giovedì 13 ottobre 2011

Lo sguardo del Perugino inedito

A Campione d'Italia due tele attribuite al pittore grazie a un inventario del 1703


Il Cristo coronato di spine scruta fisso negli occhi lo spettatore del quadro con un'espressione che non tradisce dolore fisico ma compassione con chi intercetta il suo sguardo. La Madonna ha il capo leggermente reclinato e i suoi occhi, in una traiettoria appena obliqua, probabilmente cercano il figlio, lì accanto nell'altra tavola. È il «Perugino inedito» che regala anche il titolo alla mostra che si apre sabato 15 ottobre nella galleria Civica di San Zenone di Campione d'Italia. Come mai lassù, nel comune italiano in territorio svizzero? La risposta fa parte del giallo storico-artistico dell'inedito: il proprietario delle due tavole è un collezionista italiano (rigorosamente anonimo) che risiede in Svizzera...

Ed eccoci alle due tavole, capitate non più di due anni fa per una consulenza tra le mani del professor Francesco Federico Mancini, ordinario di Storia dell'Arte moderna all'Università di Perugia e da anni studioso del Perugino. Sua la grande mostra monografica sul «Perugino divin pittore» del 2004, organizzata nella Galleria nazionale dell'Umbria con Vittoria Garibaldi, allora soprintendente umbra. Nel 2012 sarà impegnato, di nuovo con Vittoria Garibaldi e stavolta anche con Tom Henry, docente di Storia dell'Arte all'Università di Oxford Brookes e collaboratore della National Gallery di Londra, in una rassegna monografica su Luca Signorelli. Un anno fa presentò, nel primo capitolo del «Perugino inedito», altre quattro piccole tavole inedite dell'artista.
L'inedito di oggi riguarda due oli su tavola (33 centimetri per 27) in origine collegati da cerniere a formare un dittico. Presentano sul verso un rivestimento di pelle stampigliata che simula l'esterno di un libro. Spiega Mancini: «Era un altarolo domestico. Una volta chiuso, poteva essere collocato nello scaffale di una libreria, oggetto raffinatissimo per il gabinetto di un amateur».
Come in ogni attribuzione attendibile, ecco la necessaria fonte: un inventario dell'11 giugno 1703 relativo ai beni di Cosimo Bordoni, medico personale di Cosimo III, abitante a Firenze in via Tegolaia. Lì si parla di «due quadri compagni, del Perugino: la Madonna e Giesù, ornamento liscio, tutto dorato».
Dopo quell'inventario, le tracce del dittico si perdono. Ma poi, sempre sui dorsi, ecco un altro indizio: due sigilli di ceralacca, uno nero e l'altro rosso, con emblemi araldici ancora non decifrati. Afferma ancora Mancini: «Si tratta di sigilli con ogni probabilità inglesi, che segnalano la presenza delle due opere appaiate in una collezione anglosassone tra il '700 e l'800. Segno, anche questo, del grande prestigio goduto dalle tavole». E dopo? «Dopo non sappiamo nulla se non che l'attuale proprietario ha acquisito il dittico sul mercato e mi ha contattato per mostrarmelo».
Mancini colloca le due opere nel periodo veneziano del Perugino, cioè dopo il 1494, quel lasso di tempo sul quale si soffermò, pieno di interrogativi proprio per l'assenza di tracce, Pietro Scarpellini nella sua monografia sull'artista del 1984. Racconta il curatore della mostra: «Appena viste le tavole, ho avuto la certezza della mano del Perugino. Ma un Perugino in qualche modo anomalo, soprattutto per lo sfondo nero da lui raramente usato. Il pensiero va subito alla "Maddalena", conservata a palazzo Pitti e che proporrò in catalogo. A mio avviso il dittico venne realizzato tra il 1495 e il 1497, o a Venezia o a Firenze. Perugino potrebbe averci lavorato direttamente a Venezia, portando poi l'opera a Firenze, o invece nella città dei granduchi subito dopo aver lasciato Venezia. L'influenza veneziana è evidente, soprattutto da parte di Alvise Vivarini. Ma fiorentina è sicuramente la coperta in pelle che contiene espliciti riferimenti a Firenze, ovvero piccoli e grandi gigli». Lo conferma anche lo studioso John Bidwell, Astor Curator of Printed Books and Bindings della Morgan Library di New York. In quanto allo stile, ai colori, professore? «Caratteristici del Perugino sono il verde bottiglia del risvolto del manto della Vergine, il rosa del copricapo a cuffia, il rosso intenso della veste che è identico sia per timbro che per qualità a quello della Vergine».
Il dittico arriva a noi, fino al 2011, in condizioni non straordinarie, nonostante la forza e la resistenza di una pasta cromatica particolarmente grassa e oleosa. In un passato non definibile una pulitura tanto sommaria quanto aggressiva, spiega sempre il curatore della mostra, deve aver causato quelle spellature visibili sia sulla barba che sui capelli del Cristo. In quanto alla Madonna, in alcuni punti sono sparite molte delle delicatissime velature che, ricorda Mancini, «conferiscono maggiore profondità e trasparenza ai suoi colori». Ma i due sguardi, per nostra fortuna, mantengono intatta una forza e, insieme una dolcezza indelebili.
FONTE: Paolo Conti (corriere.it)

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