domenica 18 dicembre 2011

Gli inuit si raccontano con le matite colorate

Esplode il fenomeno dell’arte esquimese. A Roma apre una mostra tutta al femminile

Cape Dorset, o piuttosto Kinngait - questo il nome del villaggio nel linguaggio degli «inuit», quelli che comunemente da noi si chiamano eschimesi - è un mucchietto di case dove vivono 1.300 anime. Si trova su una baia della parte sud della Terra di Baffin, appena sotto il Circolo polare artico, nel cuore del Territorio del Nunavut. In questo lembo settentrionale di Canada, dove la temperatura media nel «caldo» luglio è di 7 gradi, e di 25 gradi sottozero in gennaio, da molti anni è concentrato il cuore dell’arte del popolo Inuit. Qui dagli anni ‘50 le forme più tradizionali di arte, come la scultura su pietra o su ossa, si sono incontrate con quelle più moderne come la grafica fino a far diventare Kinngait la comunità del Canada «più artistica», con oltre il 20% della manodopera che lavora nel campo dell’arte. Tantissime di queste artiste sono donne: disegnano o dipingono a casa, usando strumenti semplici come le matite colorate, raccontando spesso scene di vita quotidiana o scegliendo invece raffigurazioni più astratte. Questi disegni, poi, vengono portati a Kinngait dai maestri stampatori della West Baffin Eskimo Co-op.

Nel solco delle «capostipiti del gruppo», Pitseolak Ashoona e Napachie Pootoogook, la quarta generazione di artiste vede protagoniste Annie Pootoogook, Shuvinai Ashoona, Ningeokuluk Teevee e Siassie Kenneally. Il fascino, la freschezza innovativa di questa arte che unisce memorie della tradizione del popolo Inuit con gli influssi moderni in un tratto semplice si sta diffondendo nel mondo: molte gallerie in Canada e negli Stati Uniti ne espongono le opere. Che ora sbarcano in Italia, con una mostra a Roma al museo Pigorini all’Eur aperta fino a febbraio, sostenuta dalla collaborazione del Mibac e dell’ambasciata del Canada.

Come spiega Leslie Boyd Ryan, la direttrice del Dorset Fine Arts di Toronto, la galleria che diffonde nel mondo queste stampe, «in questo matrimonio tra modernità e tradizione queste artiste riscoprono i motivi della cultura Inuit». Sono normalissime madri di famiglia, o persone che lavorano e disegnano quando possono. Per loro, poi, i proventi della vendita delle opere costituiscono una importante fonte di reddito. E ci raccontano la vita e le memorie dell’Artico, un ambiente difficile e aspro e insieme delicatissimo.

FONTE: Roberto Giovannini (lastampa.it)

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