venerdì 31 agosto 2012

Tiziano, nella selva (non più) oscura



Alberi protagonisti come i personaggi sacri Quei pittori che hanno illuminato la natura

«Quadro, che ognun, che'l vede el se ghe inchina...Opera umana no, ma ben divina» lo aveva definito nel 1660 il Boschini nella sua Carta del navegar pittoresco, dopo averlo ammirato in Casa Grimani. E ben prima di lui si era profuso in entusiastici apprezzamenti anche il Vasari, lodando gli animali «quasi vivi» e l'incredibile ambientazione boschiva. E certo il grandioso telero dipinto da quel giovane pittore arrivato dal Cadore e che già era stato allievo del Bellini per entrare poi nella bottega di Giorgione era di una novità sconvolgente. Una testimonianza altissima di quella rivoluzione che avrebbe caratterizzato la cultura artistica veneta nei primi decenni del Cinquecento, trasformando il rapporto tra figura e natura, elevando il paesaggio e l'elemento atmosferico da sfondo, da semplice cornice, a soggetto di primo piano della narrazione, cassa di risonanza in grado di riverberare i sentimenti stessi dell'uomo.
Oggi, dopo 250 anni, l'imponente dipinto con la Fuga in Egitto di Tiziano (204 x 324 cm) esce per la prima volta dalla Russia per arrivare, dopo una sosta alla National Gallery di Londra, in laguna, nella mostra aperta da oggi alle Gallerie dell'Accademia. Un'occasione irripetibile per ammirarlo data l'eccezionalità del prestito (da Venezia tornerà definitivamente a San Pietroburgo) e rileggerlo in tutti i suoi particolari e nella suggestione della sua luce e dei suoi colori ritornati all'originaria ricchezza dopo il lungo restauro condotto dal Museo Ermitage, cui appartiene. Realizzato da Tiziano intorno al 1507 per Andrea Loredan e il suo nuovo palazzo sul Canal Grande, il telero era infatti giunto in Russia nel 1768, acquistato da Caterina la Grande per il Palazzo d'inverno e subito inserito nella lista dei più importanti dipinti della Galleria.
Ma se quest'opera straordinaria, così significativa per gli sviluppi dell'arte di Tiziano e di un'intera epoca, è il fulcro dell'evento veneziano, tutt'intorno s'intreccia un racconto dove ogni episodio è un capolavoro dei grandi maestri che si sono accostati in modo inedito alla natura, interpretandola in tutta la varietà delle sue forme con una freschezza e una libertà di resa assolutamente nuove. «È un percorso tracciato da coprotagonisti che si guardano a vicenda, così come andava allora verificandosi nella Roma di Giulio II», commenta Giuseppe Pavanello, curatore della mostra insieme a Irina Artemieva. «Ma se nella Cappella Sistina di Michelangelo o nelle Stanze Vaticane di Raffaello l'accento è sul dato umano, a Venezia è sulla scoperta del paesaggio, sul dato altrettanto meraviglioso di natura. Né va dimenticata l'influenza dei modelli nordici qui già ben noti, come le scene visionarie e metamorfiche di Bosch allora presenti nella collezione Grimani e oggi per la prima volta esposte in dialogo con la maniera dolce e le delicate trasparenze atmosferiche di Giorgione o le incisioni di Dürer, con quella sua capacità di cogliere, della natura, anche la specificità di una foglia, di un filo d'erba e di cui in mostra si potrà vedere l'incisione con la fuga in Egitto, contraltare con i suoi bianchi e grigi e il paesaggio aspro e inospitale di quella idilliaca e in technicolor di Tiziano».
Ad aprire questo percorso tra maestri veneziani e maestri oltremontani è l'Allegoria sacra di Giovanni Bellini, con quella terrazza affacciata sul lago e quelle figure di santi che sembrano parte integrante della serena bellezza del creato. Ma se in lui, come ha scritto Adriano Mariuz, «le figure si accampano monumentali mentre la natura sembra farsi abside e altare ad accogliere icone viventi» è con Giorgione che si sposteranno ai lati, mentre protagonista diventa il paesaggio, con la sua modulazione di luci e di ombre, con il suo carico di fascinazione e mistero, come si può cogliere da opere celeberrime e qui esposte,Il tramonto, Omaggio al poeta, La tempesta. Ma tante altre ancora, e tutte altissime, sono le voci, tanti i capolavori che si rincorrono in mostra, di Sebastiano del Piombo, di Dosso Dossi, dell'esordiente Lorenzo Lotto, fino a Tiziano, che porterà ai vertici più alti il cammino intrapreso. E il grandioso telero con la Fuga in Egitto (sul quale era stata inizialmente tracciata una Natività rivelata da uno studio a raggi X), ne è una prova stupefacente. Se infatti la composizione è ancora ispirata agli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, rivoluzionario è il modo di rendere la natura, il vero focus della narrazione, con gli animali palpitanti di vita, l'asinello condotto da un giovane, i pastorelli, le limpide acque a cui ristorarsi e quegli alberi diventati importanti come personaggi, mentre lo sfondo si perde in lontananza, digradando in piani successivi. Un paesaggio così fascinoso che viene voglia di passeggiarvi dentro.
FONTE: Francesca Montorfano (corriere.it)

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