sabato 8 novembre 2014

Anselm Kiefer: eroica e tragica la Germania del’900


A Londra la grande retrospettiva del maestro tedesco che riflette sull’Olocausto e sulle contraddizioni del suo Paese

Accolto come membro onorario dalla Royal Academy of Arts, Anselm Kiefer ha voluto dimostrare di essere all’altezza di questo titolo occupando tutte le dodici auliche sale della storica istituzione con una retrospettiva che ripercorre oltre quarant’anni della sua attività. E lo ha fatto magistralmente, attraverso un percorso cronologico e tematico che si sviluppa come un epicoGesamtkunstwerk wagneriano, mettendo in scena alcune potenti sculture, i quadri dei suoi cicli più importanti, teatrali vetrine e bacheche con i suoi famosi libri di piombo. Per questa impresa ha anche realizzato apposta il 40 per cento delle opere esposte, in modo da interagire al meglio con le specifiche caratteristiche degli spazi architettonici.  

Nel cortile d’entrata, sotto il perplesso sguardo marmoreo di sir Joshua Reynolds, fondatore della Royal Academy, Kiefer ha piazzato una sorta di serra con vetri trasparenti, al cui interno si vedono fluttuanti a mezz’aria o posati sul fondo come relitti, dei tetri modelli in piombo di navi da guerra. Intitolata al poeta futurista russo Velimir Chlebnikov e alla sua bizzarra teoria sulle grandi battaglie navali (che avverrebbero ogni 317 anni), questa installazione ci rimanda ai segreti disegni del Fato che condizionano i destini dell’umanità, e a una concezione tragicamente ciclica della tempo che attraversa in modo ossessivo un po’ tutta la produzione dell’artista.  

La seconda scultura, Il linguaggio degli uccelli, collocata sulla cima dello scalone, è un complesso assemblaggio di plumbei libri che prendono la forma di un essere alato che tenta di decollare nonostante il peso del materiale (o, novello Icaro, è crollato per terra a causa di ciò). Sul muro si legge, scritta a carboncino, la dedica al misterioso alchimista Fulcanelli, indagatore degli enigmi delle cattedrali e dei segreti delle energie dell’universo. La terza costruzione tridimensionale (le Età del mondo) nello spazio ottagonale centrale, è un’enorme catasta fatta di macerie, tele semibruciate e di girasoli fusi in bronzo.  

È una sorta di ambiguo e funereo totem cosmologico che fa riferimento all’evoluzione dei pianeti, all’utopica aspirazione romantica dell’arte, all’estetica delle rovine (sic transit gloria mundi) e al rapporto fra l’uomo e l’assoluto. Questi lavori sono emblemi monumentali dell’immaginario dell’artista alimentato da memorie personali e storiche (legate soprattutto alle devastazioni reali e morali della guerra e del nazismo), da suggestioni e rimandi mitologici, esoterici, filosofici e letterari, e da influenze artistiche, in particolare dei suoi «maestri» Caspar Friedrich, Van Gogh e Beuys. 

Tutti aspetti che si sviluppano nei temi più tipici della sua ricerca e che impregnano figurativamente e simbolicamente gli stratificati spessori delle sue tele, fatte di stesure a olio e emulsioni acriliche che includono vari elementi come sabbia, cenere, paglia bruciacchiata, veri girasoli con neri semi, grumi e fogli di piombo, e persino dei diamanti (per cieli stellati).  

La mostra si apre con la serie degli Heroic Symbols (1970), in cui l’artista si ritrae, vestito con l’uniforme dell’esercito del padre, mentre fa il saluto nazista di fronte a monumenti e edifici del regime: dipinti di provocatoria denuncia che all’epoca furono anche interpretati come apologetici. Con questi quadri e con i suoi primi libri intitolati Occupations, in cui sono accumulati documenti scritti e fotografici erosi da bruciature e acidi, Kiefer voleva riattivare in modo intenzionalmente traumatico la memoria di avvenimenti tragici che troppi tedeschi avevano colpevolmente rimosso.  

Tra i successivi dipinti che si riferiscono agli orrori nazisti il dittico MargaretheSulamith è il più tragicamente poetico. Ispirato a una poesia di Paul Celan (scritta dopo la sua prigionia in un campo di concentramento), evoca le figure di una guardia tedesca e di una prigioniera ebrea, e i forni crematori, attraverso materiali come la paglia, sabbia e cenere. La dimensione epicamente drammatica della pittura di Kiefer raggiunge gli effetti più affascinanti nella vastità delle scene di vuoti spazi architettonici devastati, come per esempio Al pittore sconosciuto (in cui le romantiche rovine del tempio di Friedrich echeggiano dentro quelle di scheletri di palazzi bombardati), e di immensi campi di grano o di girasoli, solcati, bruciati, sterili, dove dal grigio e dal nero emergono segni contraddittori di vita e morte (nei neri semi dei girasoli e nei corvi svolazzanti omaggio a Van Gogh).  

Questi campi altamente simbolici fanno riferimento anche all’ossessione del nazionalismo tedesco (specialmente nella versione degenerata nazista) dell’identità fondata sul suolo e sul sangue. Il tema è sviluppato, con valenze politiche e risonanze mitiche, anche nell’ultima e più spettacolare serie di dipinti (che chiude la mostra) quella intitolata Morgenthau, che fa riferimento al piano demenziale di un segretario al tesoro americano che sognava di deindustrializzare la Germania trasformandola in un immensa realtà agricola. 

ANSELM KIEFER  
LONDRA, ROYAL ACADEMY  

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)

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