domenica 11 dicembre 2011

Danzate, danzate altrimenti siamo perduti

Al Centre Pompidou di Parigi i rapporti e le influenze reciproche tra arti visive e danza nel corso del Novecento

“La mia arte è un tentativo costante di esprimere in gesti e movimenti la verità del mio essere. Non ho fatto altro che danzare la mia vita». Così scriveva all’inizio del ’900 Isadora Duncan. E quasi un secolo dopo Pina Bausch ribadiva: «Danzate, danzate, altrimenti siamo perduti». Sta in queste due affermazioni il significato del titolo «Danser sa vie», la grande mostra che il Centre Pompidou di Parigi dedica ai profondi legami, alle reciproche influenze tra arti visive e danza. Un passo a due molto stretto che percorre un intero secolo. Non si tratta qui di analizzare il lavoro degli artisti «per la danza» (bozzetti, scenografie, costumi), ma le comuni aspirazioni di due arti che vanno avanti all’unisono, sospinte dalle medesime tensioni. 450 opere, da Matisse a Warhol, da Nizhinskij a Cunningham a Jérôme Bel. Un percorso in tre atti per raccontare la comune passione per il corpo in movimento: la soggettività, l’astrazione, la performance. Sono questi i tre grandi capitoli della mostra aperta sino al 2 aprile e curata da Christine Macel e Emma Lavigne.

Occorre ritornare ai pionieri, Loïe Fuller, Mary Wigman, Vaslav Nizhinskij, fondatori della danza contemporanea, per capire la rottura senza precedenti che si verifica all’inizio del ’900 nell’arte del corpo in movimento. La soggettività, l’essere più profondo dell’artista, è esplorata con una danza libera, sciolta dai legami del balletto classico, ed è incarnata dalla figura di Isadora Duncan nei disegni di Bourdelle. Gli artisti scoprono il corpo, esprimono un fervore sensuale, dionisiaco come capita nel Fauno di Nizhinskij fotografato dal barone de Meyer. Una nuova gioia di vivere si impossessa dei corpi danzanti proprio mentre Matisse o Derain esaltano il nudo. Lo stesso corpo nudo è celebrato dalle ronde bacchiche che si svolgono nei boschi svizzeri presso la comunità del Monte Verità con Rudolf von Laban e Mary Wigman.

Stretti rapporti artistici legano la Wigman con i pittori espressionisti. Per esempio le pulsioni di vita e di morte che animano il famoso assolo della Wigman Hexentanz (la danza della strega) trasmigrano sulla tela nelle figure di Emil Nolde e Ernst Ludwig Kirchner. Gli spettacoli dei Ballets Souedois ispirano i quadri di Picabia o animano il famoso Entr’acte di René Clair. Dal corpo, dalle arti visive nascono nuove forme plastiche. Che conducono nella modernità e all’astrazione. Il percorso prende il via dalla danza serpentina di Loïe Fuller (che influenza Sonia Delaunay), passa per i danzatori marionetta di Oskar Schlemmer ai tempi del Bauhaus (splendidi in mostra i costumi per il Balletto Triadico) per arrivare alle figure astratte dell’americano Alwin Nikolais che propone una integrazione di tecnologia e scena, creando figure geometriche che assumono forme inattese grazie anche all’uso totalmente nuovo dell’illuminotecnica. Un percorso simile è compiuto per esempio da Kandinskij che si ispira alle istantanee della danzatrice Gret Palucca per creare sinfonie astratte di linee rette e curve.

Il legame si fa ancor più stretto all’epoca delle neoavanguardie americane, del post modern, con l’irrompere in scena della performance. C’è un filo rosso, sotterraneo, che unisce le azioni dadaiste del Cabaret Voltaire di Zurigo, durante la prima guerra mondiale, alle performance del Black Mountain College organizzate da Cunningham, Cage e Rauschenberg nei primi anni 50. Per arrivare sino alle esibizioni nelle gallerie d’arte, oppure organizzate sui tetti dei grattacieli, verticalmente lungo le pareti degli edifici. Si scopre il video. Sono gli anni di Trisha Brown e Lucinda Childs e tutti gli altri innovatori del Judson Dance Theatre. Childs in Dance proietta direttamente sui ballerini il video di Sol Lewitt che riprende gli stessi interpreti ma da altre prospettive. Action painting, body painting dilagano. Ecco allora un grande foglio bianco con un disegno astratto al carboncino di Trisha Brown, fatto di fluide inarrestabili linee. Lo ha realizzato pochi anni fa. Danzando e disegnando contemporaneamente.

FONTE: Sergio Trombetta (lastampa.it)

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