sabato 24 dicembre 2011

Addio a Chamberlain, scultore dei ferrivecchi


Americano, 84 anni, riplasmava le vecchie automobili con la forza dell'immaginazione

È morto a Manhattan lo scultore americano John Chamberlain: uno dei primi ad usare parti di vecchie auto e rottami di metallo colorato per realizzare le opere. Aveva 84 anni.

Negli Stati Uniti (Rochester, Indiana), dov'era nato nel 1927, lo consideravano una sorta di mago capace di fondere (mai un termine è stato usato in maniera così appropriata come in questo caso) Espressionismo astratto e Pop art. Perché John Chamberlain non solo assemblava metalli, ma li fondeva. La stessa cosa avveniva, più o meno negli stessi anni, in Europa, a opera di César (1921-1998), toscanaccio di Marsiglia.
Solo che quest'ultimo aveva combattuto, assieme a Tinguely, Arman, Raysse, Hains e altri, sotto la bandiera di quel Nouveau réalisme di cui Pierre Restany era considerato il profeta. Ma come César, John era pieno di contraddizioni, sornione, spiritoso, amante delle frasi a effetto, della mimica.
Per entrambi contavano le idee. Non importava loro che per realizzarle si impossessassero di scarti di ferro, di bronzo, dando vita a sculture-spettacolo. Certo avevano delle differenze; ma solo di formazione.
Dai 16 ai 19 anni, Chamberlain aveva prestato servizio nella marina militare statunitense. Poi, a Chicago, s'era iscritto all'Istituto d'arte. Furoreggiava, allora, l'Espressionismo astratto ed egli, guardando a David Smith, aveva confezionato le prime sculture saldate. Quindi, nel '55, aveva approfondito lo studio sui materiali.
Trasferitosi a New York, aveva cominciato a lavorare come un forsennato: portiere d'auto, lastre di metallo leggero, pezzi di binari ferroviari venivano fusi in parte e saldati. Durante la crisi del petrolio, aveva sostituito le auto con i barili.
In Francia, César - che per vivere faceva il barista, vendeva legnami e guidava un taxi - nell'osservare, casualmente, una pressa che trasformava vecchie automobili in blocchi compatti («una mano gigantesca al servizio dell'immaginazione»), aveva pensato di fare la stessa cosa con, in più, il coraggio di portarli al «Salone di maggio» dove qualcuno, a sua volta, aveva avuto il coraggio di esporli.
Al contrario di John, César era piuttosto incolto. A Marsiglia aveva frequentato le scuole comunali per gente povera. Una borsa di studio lo aveva portato a Parigi.
E qui, anche se costeggiava un'Accademia, aveva appreso di più frequentando gli artisti che conducevano una vitabohémienne, piuttosto che ascoltando qualcuno che gli insegnasse i rudimenti della scultura.
La loro filosofia? Cercare i punti di contatto fra l'arte e la nuova realtà del mondo industrializzato e meccanizzato. E così i «Benvenuto Cellini dei ferrivecchi» - anche se in continenti diversi - avevano finito col seguire la stessa strada.
FONTE: Sebastiano Grasso (corriere.it)

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