sabato 9 giugno 2012

Grafica italiana, lo stile della modernità



Il nostro "paesaggio dei segni" in mostra per la prima volta al Museo del Design di Milano

La grafica fa parte di quelle cose che tutti guardano senza davvero vederle. Eppure senza la grafica gran parte della comunicazione nel nostro mondo contemporaneo non esisterebbe: dai libri al computer, dalla pubblicità al packaging, dai quotidiani alle caramelle. I grafici, poi, sono considerati semplici appendici, strani operatori dell’immagine, che devono dare forma ai prodotti, oltre che ai sogni e alle ambizioni di scrittori, filosofi, editori, imprenditori, politici, e perfino contestatori. Tutti hanno bisogno dei grafici, ma nessuno li reputa davvero importanti. Forse per questo si è dovuta attendere la quinta mostra del Museo del Design della Triennale di Milano (fino al 24 febbraio 2013) per vedere finalmente scorrere davanti ai nostri occhi un concentrato del «paesaggio dei segni», che vediamo ogni giorno percorrendo in automobile le strade delle nostre città, oppure sedendoci su una panchina di un parco con un giornale o un libro in mano.

Finalmente la grafica è entrata nel tempio del design e l’ha fatto in modo discreto eppure eclatante. Il gran mascherone rosso di Leonetto Cappiello, che pubblicizza Oxo, brodo liofilizzato della Liebig, ci accoglie sulla soglia di «Grafica italiana»: un demone sorridente, beffardo e sarcastico che il caricaturista e cartellonista, nato a Livorno, dipinse a Parigi, quasi al termine dell’Art Nouveau. E accanto, dentro le bacheche dell’allestimento di Fabio Novembre, i libri futuristi, come a sancire, fin dall’inizio, che la grafica italiana possiede origini miste, spurie, e che il discorso intorno a quest’arte quasi invisibile va fatto con duttilità e immaginazione.

Esiste uno stile italiano, qualcosa di specifico del nostro contesto visivo? Oppure no, il design grafico è invece un prodotto internazionale o sovrannazionale? I curatori della moelegante e colta, la democrazia espressiva non contrasta con l’eccellenza. Un nome per tutti: Olivetti. La vetrina e le bacheche che radunano i manufatti grafici e visivi della azienda di Ivrea sono straordinari: semplicità e intelligenza, un mix che lascia a bocca aperta ancora oggi.

I nomi di questi maestri educati a un eclettismo visivo tutto italiano – razionale e inventivo, provocatorio e classico, moderato ed estremista – sono: Albe Steiner, il più politico; Bruno Munari, il più infantile; Max Huber, il più svizzero; Bob Norda, il più razionale; A. G. Fronzoni, il più estremista; Pino Tovaglia, il più fotografico; Enzo Mari, il più designer; Massimo Vignelli, il più diagonale; Franco Grignani, il più optical; e poi ancora: Anita Klinz, Mimmo Castellano, Giuseppe Trevisani, Piergiorgio Maoloni, per non dimenticare il grandissimo Michele Provinciali o l’italo-inglese Germano Facetti. E la lista continua con Giovanni Anceschi, Italo Lupi, Pierluigi Cerri, fino a Guido Scarabottolo e agli altri grafici giovani.

La grande lezione della grafica italiana, che metta mano a un libro come a una scatola di spaghetti, al marchio di un supermercato come a una sigla televisiva, è quella della lettura: leggere e far leggere. L’immagine è sempre leggibile, sia essa un disegno o una lettera. La grafica è il medium attraverso cui si raggiunge il pubblico, i potenziali acquirenti, che non sono mai immaginati più in «basso» di chi progetta e produce. Una volta Calvino, parlando dei suoi lettori, ha scritto che lo scrittore deve supporre un pubblico che ne sa più di lui, più colto e intelligente dello scrittore stesso. Così ci hanno immaginato i grafici italiani per i due lunghi decenni della modernità italiana, prima che l’utopia della comunicazione s’infilasse nel tunnel del consumo e del marketing pubblicitario, che si figura invece un lettore (o un acquirente) più ignorante, incolto e stupido di chi produce e distribuisce. Un’ora sola dentro la «Grafica italiana» alla Triennale vale a rifarsi gli occhi e serve ad aprire la mente, per capire che si tratta di un percorso interrotto che attende ancora di essere ripreso. La grafica ha ancora molte cose da dire, e da fare, per rendere più intelligente e sensibile la nostra vita quotidiana.

FONTE: Marco Belpoliti (lastampa.it)

mercoledì 6 giugno 2012

Albrecht Dürer. La disciplina del genio



L’artista torna nella sua città natale, dopo tre anni di raggi X.

Il ruolo di Albrecht Dürer nella storia dell'arte mondiale è così importante che un suo quadro era stato scelto per una curiosa operazione politico-diplomatica, poi rimasta bloccata da quegli improvvisi cambiamenti di clima che spesso si registrano nei rapporti internazionali. Per concludere nella Piazza Rossa di Mosca «l'anno tedesco-russo», il presidente della Germania Joachim Gauck e il leader del Cremlino appena rieletto, Vladimir Putin, avrebbero dovuto partecipare al montaggio di un gigantesco puzzle, di 1.023 pezzi, che riproduceva un autoritratto dell'autore di «Il Cavaliere, la morte e il diavolo». Sarebbe stato un evento significativo. Ma lo è sicuramente di più questa mostra, Der Frühe Dürer, apertasi nei giorni scorsi al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. E ai visitatori non sono offerte le tessere di un rompicapo ma i capolavori di uno dei geni della cultura umanistica.
L'itinerario espositivo si ferma alla vigilia del secondo viaggio in Italia di Dürer, un artista profondamente tedesco ma che fu aperto al mondo esterno e capace di conquistare rapidamente un'ampia fama in tutta l'Europa. Centocinquanta opere, di cui 120 provenienti da 12 Paesi, alle quali se ne aggiungono altre cinquanta di contemporanei come Hans Pleydenwurff, Michael Wolgemut e Martin Schongauer. Uno sforzo costato un milione e mezzo di euro, grazie al quale Dürer torna, a distanza di oltre quaranta anni, nella sua città natale dopo la mostra organizzata nel 1971 per il cinquecentesimo anniversario della nascita.
Ad accogliere i visitatori è Dürer in persona. O meglio, la statua in marmo bianco realizzata nel 1882 dallo scultore Friedrich Beer, ritenuta scomparsa durante la seconda guerra mondiale e ritrovata poco meno di due anni fa. L'opera di Beer è ispirata all'«Autoritratto a tredici anni», conservato all'Albertina di Vienna: un disegno a punta di argento che è il punto di partenza della mostra di Norimberga. Poco più che bambino, il figlio dell'orafo ungherese si ritrasse nel 1484 con l'aiuto di uno specchio, inaugurando così precocemente la sua carriera e aprendo una pagina nuova nella storia dell'arte europea.
Sei sezioni tematiche approfondiscono con grande ricchezza di apparati critici la figura di Dürer «come archetipo dell'artista moderno». Sarebbe sbagliato però non citare singolarmente almeno qualcuno dei punti di forza di questo complesso percorso, ricostruito con grande esattezza anche nella chiave della capacità di coniugare la sensibilità nordica con la forza cromatica della pittura italiana. Ecco la «Madonna con bambino» (o «Madonna Haller», dal nome della famiglia di Norimberga che la commissionò), arrivata dalla National Gallery di Washington, che risente degli influssi del primo viaggio a Venezia, Padova e Ferrara, compiuto tra il 1494 e il 1495. Oppure il visionario ciclo di xilografie della «Apocalypsis cum figuris», del 1498. Dalla Galleria degli Uffizi proviene «L'adorazione dei Magi», databile al 1504, opera eccezionale sia per lo studio della prospettiva che per le scelte cromatiche. «Il Dio dei colori», ha scritto il settimanale Der Spiegel.
Una delle novità di questa mostra è stato il lavoro tecnico-scientifico che l'ha preceduta. Nell'arco di tre anni un gruppo di ricercatori ha compiuto una serie di studi in vari musei del mondo con raggi X e fotocamere infrarosse riportando alla luce gli schizzi preliminari e individuando gli strumenti utilizzati da Dürer. I risultati di queste ricerche permettono ai visitatori di capire i segreti dell'artista e di entrare nel suo mondo. È stato, naturalmente, compiuto anche un esame delle condizioni di conservazione delle opere e della loro fragilità, provocata dal passare dei secoli. Non ha rappresentato quindi una sorpresa, anche se è stata accolta con un po' di delusione e qualche malumore, la decisione presa a Monaco di Baviera dalla Alte Pinakothek di non mandare a Norimberga l'Autoritratto con pelliccia, del 1500. Ma si tratta ugualmente di un appuntamento da non perdere.
FONTE: Paolo Lepri (corriere.it)


lunedì 4 giugno 2012

Mercati e venti del deserto nell'archeologia di Shafik



Una doppia mostra dedicata ai «reperti» dell’artista egiziano

Le opere vi inondano di luce bianca del Mediterraneo. Sabbie, colle, trine e gesso. Sulla loro superficie si percepisce la stratificazione del tempo, delle culture e delle merci: la Mesopotamia, le carte nepalesi, i luoghi sacri, l’incompiuto. Si è abbagliati dal sole, come il giovane Camus sulle sponde algerine, e, dopo un cammino nel mondo sublimato dei popoli, si giunge spaesati alle «origini dei fiumi profondi». Questo è il viaggio di Medhat Shafik (1956), artista egiziano in Italia dal 1977, che espone in una doppia personale, alla galleria Marcorossi artecontemporanea di Milano e alla Eventinove artecontemporanea di Torino. Athar, titolo della mostra, che in arabo significa reperti archeologici, indica un’interminabile ricerca di sé, della propria archeologia personale, attraverso la storia.

«La ricerca di un’identità – afferma l’artista – ormai liquida, per trovare la forza di dialogare con le altre alterità». Le grandi campiture, affollate di segni, di micro-mondi, di popoli migranti, di colline, di venti del deserto, formano un universo interiore creatosi nel tempo del viaggio, nella letteratura, nell’agorà e negli occhi degli antenati. Umili garze egiziane usate per i sudari o per contenere il pane sacro nella chiesa copta, sono appiccicate a tele polifoniche che parlano dell’Est e dell’Ovest. «La materia – afferma l’artista – nel mio lavoro ha valore semantico, ci sono sacchi di farina, civiltà contadine, valori antropologici ritrovati».

Misticismo, spirito e pluralità culturale, sono gli elementi che contraddistinguono l’opera di Shafik, il quale, parlando dell’Egitto e del mondo arabo, assume un’espressione triste. «Il mio paese vive un momento atroce, c’è un bivio. – dichiara - O si cade nel baratro e si diventa schiavi di se stessi o si cerca di trovare una forma di democrazia dialogante con il mondo. È in corso una metastasi nel corpo antropologico dell’Egitto». Per Shafik non vi è separazione tra sé e il mondo, tra sé e l’arte. Tutto si compenetra, coesiste, s’incontra, si moltiplica: contraddizioni, dissonanze e armonie vivono lo stesso spazio. Una raggiera infinita di significati si espande sulla tela. Toni scuri, blu intensi, vengono attraversati da lampi di giallo o di rosso.

Tempeste o pomeriggi azzurri in atmosfere ancestrali aprono visioni possibili, visioni alternative alla meccanica drammaticità del presente. Nelle opere di Shafik il mercato ha un ruolo preponderante. «Non sono importanti le merci – afferma – siamo qui per offrire vita a vicenda. Quello che è importante nella tradizione è che a una certa ora tutti si raccolgono intorno al fuoco e ognuno inizia a raccontare la propria giornata. L’arte, la poesia, la letteratura, la conoscenza, sono per lui le uniche modalità possibili di trasformazione.

Medhat Shafik
Milano Marcorossi
Fino al 30 Giugno

Torino, Eventinove
fino al 23 giugno

venerdì 1 giugno 2012

Infiorata 2012, tra tradizione e impegno sociale


Entrano nel vivo i preparativi per il 16, 17 e 18 giugno. Il Sindaco e il Presidente dell’Istituzione incontrano il pittore ospite Claudio Marini

A poco più di due settimane dalla tradizionale Infiorata di Genzano, entrano nel vivo i preparativi per la manifestazione più rappresentativa della città che, dal 1778, conta ogni anno migliaia di visitatori. E così, in preparazione del prossimo 17 giugno e di tutti gli eventi collaterali alla manifestazione, il Sindaco di Genzano Flavio Gabbarini e il Presidente dell’Istituzione Eugenio Melandri hanno incontrato Claudio Marini, che sarà il pittore ospite della prossima Infiorata con un quadro di grande impegno sociale. Non una singola immagine, bensì un collage di 15 quadri diversi realizzati nel corso del 2011; un collage di bandiere e, nello specifico, di bandiere nazionali degli Stati che, proprio nell’anno 2011, si sono distinti nelle lotte per i diritti umani e degli Stati dove sono avvenuti eventi che hanno cambiato il corso della storia.

“Il pittore ospite – ha affermato il Presidente Melandri – sarà presente a Genzano anche nei giorni immediatamente precedenti al 16, 17 e 18 giugno, con una mostra di 23 dei suoi quadri all’interno del Palazzo Sforza Cesarini. Sempre lui – ha proseguito Melandri – curerà la grafica del manifesto in modo tale da legare un evento tradizionale come l’Infiorata ad un’espressione artistica contemporanea”. Si lavora dunque, si lavora senza sosta, perché ormai l’evento si fa sempre più vicino.

“Stiamo cercando di riportare la nostra Infiorata ai massimi livelli – ha commentato il Sindaco Gabbarini – perché Genzano venga riconosciuta come la ‘capitale dei fiori’. L’ingresso nel direttivo dell’Associazione nazionale Città dell’Infiorata è stato uno dei primi passi perché il confronto con le altre realtà è qualcosa di imprescindibile, così come imprescindibile è la creazione di percorsi comuni per la valorizzazione e la salvaguardia di questa arte”.

FONTE:
Ufficio stampa Comune di Genzano di Roma
Ilaria Proietti 328.3321527 - Marta Rossi 347.0548170

Claudio Marini
2012 d.C.

Genzano, Palazzo Sforza Cesarini
15 giugno - 15 luglio 2012
a cura di Gabriele Simongini

In occasione della storica Infiorata di Genzano, rinomata a livello internazionale, le sale del magnifico Palazzo Sforza Cesarini ospiteranno dal 15 giugno la mostra di Claudio Marini intitolata “2012 d.C.”. L’evento è stato fortemente voluto dal Sindaco di Genzano Flavio Gabbarini e dal Presidente dell'Istituzione per le attività culturali, ricreative e sportive del Comune, Eugenio Melandri. Ne sarà protagonista un reportage pittorico ed eticamente “politico”, a nervi scoperti, sullo stato di salute del mondo attraverso il simbolo iconico in cui si identifica ogni nazione: la bandiera. Dopo aver dedicato due cicli di quadri-bandiere ad una sorta di bilancio del XX secolo, dal 2011 Claudio Marini, con la sua pittura ansiosa e febbricitante, si è concentrato sui fatti in atto come un sismografo sensibilissimo, dallo tsunami in Giappone alle primavere di rivolta delle piazze arabe, dalla repressione in Siria alle stragi in Nigeria, fino alla crisi economica in Grecia. Come dimostrano le 26 bandiere esposte a Genzano, accompagnate da una sorprendente installazione a parete con una serie di vessilli più piccoli,  “Claudio Marini – scrive il curatore della mostra, Gabriele Simongini - agisce su quel condensato della storia e delle radici di ogni nazione che è la bandiera depositandola in una sorta di frullatore che la sgualcisce, la macchia, la strappa, la scioglie, la usura, per poi farne venire fuori il suo ritratto attuale, veritiero, sconvolgente. Mentre le bandiere ufficiali che sventolano sui pennoni internazionali sono immacolate e perfette come il Dorian Gray perennemente giovane di Oscar Wilde, Claudio Marini ha il coraggio di guardare l’effigie nascosta e sofferente di queste nazioni e di darcene conto”. Come nota Eugenio Melandri, “l'opera artistica di Marini quest'anno attraversa la grande Infiorata di Genzano. E, inevitabilmente, la colloca dentro queste convulsioni che da tanti luoghi diversi, domandano una rivoluzione “umana” di questo nostro mondo”.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo pubblicato da Palombi editori, con i testi di Eugenio Melandri e Gabriele Simongini e con le riproduzioni delle opere esposte.

L’inaugurazione della mostra sarà preceduta, il 15 giugno alle ore 17, dal Convegno su "I colori dell'Infiorata e le convulsioni del mondo" a cui prenderanno parte Claudio Marini, Gabriele Simongini, Gianguido Folloni e Giuliana Sgrena, giornalista esperta di Medio Oriente, con saluto del Sindaco Flavio Gabbarini e introduzione del Presidente dell'Istituzione per le attività culturali, ricreative e sportive del comune, Eugenio Melandri.

Note biografiche
Claudio Marini è nato a Velletri nel 1947. Formatosi in un clima culturale la cui ricerca si incentrava sul superamento della dicotomia tra astrazione e realismo, le sue prime opere si  caratterizzano per una forte astrazione pittorico/materica, attraverso l’inserimento sulla tela di materiali come matasse di fili di cotone, corde, cuoio, grumi di resine, lamiere, terra e cemento. Dagli anni ’90 nei suoi lavori si manifesta  un desiderio di maggiore aderenza ai fatti della vita; lo testimoniano le diverse serie tra cui “Shopping”, “Zapping” , “Cassonetti”, “Le città martiri”, “Passaggio a Pretoria”, “L’ottava notte”, etc., ma soprattutto le serie sulle bandiere del 2000 (“Madri”), 2006 (“Novecento”), e nell’ultima (“2011”). Tra le esposizioni di maggiore prestigio ricordiamo la sua partecipazione alla XL Biennale di Venezia, nel 1982.

Scheda tecnica
15 GIUGNO, ORE 18,30, INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA DI CLAUDIO MARINI “2012 d.C.”
Palazzo Sforza Cesarini, Piazzale Cesarini, 00045 – Genzano di Roma
Orari di apertura al pubblico
Sabato 16 giugno: ore 10,00-23,00 orario continuato
Domenica 17 giugno: ore 10,00-22,00 orario continuato
Lunedì 18 giugno: ore 10,00-13.00 e 16,00-20,00
Dal 19 giugno al 15 luglio: dal venerdì alla domenica, 9:30-12:30 e 16:30-19:00
Per informazioni: 06.93711347 – 307 – 228