lunedì 29 settembre 2014

Segantini. Il ritorno dell'artista di frontiera

Segantini. Il ritorno dell'artista di frontiera


L’imponente retrospettiva a palazzo Reale, aperta al pubblico fino al 15 gennaio, riporta a Milano l’artista che mancava dalla città dal 1984. Un outsider, diviso tra la frenesia della città e il misticismo d’alta quota, che ha attraversato le correnti della sua epoca ridisegnandole negli spazi delle Alpi Svizzere



In soli vent’anni di attività Giovanni Segantini, il maggior pittore divisionista italiano, ha saputo conquistare un posto tra i grandi artisti di fine Ottocento. Aveva 41 anni quando un attacco di peritonite, se lo portò via sullo Schafberg in Engadina, la valle svizzera dove trascorse i suoi ultimi anni di vita. Ma anche Milano ebbe un ruolo altrettanto importante nella sua breve esistenza. Per questo la grande mostra ospitata nelle sale di Palazzo Reale è da considerarsi un “ritorno ideale”, pensato per celebrare la milanesità e insieme l’internazionalità di questo artista, che ha segnato con un’estetica personalissima la storia dell’arte.

Nato ad Arco di Trento il 15 gennaio 1858, allora era situato nel Tirolo italiano sotto l'Austria, si trasferì nel capoluogo lombardo ancora bambino a sette anni, orfano e poverissimo. Dopo una parentesi in riformatorio, a causa della sua natura inquieta, fu affidato al fratellastro Napoleone, che aveva bisogno di un garzone per il suo laboratorio fotografico a Borgo Valsugana. Qui rimane fino al 1874 e sviluppa una prima idea artistica, tanto che al ritorno a Milano si iscrive ai corsi serali dell'Accademia di Belle Arti di Brera, che frequenta per quasi tre anni. Nonostante il successivo trasferimento in Brianza e poi in Svizzera, il capoluogo lombardo rimarrà la sua città di riferimento, il fulcro della sua parabola artistica e piazza favorita per l’esposizione delle sue opere. 

Faticò non poco per vedere riconosciuta la sua straordinaria capacità di dipingere i fermenti della sua epoca, le paure e le mutazioni repentine di quagli anni straordinari. Attraversò le correnti artistiche attive a Milano, Scapigliatura, Simbolismo, Divisionismo, e le seppe rielaborare negli spazi sconfinati delle valli svizzere. Nel 1903 Gabriele D’annunzio gli riconosceva «l'anima dolce e rude», «che cercava una patria nelle altezze più nude sempre più solitaria» e successivamente infatti, Segantini divenne un classico, le sue opere realiste, e al tempo stesso  visionarie, sono ora parte della memoria collettiva.

La mostra, prodotta dal Comune di Milano con Skira e Fondazione Mazzotta, propone 120 opere che riassumono il suo percorso, provenineti da importanti musei e collezioni private europei e statunitensi, tra cui la Civica Galleria d’Arte Moderna di Milano ed il Museo Segantini di Sankt Moritz. La rassegna curata da Annie-Paule Quinsac, massima esperta del pittore e dalla pronipote Diana Segantini, prende il via con una sezione di documenti, autoritratti e prosegue per temi. Una sezione dedicata appunto agli esordi milanesi mette in luce pittoreschi scorci dei Navigli, che rievocano lo splendore della Milano di fine Ottocento, come "Il Naviglio a Ponte San Marco", e il mistico "Coro della chiesa di Sant'Antonio". Vengono poi approfondite le tematiche del ritratto e delle nature morte: “Petalo di rosa”, “Ritratto della signora Torelli”, “Ritratto di Carlo Rotta” ripercorrono i legami affettivi del pittore, evidenziando la sua potenza di ritrattista.  “Primavera sulle Alpi” e “Ave Maria a trasbordo” affrontano invece il tema “Natura e Simbolo”, insieme ai capolavori del periodo di Savognino, “Mezzogiorno sulle Alpi” e “Ritorno dal bosco”.  Arriva poi la maternità, argomento caro e ricorrente nel percorso pittorico di Segantini, con la splendida opera "Le due madri", considerata manifesto del divisionismo italiano. La rappresentazione della natura per Segantini non può prescindere da un impianto iconografico in cui la tendenza al simbolismo è dichiarata e ciò lo rende un “unicum” nel panorama artistico "fin de siècle", in cui è tendenzialmente percepita antitetica al naturalismo. La fusione tra i due atteggiamenti artistici, naturalismo e simbolismo, determina la novità del suo linguaggio e lo rende imprescindibile per tutta la cultura artistica a cavallo tra Otto e Novecento.  

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

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