lunedì 8 ottobre 2012

Abdessemed, Algeria madre di tutti gli incubi


Protagoniste nei suoi lavori sono violenza e sopraffazione. Il Centre Pompidou di Parigi gli dedica un’ampia retrospettiva

La famosa testata di Zidane a Materazzi, durante la finale del campionato del mondo del 2006, è diventata il soggetto di un’enorme scultura in bronzo collocata nella spianata del Centre Pompidou. Moltissima gente entusiasta fa la fila per farsi fotografare accanto a questo monumento quasi pop, che non è certo il capolavoro del suo autore Adel Abdessemed. Meno allegri, e ben più inquieti e angosciati sono invece quelli che escono dopo aver visitato la mostra dell’artista algerino,che colpisce molto più duramente lo stomaco della testa del calciatore, perché il tema ossessivamente presente in tutte le sue opere è quello della forza drammatica e devastante della violenza, della sopraffazione e della morte a tutti i livelli, da quelli primari della lotta per la sopravvivenza naturale a quello della società umana in tutti i suoi aspetti individuali, sociali e politici.  

Non mancano nel lavoro di Abdessemed i rischi di una cinica e brutale spettacolarizzazione estetizzante di tutto ciò (il che accomuna molti artisti della sua generazione) ma è anche vero che l’artista è in grado di utilizzare le modalità anche estreme del sensazionalismo postmoderno in modo critico e problematicamente etico. Il punto di forza, essenziale, nella ricerca di Abdessemed è la capacità di caricare con inedita e autentica tensione estetica, anche con forti valenze simboliche e allegoriche, le sue realizzazioni dai video alle sculture modellate o assemblate, dalle grandi installazioni ai disegni. Le sue opere di più forte impatto fanno riferimento ai più traumatici avvenimenti storici e sociali contemporanei La straordinaria e gigantesca installazione Telle mère tel fils (2008), con pezzi di veri aerei trasformati in due serpentoni allacciati fra loro, allude alla tragedia dell’11 settembre 2001. Dei calchi di automobili carbonizzate (Practice Zéro tollerance,2006) ricordano le rivolte delle banlieues parigine. Un barcone pieno di neri sacchi di spazzatura (Hope) rimanda alla disperata situazione degli sbarchi clandestini. E una fredda sequenza di cerchi metallici spinati alludono ai campi di concentramento e in particolare a quello di Guantanamo. Insieme a questa che è la parte più politica del suo lavoro ci sono molti altri lavori che mettono in scena altre dimensioni di tragica violenza. La sequenza di sculture con Cristo in croce (Décor, 2011) realizzate con un agglomerato di fili spinati, è una violenta ma raffinata citazione dalla Crocefissione di Grünewald. Più criptico e complesso è il riferimento a Guernica, l’icona della tragica violenza bellica contro gli innocenti) che troviamo in «bassorilievo » che ha le stesse grandi misure del capolavoro di Picasso. Si tratta di un allucinante coacervo di animali morti (imbalsamati e semibruciati) che incrostano un’intera parete.Il titolo, tristemente ironico è Who’afraid of the big bad wolf (2011-12)? Accanto a questa tremenda visione di morte, è stato appeso al muro un quadro del 1622 di Monsù Desiderio che ha come soggetto l’Inferno. Il confronto serve come rimando allegorico ma anche, per cosi’ dire, a raffreddare, con un ingrediente della storia dell’arte, la brutalità dello choc dell’effetto del fuoco su un vero carnaio animale.  

In mostra ci sono anche dei lavori video precedenti.Quello più violento e inquietante si intitola Usine (del 2006) e mostra una fossa piena di animali di ogni genere (cani, galli, serpenti, rospi...) che danno vita a un tremendo spettacolo di aggressività e violenza. Di «struggle for the life», non così diversa da quella delle società umane. Per Abdessemed la violenza è una delle componenti essenziali dell’energia che anima tutta la natura. Il suo darwinismo anche sociale sembra non lasciar speranze. Ma forse una provocazione estrema come la sua può avere una funzione catartica, e aprire qualche spiraglio a prospettive più vitalmente positive

ADEL ABDESSEMED JE SUIS INNOCENT  
PARIGI, CENTRE POMPIDOU  
FINO AL 7 GENNAIO 2013 

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)

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