ma che accompagna in questa lunga calda estate alla conoscenza di  creativi che sanno esprimere "un immaginario di massa determinato dal mondo globale e dai mutamenti tecnologici e culturali che ne derivano", avverte Quadroni. E all'ombra della globalizzazione, proprio il termine scelto per il titolo è tutto da tradurre e decifrare. Newbrow, ci spiega Quadroni, è un neologismo anglosassone forgiato in opposizione al termine lowbrow, che identifica alcuni artisti della scena Pop surrealista americana che recuperano le iconografie basse (low appunto) come il fumetto, il tatuaggio, i cartoni animati, la televisione e il cinema di serie B, il punk e molte altre cose. Newbrow vuole focalizzare ed esaltare quegli aspetti nuovi e inediti di fare arte. 

La mostra, organizzata da Fondazione Club Lombardia e dalla Fondazione Villa Bertelli, col patrocinio del Comune di Forte dei Marmi,  setaccia allora queste "cattive compagnie" nell'era di Internet. Giuseppe Veneziano, classe '71, fagocita personaggi e icone universalmente riconoscibili tra fumetti, mass media, spettacolo e gossip, che restituisce con un linguaggio semplice e solo apparentemente banale, come il suo Joker nemico di Batman, sulla sedia elettrica diventato drammaticamente di attualità nelle ultime settimane. Vanni Cuoghi, nato nel '66, attinge all'immaginario classico delle fiabe e del folclore per filtrarlo con una vena d'ironia attraverso una marcata propensione alla trasfigurazione fantastica e surreale. 

Un percorso analogo per Massimiliano Pelletti che come un novello frankenstein assembla giocattoli di largo consumo per evocare situazioni borderline, suggestionate dalla cronaca nera. Silvia Argiolas, classe '77, affronta il problema del "male di vivere" orchestrando un personalissimo universo parallelo, popolato di visioni paranoiche e allucinazioni. Giuliano Sale costruisce paesaggi e ritratti che sembrano usciti da un inconscio fomentato da turbamenti esistenziali. Paolo De Biasi, del '66, gioca con dipinti e collage combinando immagini di luoghi e situazioni incongruenti  tra loro per esprimere una narrazione avvolta dall'ambiguità. Michael Rotondi, del '77, combina un immaginario pop con frammenti di memorie autobiografiche, mixando immagini che ripercorrono miti collettivi e mondi privati, quasi a voler scrivere un diario personale del vissuto collettivo della sua generazione. Fino a Diego Dutto, classe '75, che con la sua scultura genera organismi meccanicamente modificati figli di una genetica al servizio della tecnologia.

Notizie utili  -  "Italian Newbrow. Cattive compagnie", dall'8 agosto al 2 settembre 2012, Forte dei Marmi (LU), Fortino (piazza Garibaldi).
Orari: tutti i giorni, 10.00- 12.30; 17.00-24.00
Ingresso libero
Informazioni: 0584 280292 - 0584 280253
Catalogo: Umberto Allemandi & C.

lunedì 20 agosto 2012

L'Etna, il mare e le Muse. Nunziante narra la sua terra



Taormina celebra con due mostre il pittore protagonista della nuova stagione della Metafisica. Tra visioni, miti e simboli, rivive la lezione di Böcklin e De Chirico


TAORMINA  -  La luce della Sicilia. Quell'energia che tutto avvolge con violenza e magia. Quella luce siciliana che sa abbagliare lo sguardo quando riflette sul biancore della camicia di un giovane appesa accanto ad una finestra spalancata sul paesaggio. O che domina con forza virulenta le colline, il profilo dell'Etna o le distese di mare svelando antiche mitologie. Quella luce che anima in un tourbillon di colori cangianti  storie di vita e di amori, in una terra isolana che palpita di rimandi ancestrali e tradizioni secolari. E' la luce della Sicilia la vera protagonista delle grandi opere di Antonio Nunziante, pittore napoletano ma torinese d'adozione (classe '56) protagonista di un "neo-surrealiasmo simbolista", se ci si permette il neologismo, fomentato dalla lezione storica di De Chirico, Dalí, Picasso e soprattutto Arnold Böcklin precursore assoluto della pittura come viaggio nella mente dell'artista. 

E' la suggestione di scenari sognati o agognati, di visioni fantasiose con cui trasfigurare la realtà, la cifra stilistica di questo pittore lirico e romantico che offre la "sua" Sicilia in una doppia mostra personale che gli viene dedicata da Taormina Arte: "Panorami di luce", dal 4 agosto al 30 settembre alla seicentesca Chiesa del Carmine, e "Viaggio a Taormina" sempre dal 4 al 30 agosto, alla sede della Fondazione Mazzullo. I Panorami di luce di Nunziante sono grandi tele che indagano le atmosfere emotive e psicologiche del viaggio, che al cospetto di scenari mozzafiato  -  come quelli che offre la Sicilia  -  innesca un gioco di rimandi a ricordi, sogni, fantasie intrise di una cultura classico-umanista come quella di Nunziante. 

Miti e leggende cominciano a popolare le scene svelando i sentimenti più intimi e profondi dell'artista. Nelle opere di Nunziante, infatti, la realtà è solo apparente, perché è da questa soglia materiale di natura e mare, che Nunziante spicca il volo pindarico in un universo interiore e mentale alla ricerca dell'effetto dell'incanto e della meraviglia, non senza qualche traccia di esuberanza e retorica scenografica. Opere che risentono dei suoi maestri. Di Dalí cui si era accostato stilisticamente agli esordi della sua carriera, sedotto dalle teorie artistiche e dalla vita del pittore di Malaga. Di quel Böcklin  -  precursore della pittura Metafisica  -  che rimane sempre un riferimento costante lungo il suo percorso. Di De Chirico, la cui lezione è oggetto nel tempo di approfonditi studi per le formulazioni teoriche e la loro applicazione pratica. 

Ma accanto a tali pittori, emerge in Nunziante anche il riferimento importante e fonte d'ispirazione incessante per la sua ricerca artistica alla filosofia, in modo particolare l'opera di due tra i più significativi pensatori dell'epoca moderna, Schopenhauer e Nietzsche. "E' un rutilare di colori, di cieli, di terre e di mari quella che le grandi tele di Nunziante fanno vivere  -  raccontano i curatori Giuseppe Morgana e Rossella Farinotti - Ambienti talmente evocativi e magici che risulta del tutto normale vedervi il tuffatore di classica memoria librarsi tra colline flessuose e potenti quanto potrebbero esserlo i cavalloni del mare di Sicilia". 

Ma il rischio dell'effetto kitsch è equilibrato dalla tecnica pittorica di raffinata ricercatezza e virtuosismo. Come testimoniano nel medievale Palazzo dei Duchi di S. Stefano le opere create appositamente per Taormina da Nunziante: un ciclo ispirato dal recente soggiorno in Sicilia e culminata nell'opera divenuta immagine-simbolo dell'avvenimento, "La Centuressa", suggestiva interpretazione dell'antichissimo emblema di Taormina. 

Notizie utili - "Panorami di luce" dal 4 agosto al 30 settembre 2012, ex Chiesa del Carmine, e 
"Viaggio a Taormina" dal 4 al 31 agosto 2012 Palazzo Duchi di S. Stefano  -  Fondazione Mazzullo, Taormina. 
Orari mostra: tutti i giorni 10-13 e 18-22; lunedì chiuso. 
Ingresso: intero euro 5, ridotto euro 3.

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

giovedì 16 agosto 2012

Edward Hopper il pittore della perplessità



Al Museo Thyssen Bornemisza di Madrid la grande retrospettiva del maestro americano

Artisti sotto la tenda del circo: perplessi era il titolo di un film del regista tedesco Alexander Kluge che nel 1968 vinse a Venezia il Leone d’Oro. Quel titolo, dove possiamo metaforicamente interpretare il circo come il mondo in cui ci troviamo a vivere, sembra riassumere alla perfezione la pittura di Edward Hopper, uno dei grandi artisti del ’900 non solo americano. Lo si capisce vedendo la retrospettiva, con oltre 75 opere, tra tele, acquerelli e incisioni, che gli dedica a Madrid il Museo Thyssen Bornemisza, in tandem con la Réunion des musées nationaux de France (a ottobre la mostra approderà a Parigi al Grand Palais). A firmare l’esposizione sono Tomàs Llorens e Didier Ottinger.

Hopper è stato uno dei più acuti interpreti della modernità e se Munch a cavallo tra 800 e 900 aveva espresso l’angoscia dell’uomo contemporaneo Hopper riesce, con il suo realismo e le sue atmosfere ovattate, ad esprimerne la solitudine e soprattutto la perplessità. È lo stato d’animo che leggiamo nei personaggi dei suoi quadri, a partire dal suo stesso e celebre autoritratto con il cappello in testa degli Anni 25-30. Pensiamo alla donna di Hotel room del 1931, con un libro tra le mani (difficile stia leggendo vista la distanza dagli occhi), le valigie in un angolo, i vestiti su una poltrona. O all’uomo dalla balconata del Teather Sheridan, 1937, lo vediamo di spalle, che guarda dall’alto non sappiamo cosa. O alla segretaria, che sembra esitare, davanti allo schedario, e al suo capo che sta alla scrivania, in Office at night, del 1940 o ancora alla ragazza seduta sul letto che guarda il sole entrare nella stanza nel celeberrimo Morning Sun del 1952. E il bello in Hopper è che, grazie ai sapienti giochi di luci e di ombre, che orchestra sulle tele, sembrano perplessi anche molti degli edifici o degli ambienti che dipinge su e giù per l’America (da un certo punto in poi soprattutto a Cape Cod dove ha preso una casa per le vacanze). Si potrebbero citare, solo per fare un esempio, Down in Pennsylvania del 1940 o Second Story Sunlight del 1960.

Forse la perplessità era un tratto che gli veniva anche dalla propria esperienza personale. Pur essendo stato un enfant prodige (a cinque anni i genitori furono impressionati dal suo talento di disegnatore e a tredici anni realizzò la prima tela) al successo arrivò tardi, quando aveva più di quarant’anni: il primo quadro Sailing lo vendette infatti nel 1913 (era nato nel 1882), e il secondo, l’acquerello Mansard Room dieci anni dopo, al Brooklyn Museum of Art. Nel 1930 finalmente, grazie al collezionista Stephen Clark, che l’aveva sempre sostenuto, il suo House by the Railroad approdò nelle raccolte del neonato MoMa (più tardi ispirerà Hitchcock per la casa di Psycho): fu la consacrazione che gli permise di abbandonare definitivamente il lavoro di illustratore pubblicitario con cui fino ad allora si era pagato la vita e i viaggi in Europa.

Era stato infatti più volte a Parigi ma anche a Berlino, Bruxelles, Amsterdam. Nella Parigi degli impressionisti e dei post-impressionisti aveva integrato le lezioni che gli impartiva alla New York School of art il suo maestro Robert Henri, che si batteva per un’arte autenticamente americana autonoma dalle influenze europee. Hopper studia le opere di Pissarro, Renoir, Sisley ma anche Valloton, Sickert, Degas, ne subisce in parte l’influenza ma, proprio come teorizzava Henri, la centrifuga elaborando uno stile personale e «americano». Ci riuscirà a tal punto che oggi molte delle sue opere sono considerate icone dell’American Way of life non solo tra le due guerre. In mostra vediamo i suoi lavori accanto a una piccola selezione di opere degli «europei»: così la Girl at a Sewing Machine del 1923 è accanto alla cucitrice di Vallotton del 1905, o la Ennui di Sickert del 1914 accanto a Appartament House del 1923.

Per i curatori lo snodo fondamentale tra l’apprendistato e la maturità espressiva in Hopper è rappresentato dalle incisioni degli Anni 20, in cui ha modo di mettere a fuoco i rapporti tra luce e ombre e in cui inizia a capovolgere in perplessità l’ottimismo che metteva a piene mani nelle illustrazioni per la pubblicità. Non dimentica, nelle incisioni, l’antico amore per le imbarcazioni e i luoghi di mare. Notevoli sono anche gli acquerelli dello stesso periodo, in cui elabora temi che ritroveremo nei capolavori della maturità. Fra questi in mostra manca il celeberrimo Nighthawks, del 1942, ormai intrasportabile, in compenso ci sono icone come Gas, del 1940, Morning Sun del 1952, Morning in a city, New York Office del 1962, Fino a Two Comedians del 1966 che già prefigurano l’uscita di scena di Hopper: morirà il 15 maggio del 1967. Tra le curiosità si può vedere anche Conference at night del 1949, il quadro che prima gli fu acquistato e poi restituito, perché in pieno maccartismo quell’opera poteva essere accusata di filo-comunismo.

La mostra madrilena è molto più ricca e incomparabilmente più interessante di quella vista a Milano due anni fa, ma perde ai punti, con la retrospettiva che a Hopper dedicò la Tate di Londra nel 2004. Oltre a non affollare i quadri in un bunker la mostra londinese proponeva tra l’altro certi paesaggi fluviali del maestro americano in sale che si affacciano sul Tamigi: una magia difficilmente ripetibile.

EDWARD HOPPER
MADRID, MUSEO THYSSEN BORNEMISZA FINO AL 16 SETTEMBRE POI AL GRAND PALAIS DI PARIGI

lunedì 6 agosto 2012

Fotografia contro pittura un match postmoderno



Oggi le istantanee hanno mandato in soffitta il tradizionale inferiority complex: due mostre a Francoforte lo dimostrano

Il rapporto tra pittura e fotografia è da sempre controverso. Due mostre in corso a Francoforte permettono di mettere definitivamente in soffitta il complesso d’inferiorità della fotografia e anzi di mostrare originali percorsi, con qualche sorpresa. Più viva che mai, la fotografia si appresta infatti alla sfida delle nuove tecnologie, divenendo non solo testimonianza della realtà o strumento di creatività, ma assumendo nell’universo della comunicazione globale un ruolo del tutto inusitato, al di là dell’immagine artistica: intervenendo nella realtà quotidiana con i milioni di scatti dei nostri cellulari, modificando la Storia come stanno a dimostrare ad esempio le immagini del dissenso e delle insurrezioni arabe.

Allo Städel Museum (fino al 23 settembre) Painting in Photography. Strategies of Appropriation curata da Martin Engler e Carolin Köchling, presenta una sessantina di lavori di artisti che, per diverse strade stilistiche, hanno riconsiderato la relazione, spesso ambivalente, tra pittura e fotografia. Abbiamo i primi esempi di sperimentazione fotografica dello scrivere con la luce di László Moholy-Nagy (1895-1946) nei fotogrammi del 1920, realizzati senza macchina fotografica nei quali la luce naturale crea sulla carta sensibile forme astratte e la ricerca sulla luce di Otto Steinert (1915-1978) con i luminigrams. Fra i big della ricerca contemporanea Thomas Ruff con Substrat propone mutazioni cromatiche di campi di colore. Di Hiroshi Sugimoto sono esposti i «paesaggi marini», in quest’ultimi l’artista, lavorando sui tempi di esposizione, crea opere che trascendono la realtà raffigurata, sino a divenire, nel bianco e nero, una composizione astratta e spirituale.

Altri artisti si rifanno dichiaratamente alla storia della pittura come Jeff Wall che «ricostruisce», rendendolo contemporaneo, Un Bar aux Folies-Bergère di Édouard Manet. In Picture for Women (1979) l’artista canadese si rifà al famoso dipinto del 1882. La macchina fotografica è al centro dell’opera, e la si potrebbe leggere come una presa di coscienza del proprio ruolo. Molto più sommessa e intrigante, come si addice a autore e soggetto, è l’opera di Luigi Ghirri, che riprende, con la fotografia, gli oggetti utilizzati da Giorgio Morandi come modelli per le sue opere. Un altro approccio è quello di chi interviene con la pittura sulla fotografia come Oliver Boberg, Richard Hamilton, Georges Rousse e Amelie von Wulffen. Altri, più radicali, in piena temperie postmoderrna, come Sherrie Levine e Louise Lawler, esponenti della Appropriation Art, utilizzano, fotografandole, opere della storia dell’arte, in nuovi contesti.

All’MKK, museo d’arte moderna, Fotografie Total espone parte opere da una collezione che comprende oltre 2 600 lavori. La collettiva verte su due filoni. Da un lato artisti concettuali come Wolfgang Tillmans con l’immagine di un tucano che rasenta la perfezione formale. Vi sono i lavori di Lothar Baumgarten, Anna e Bernhard Blume, Bernd and Hilla Becher. Thomas Demand gioca sulla decostruzione e ricostruzione, creando immagini di interni stranianti. Sono soprattutto le installazioni che hanno come base la fotografia ad indicare una nuova frontiera. Nel momento in cui la specificità del fissare l’immagine non è più il traguardo finale, per la fotografia si apre sia la possibilità di divenire elemento costituente di una nuova opera d’arte in cui intervengono materia, foto, video, sia di elemento iconografico fondante nell’universo digitale (che la rassegna non affronta). In mostra troviamo i tableaux vivants , di Aernout Mik con un quanto mai attuale crollo della borsa, i video di Mario Pfeifer, la foto installazione di Mark Borthwick che trasforma la parete di una stanza nella storia quotidiana fissata da istantanee. Un’altra parte della mostra è dedicata al fotogiornalismo di inchiesta e di denuncia. Dagli scatti ormai storici di Paul Almasy, a Barbara Klemm, a Inge Rambow con la serie sui disastri ambientali dove, nella realizzazione fotografica, anche le discariche sembrano acquisire una loro estetica. Di Anja Niedringhaus rivediamo le serie sulla guerra che le hanno fatto vincere il premio Pulitzer.

FONTE: Massimo Melotti (lastampa.it)