martedì 4 maggio 2010

Dai Nazareni al Bauhaus tre secoli di grandi utopie


A Venezia, la Collezione Peggy Guggenheim celebra le "Comunità" artistiche dal '700 al '900. Dai Nazareni al Bauhaus, oltre settanta opere ripercorrono sogni e ideali dell'arte moderna


Le grandi Comuni dell'arte, sognatrici e fricchettone, velleitarie e naif, dissidenti e vegetariane, capellone e barbute, trincerate dietro ideali sperimentali e ambiziosi, ma anche romanticamente legate e vezzi e mode d'un glamour ante litteram. Molto prima degli hippie in fondo c'erano loro, figli dei fiori di un piccolo grande universo di ricerca creativa ed estetica. Come racconta la bella mostra "Utopia Matters: dalle confraternite al Bauhaus" che dall'1 maggio al 25 luglio va in scena alla Collezione Peggy Guggenheim sotto la cura di Vivien Greene. Il fil rouge del percorso è quello dell'utopia come pensiero guida dominante che accomunava più artisti a tal punto da farli ravvicinare e vivere in una sorta di comunità, di centro sociale, che fosse un bosco, un convento, un villaggio, un istituto, una scuola, un salotto. Un fenomeno che viene ripercorso attraverso una settantina di opere, tra dipinti, sculture, disegni, oggetti di design, fotografie e stampe, che dalla fine del Settecento arrivano fino agli anni Trenta del Novecento, fino appunto a quella portentosa scuola di architettura, di design, arti e mestieri che fu il Bauhaus soffocato dal nazismo. 


Non altro che un affascinante viaggio lungo gli ideali utopici nel pensiero e nella pratica artistica occidentale, ma soprattutto un modo originale di ripercorrere la storia dell'arte moderna. A partire dai Primitifs francesi, passando per i Nazareni tedeschi, i Preraffaelliti inglesi, l'inglese William Morris stratega del movimento internazionale dell'Arts and Crafts, la Cornish Colony americana, il Neo-Impressionismo francese, il De Stijl olandese, il Bauhaus tedesco, per arrivare al Costruttivismo russo. Ecco i Primitivi, alla fine del '700, studenti dissidenti, insofferenti alle regole accademiche, seguaci di David, che scelgono il buen retiro in convento, lontano dalla ribalta di Parigi, guardando all'arte dei padri, la Grecia, gli Etruschi, il Quattrocento italiano, ma inseguendo un ideale estetico morbido e sensuale. Rappresentano un esperimento proto-bohémien di pochi anni, con regole dettate da una ricerca di semplicità, dalla dieta vegetariana, ai capelli e barbe lunghe all'abbigliamento lungo. A catalizzare le loro fantasie estetiche, i racconti di Omero, i poemi di Ossian, l'Antico Testamento. 

Simile la scelta dei Nazareni tedeschi, che nel 1809 in disaccordo con gli insegnanti dell'Accademia, creano il loro sodalizio da confraternita sul modello medievale. Fratellanza, moralità, sincerità, sembrano gli ideali che guidano la produzione artistica di questi artisti che nell'aspetto ricordano l'immagine di Gesù di Nazareth (da qui il nome). Si ispirano al primo Rinascimento, dipingono scene religiose allo scopo di risvegliare la fede attraverso l'arte, e si lasciano sedurre dalla perfezione equilibrata e sapiente di Raffaello, tanto da scegliere Roma come residenza comunitaria, nel monastero francescano di San Isidoro, dove adottano uno stile di vita quasi  ascetico. Come Friedrich Overbeck e Franz Pforr (in mostra con "Il Conte d'Asburgo e il prete", 1809-1810). 

Devoti all'arte e alla filosofia del periodo antecedente Raffaello, anche i Preraffaellliti confraternita nata a Londra alla fine del 1848 sotto la spinta di sette artisti, guidati  da William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriele Rossetti, in affinità elettiva con le teorie del critico e storico dell'arte John Ruskin. Convinti che il Gotico rappresenti il paradigma della libertà artistica, scavano nella storia e nella letteratura medievali, dai drammi di Shakespeare alle epopee religiose, per evocare un'età aurea in cui la cavalleria, la purezza di spirito e la moralità regnavano sovrane. Nel gruppo si distinguerà poi il designer e critico d'arte William Morris, che col suo movimento internazionale Arts and Crafts propone una concezione nuova, utopistica appunto, del design come pratica artigianale socialmente utile sul modello delle corporazioni medievali. 

Sullo sfondo di un secolo che avanza macinando fermenti tecnologici, un'avanzata industriale, le velleità utopistiche di alcuni gruppi di artisti sposano ideali politici, e l'arte diventa una strategia estetica impegnata, come i neo-impressionisti, da Signac a Cross e Pissarro, che, tra 1880 e '90, vedono nella loro tecnica di pittura ottica, lontanamente basata su principi scientifici, un veicolo per raffigurare scene del pensiero progressista. In contemporanea, dall'altra parte dell'oceano, un gruppo di artisti, architetti e scrittori americani crea una comunità nel Cornish, regione rurale nel New Hampshire, proponendo uno stile di vita armonioso che fonde insieme arte, cultura e paesaggio. Dopo la prima Guerra Mondiale, il sogno utopico di ripensare la vita sociale dilaga. Dalla speranza del movimento De Stijl capitanato da Theo van Doesburg e Piet Mondrian, di rivoluzionare le relazioni sociali e la cultura mediante un linguaggio artistico di forme ridotte, all'ambizione del Bauhaus, con l'opera di Kandiskij, Klee, Moholy- Nagy, di ricostruire la società del dopoguerra attraverso l'arte e il design.

Notizie utili  -  "Utopia Matters: dalle Confraternite al Bauhaus", dal 1 maggio al 25 luglio 2010, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.
Orari: 10.00  -  18.00, chiuso il martedì
Ingresso: intero €12, ridotto €10, studenti €7.
Informazioni: tel. 041.2405440, www. guggenheim-venice. it/peggyg. mobi
Catalogo: Guggenheim Museum Publications (New York).

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

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