mercoledì 30 novembre 2011

Digitalife, il futuro del digitale a Romaeuropa tra reale e fantastico

E’ soprattutto una mostra sonora, prima ancora che visiva, la digitalife2 che Romaeuropa ha allestito all’ex Gil di Largo Ascianghi (davanti al cinema Sacher) e intitolato Il reale, il meraviglioso, il fantastico. Lo scorso anno ospitata dalla Pelanda, è da oggi nell’edificio morettiano sempre più spesso destinato ad usi, per così dire, contemporanei. 

La seconda edizione di digitalife, realizzata da Romaeuropa in collaborazione con Filas, presenta 13 opere (fino all’11 dicembre, dal martedì al venerdì dalle ore 16 alle ore 23, sabato e domenica dalle ore 12 alle ore 23). Vi verrà consegnato all’entrata un paio di occhiali per vedere in 3d l’opera del coreografo e danzatore giapponese Saburo Teshigawara: il Double District cui fa riferimento il titolo dell’opera, che riuscirete a vedere attraversando un corridoio quasi del tutto immerso nel buio, sono i due distretti visivi, il destro e il sinistro, che il cervello ricompone in un’immagine illusoria della realtà. Le due zone sono costituite da due danzatori, un uomo e una donna, che sembrano intersecarsi ma che invece restano distanti, come si capisce bene inforcando l’occhiale della verità. 

Al momento di iniziare il percorso, sarete dotati anche di un congegno elettronico da mettere al collo come un ciondolo, una sorta di chip assegnato a ciascuno spettatore, in comunicazione con un “satellitare” artistico che capta il movimento e lo specchia nell’istallazione nata dalla collaborazione tra Santasangre, il collettivo romano che unisce teatro, danza e arti visive, e Pool Factory, la cui attività è incentrata sull’animazione 3D. Insieme hanno dato vita al Progetto abLimen, una metafora biologica di cui tutti sono partecipi più o meno consapevolmente. La massa indistinta ma formata di individui è anche al centro dell’opera “statistica” del Cattid (il centro per le applicazioni della televisione e delle tecniche di istruzione a distanza de La Sapienza), The future mood, che cattura attraverso un censimento emotivo di chi transita all’ex Gil lo stato d’animo (il mood, per l’appunto) che sarà dominante negli italiani. 

Le faccine dei social network, che ti avvisano, prima che sia troppo tardi, dell’umore che hanno i tuoi “amici”, si trasformano qui nelle infruttescenze del tarassaco (vedi alla voce: soffione) di colori diversi a seconda del dato fornito dal visitatore: commosso, arrabbiato, affascinato, felice, ansioso o entusiasta. Sull’interazione con lo spettatore è basato anche il lavoro di BCAA, 3Dom, The Ge-Dhir Journey, che si avvale del processo di identificazione del motion capture, che trasforma in dati numerici il movimento dei visitatori dando vita a un’interazione creativa.

Le opere e la distanza tra l’una e l’altra invitano anche a fermarsi qualche istante per riflettere sulle proprie reazioni, come accade quando scendiamo le scale che portano al piano -1 dello spazio disegnato da Luigi Moretti nel 1933. C’è una porta bianca, consumata dall’umidità: è quella che Christian Marclay (Leone d’Oro alla 54esima Biennale Arte di Venezia con The Clock) ha messo tra noi e l’interno dell’80 East 11th Street: Marclay, artista visivo e musicista, ci fa piombare nell’angoscia di una litigata domestica violentissima alla quale, come condòmini in transito sul pianerottolo di casa, assistiamo nostro malgrado. Un uomo sta inveendo con forza contro una donna, lei grida, piange, il cane abbaia, il telefono continua a squillare e nessuno risponde. Da ascoltare con curiosità e una discreta dose di terrore, come qualsiasi talk show con pretese investigative che si rispetti.

Tra i lavori più interessanti l’orchestra elettronica di Felix Thorn, 24enne di Brighton, che crea sculture audiovisive. Una definizione restrittiva, perché tra gli strumenti inventati, quelli mixati e quelli modificati, il palcoscenico senza orchestrali di Thorn ha a disposizione una gamma di suoni incredibile, indotta – naturalmente – da una semplice campionatura su pc. Le Felix’s Machine hanno un aspetto barocco, eppure parlano al nostro tempo utilizzandone tutte le potenzialità. Esattamente il concetto che dovrebbe attraversare il nostro quotidiano: parlare al futuro senza dimenticare la genialità del passato.

Al passato guarda anche l’opera di Quayola, video artista romano adottato da Londra, che scompone in prismi i quadri di soggetto sacro di Rubens e Van Dyck conservati nel Palais des Beaux Arts di Lille, pronti per essere altro al termine di un processo di deframmentazione stratificato. Strata #4è il titolo del doppio schermo, cui fa da sfondo un suono di scatole cinesi che si mischia con quello dell’installazione posta nella stessa stanza, tanto che non distingui se il cinguettio viene dalla Deposizione o dalle immagini della Serendipity di Masbedo (i milanesi Niccolò Massazza e Jacopo Bedogni), dedicata alla calma sprigionata dalle scogliere di Beachy Head, dove i giovani inglesi vanno a giurarsi amore eterno ma dove si registra anche un alto numero di suicidi. Il paesaggio si trasforma in impulso emotivo e cerebrale nella scultura audiovisuale Rheo: 5 Horizons di Ryoichi Kurokawa, basato sulla fusione di riprese video di paesaggi in hd. 

Ancora: una foto dell’artista concettuale serba Marina Abramovic, che riassume il suo Biography Remix in un’immagine in cui mette il proprio corpo al centro del messaggio artistico; i box che luminosi dell’Aoyama Space del tedesco Carsten Nicolai, modelli spaziali – li definisce lui – per esibizioni di luce e suono; le Lezioni di Tiro di Devis Venturelli, vincitore nel 2011 del contest video art della Romaeuropa Webfactory; Daniele Spanò, che si occupa anche di allestimenti teatrali, è in mostra con Safety Distance (Distanza di sicurezza), un’opera sulla complessità dei rapporti umani che sintetizza il suo percorso artistico: creare un’architettura visiva liberando il video dal suo supporto originario, il display. Infine l’Afleur di Giuseppe La Spada, teoricamente una dissertazione sull’amore, anche se sui tre schermi seguiamo, sola, una figura femminile senza abiti immersa in acqua e fiori, un’Ofelia contemporanea testimone di fughe del terzo tipo.

FONTE: Paola Polidoro (ilmessaggero.it)

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