venerdì 23 dicembre 2011

Carl Fredrik Hill, artista massimo in genio e follia

Poco noto da noi, ma la sua vena visionaria influenzò molti

Non è stato Giorgio de Chirico (1888-1978) il solo artista ad autodefinirsi pictor maximus. Prima di lui lo ha fatto Carl Fredrik Hill (1949-1911), di cui, adesso, la Svezia celebra il centenario della morte con una grande retrospettiva al museo Waldemarsudde di Stoccolma, a cura di Sten Åke Nilsson: 133 lavori fra oli (71) e disegni (62); comprese sette versioni dell'Albero da frutta in fiore. Altre due rassegne, anche se minori, al museo d'arte di Malmö (48 disegni di Hill e altrettanti di artisti che a lui si sono ispirati) e alla Konsthall di Lund (27 dipinti e circa 200 disegni del lascito al Museo).
In Italia, Hill è noto esclusivamente in una piccola cerchia di specialisti. E in Europa occorre risalire al 1949, centenario della sua nascita, per una serie di mostre a Londra, Lucerna, Basilea, Ginevra, Amburgo e Parigi. Città, quest'ultima dove il pittore svedese era arrivato nell'estate del 1874, fermandosi per quasi un triennio. La Scuola di Barbizon (dove conosce László Moholy-Nagy e Michael Munkacsy) e Camille Corot («Ha scoperto un nuovo modo di guardare il vecchio» scriverà) influenzeranno la sua pittura, soprattutto quella di paesaggio. Ammira anche Alexandre Decamps, Charles Daubigny, Jean-François Millet, il doganiere Rousseau; Parigi, ma anche le vedute di Montigny le Bretonneux e di Champagne e della Normandia.
Vuole «stupire il mondo e guadagnare un sacco di soldi». Scrive al padre: «Mi limiterò a ricordare che con me la Svezia ha un pittore mai visto». E si fa chiamare pictor maximus. Durante il soggiorno parigino muoiono la sorella Anna e il padre. Soprattutto la scomparsa della sorella, cui Carl era molto legato, mina le sue capacità intellettive; aggravate, sul piano artistico, da una grande delusione: i saloons rifiutano i suoi quadri. Gli effetti saranno piuttosto devastanti.
Carl comincia a soffrire di quella che Eraclito definiva una malattia sacra: paranoia e allucinazioni. Di notte grida come un ossesso; i vicini si lamentano e l'artista viene ricoverato in un ospedale psichiatrico, dove disegna una serie di motivi osceni. Quando rientra definitivamente in Svezia, va a vivere con la madre e una sorella nella casa natale di Lund.
Seguono anni di intenso lavoro. È come se Carl avesse un desiderio di rivalsa, atto a dimostrare che il fallimento parigino era colpa dei francesi: non avevano capito nulla del suo genio.
Dipinti, migliaia di disegni - anche quattro al giorno - fra allucinazioni e cefalee: paesaggi, qualche ritratto. Ma anche figure fantastiche e visionarie che gli venivano suggerite sfogliando la collezione paterna di libri illustrati: un leone gigante che ruggisce a una giovane sposa nuda e triste; un coccodrillo-leone che vuole accoppiarsi con una donna il cui corpo galleggia in un fiume blu; due elefanti in uno stagno, una donna con serpenti, una tigre - vengono in mente le tigri di Antonio Ligabue - che si aggira fra i colonnati.
Stile? Carl Hill è un eclettico. C'è sì nelle vedute l'impronta della Scuola di Barbizon, uno spruzzo di impressionismo in paesaggi con figure ( Mia sorella Anna ) e, ancora, negli occhi a mandorla, contornati di nero, di talune donne, l'eco dei ritratti del Fayyum. Anche se talvolta si è dinanzi a tecniche diverse, si tratta, comunque, di immagini private, emotive, rese a tinte forti.
Ma una domanda lo ossessiona: «È noto Hill?». Non lo saprà mai. Solo dopo la morte i suoi lavori cominciano a girare per l'Europa e a lui spesso si ispireranno artisti come Arnulf Rainer, Günter Brus e Georg Baselitz; o poeti come Jesper Svenbro (Eccomi accanto alla sua tomba. / La lapide guarda ad Est / come volesse salutare il sole / che annuncia al mattino: / il mondo è nuovo. / La rugiada brilla sull'erba. / Tutt'intorno risplendono / umidi tronchi d'albero. / S'alza, implacabile, il sole, / impossibile incontrare il suo sguardo) e Gunnar Ekelöf.
Carl nasce nel sud della Svezia, a Lund. Il padre, professore di matematica, all'inizio avversa le sue aspirazioni di pittore, ma, una volta convintosi che non si tratta di un capriccio momentaneo, lo manda a studiare all'Accademia di Stoccolma. Nei musei, Carl si esercita a copiare i maestri olandesi, soprattutto i paesaggi del secentista Jacob van Ruisdael. Ma il suo sogno resta Parigi, crocevia internazionale dell'arte. I tre anni trascorsi fra i café de la Ville Lumiére e la campagna circostante contribuiranno moltissimo alla sua formazione di pittore. Disperazione e follia faranno il resto.
FONTE: Sebastiano Grasso (corriere.it)

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