giovedì 17 giugno 2010

Art Basel 2010 il gigante con le stampelle

Monumentalità, maxi installazioni: nuova energia, dopo la crisi, nella maggiore fiera del contemporaneo


C’è un gigante bianco con le stampelle ad aspettare i visitatori all’ingresso di Art Basel. L’ha realizzato Thomas Houseago, un artista inglese che lavora tra il Belgio e l’America. Forse questa sua statua stanca rende bene lo stato delle cose nel mondo occidentale, ma non interpreta certo l’euforia con cui la più importante fiera d’arte del mondo, che apre oggi i battenti, sembra reagire alla crisi. Opere monumentali, co-produzione di lavori e progetti, prezzi che salgono alle stelle come alle recenti aste newyorkesi e di conseguenza scambi in cui senti frusciare assegni a molti zeri: Art Basel 2010 racconta un mercato dell’arte che sembra essersi lasciato il peggio alle spalle o quanto meno vuole crederci.

Così si respira molta energia (è la parola chiave che ha usato alla presentazione mattutina Marc Spiegler, direttore della kermesse) ad esempio in «Art Unlimited», la sezione delle grandi installazioni «museali». Le opere hanno qui dimensioni talora colossali, come nel caso di Pipeline Land di Michael Beutler: cataste e cataste di candidi ed enormi spezzoni di tubi per oleodotto, una singolare risposta artistica alla marea nera. Di dimensioni leggermente più ridotte è l’installazione dello spagnolo Sergio Prego, dove ti perdi per decine di metri in un lungo budello di plastica opalescente che può essere nebbia o intestino. E con questa c’è tutto un filone di opere da attraversare fisicamente, che siano gli schermi imponenti con lo splendido video Frontiera di Doug Aitken (con gli stereotipi del selvaggio West rivisitati) o il labirinto di cartone con al centro uno specchio-pozzo di Michelangelo Pistoletto (prodotto dalla galleria Continua) o ancora la stanza buia, Aftermath obliteration of eternity, dove ti trovi prima nel buio e poi in una selva di piccoli lumini accesi: l’ha realizzata la giapponese Yayoi Kusama per Gagosian.
C’è anche un ritorno alla Body Art in chiave erotica con il video Solo di Christian Marclay (lo porta White Cube) dove una ragazza si spoglia a poco a poco mentre fa letteralmente l’amore con una chitarra elettrica, alla maniera (si fa per dire) di Jimi Hendrix. Scarsi i riferimenti allo scontro di civiltà: l’unico lavoro che rimanda al tema dell’islamismo è Cous-Cous Qaaba di Kader Attia: una stanza buia dove il disegno del cubo sacro della Mecca si perde in un deserto di granelli di semola.

Se dal padiglione di «Art Unlimited» si passa alla fiera vera e propria, negli stand si percepisce un clima di forte ottimismo. La crisi è alle spalle? «Di sicuro sembra esserlo per gli americani, che sono tornati in forza ad acquistare» spiega Alfonso Artiaco. «Ma poi, crisi o non crisi, io faccio il gallerista e devo credere nel mio lavoro. Alla crisi puoi rispondere o piangendoti addosso o cercando di reagire. Io ho scelto la seconda strada». E lo si capisce dalla grande e poetica installazione di Kounellis che ha portato in fiera: un’intera parete di legni dorati con davanti un appendiabiti di cappelli e cappotti neri. La quotazione supera il mezzo milione di euro. E non è nemmeno troppo alta per uno degli esponenti dell’Arte Povera che sembra essere quest’anno il movimento italiano di gran lunga più presente in fiera. E con quotazioni in crescita: 2 milioni di euro chiedono da Gladstone per Niente da vedere, niente da nascondere, una storica e semplice vetrata di Alighiero Boetti.

«Siamo noi, paradossalmente» dice Silvia Evangelisti, direttrice della bolognese Arte Fiera, la più importante fiera italiana, «a snobbare il valore di alcuni nostri artisti cui invece il mercato internazionale crede». La Evangelisti mette però in guardia dai facili entusiasmi: «Certo qui respiri il potere dei soldi, ma non è detto, a proposito di crisi, che non si stia annegando con l’acqua alta. Mi sembra ci sia da parte di Art Basel una grande ostentazione di muscoli, ma non è tutto oro quello che luccica». 

Il paradosso è che in piccoli spazi puoi trovare una sfilza di capolavori costosissimi: da Nagy ad esempio scopri che uno Schiele di piccole dimensioni costa 5 milioni e mezzo di euro (e ce ne sono almeno una decina nello stesso stand).

FONTE: Rocco Moliterni (lastampa.it)

Nessun commento:

Posta un commento