lunedì 3 ottobre 2011

La fotografia è una terra madre


Il rapporto fra autori e luoghi di appartenenza è il filo rosso che lega mostre ed eventi del decimo Festival di Roma

Corpi flaccidi e strabordanti, ora sdraiati ora in piedi, che fanno pensare alla pittura di Lucian Freud ma talora alludono al Mantegna: le fotografie di grande formato riempiono la stanza più sorprendente della personale di Eric Poitevin, curata da Eric de Chassey all’Accademia di Francia a Villa Medici. Poitevin ha anche ripreso alberi e foreste e animali, ed è questa la sua interpretazione di «Terra madre», il tema filo conduttore del X festival di Fotografia di Roma, diretto da Marco Delogu. «”Motherland” - spiega - affronta il rapporto tra fotografia e territorio nella sua accezione più profonda, tra autori e appartenenza a un luogo». Così ad esempio l’aquilano Antonio Di Cicco racconta all’Iccrom in «La terra negata dall’identità», in un bianco e nero livido e asciutto, i luoghi senza identità dell’Abruzzo post-terremoto: dagli anziani che tornano davanti alle porte delle case distrutte alla natura che sembra l’unica cosa viva in certe costruzioni abbandonate.

All’Accademia di Spagna il collettivo Pandora esplora altri territori di confine: tra Messico e Stati Uniti, tra Marocco e Spagna, o tra Colombia e Panama. Ci sono serie struggenti come quella dellePenelopi messicane , con grandi foto di donne di varie età e un numero di figli che va da uno a dieci, in attesa di uomini che hanno attraversato il confine e non si sa se e quando torneranno. O degli indigeni Embera «forzati dell’Eden», ossia costretti a vivere in una sorta di paradiso terrestre, ma senza diritti ai confini della Colombia.Oltre a quelle delle Accademie straniere ci sono decine di mostre in un circuito di gallerie private, ma il cuore del Festival è al Macro Pelanda al Testaccio.


 Qui Delogu propone una sorta di storia centrifugata della kermesse che compie dieci anni e che ha rischiato di scomparire dopo il cambio di guardia in Campidoglio. Ritroviamo così, legati dal tema «Motherland», alcuni autori e alcune serie presenti in passato: dall’America di Paul Fusco, vista dal treno che portava la salma di Robert Kennedy, nel giugno del ‘68, ai personaggi (il nero che gioca a scacchi e sembra quasi una foto di Sidibé o le coppie aggrovigliate sul prato) al Central Park di Tod Papageorge, dalla Napoli in nero e bianco di Antonio Biasiucci al ritorno a casa degli adolescenti dello svedese Anders Petersen.Tutti gli anni il Festival invita un grande fotografo a raccontare Roma, questa volta è toccato ad Alec Soth, che della kermesse è una vecchia conoscenza: si rivedono come «souvenir» alcune sue immagini dell’America profonda come l’indimenticabile Charles con tuta, passamontagna e due modelli di aeroplani in mano. A Roma Soth ha realizzato una serie che si chiama La belle dame sans merci (raccolta anche in un libro) ed è ispirata a un verso di John Keats che è sepolto a Roma al Cimitero degli Inglesi alla Piramide. Soth si è perso dietro alcune donne viste in città, dietro serpenti e riferimenti simbolici al poeta, ci ha lasciato immagini forti come quella della ragazza dai capelli rossi un po’ da strega e foto minimaliste di un piatto con un fico e due frutti della passione.Altre serie nuove sono di fotografi italiani scelti da Delogu e di autori di tutto il mondo selezionati da una triade di curatori internazionali, Marc Prüst, Paul Wombell e Rob Hornstra. Abbiamo così le ombre e le luci sulle mura aureliane di Roma nella serie in bianco e nero di Rodolfo Fiorenza o i giochi un po’ intellettualistici della giovane Valentina Vannicola che ha ambientato l’Inferno di Dante nella sua Maremma. 


Francesco Millefiori ci restituisce una Sicilia macchiata dal degrado, Francesco Fossa racconta invece in Quota Mille il Matese, con interni contadini ed esterni che sembrano all’altro capo del mondo, Lorenzo Maccotta insegue il padre tra Tunisi e Pantelleria.Tra gli ospiti stranieri è geniale la serie di fotomontaggi realizzata dal francese Mathieu Bernard-Reymond che inserisce in paesaggi naturali grafici legati all’andamento della Borsa, al prezzo del petrolio o agli utili dell’Ubs. Uno spazio è dedicato al Medio Oriente con le foto «di famiglia» in bianco e nero della libanese Rania Matar e un reportage sul ritorno in Algeria di Bruno Boudjelal. A completare il tutto alcuni autori olandesi e soprattutto «Sound of Water», una collettiva di cinque autrici giapponesi, che riflettono sulla natura e la società del loro Paese, una terra madre che si è rivelata nell’ultimo anno matrigna. Nei prossimi giorni si aprirà, all’Aranciera di Villa Borghese, la doppia mostra storica dedicata a Milton Gendel, il critico e fotografo cosmopolita vissuto tra New York, Shanghai e Roma.Certo, rispetto alle prime edizioni, il festival ha subito un ridimensionamento, ma la sua vitalità sta oggi in un modello organizzativo «a rete», che potrebbe essere imitato in tempi di crisi: «Abbiamo speso - spiega Delogu - solo 125 mila euro, grazie alla collaborazione delle varie Accademie straniere e di Istituti come l’Iccrom che hanno prodotto le mostre da loro ospitate». E l’approdo al Macro Pelanda prelude a un rapporto più continuativo tra il Festival e il museo da poco diretto da Bartolomeo Pietromarchi.


FONTE: Rocco Moliterni (lastampa.it)

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