lunedì 15 settembre 2014

La letteratura e le arti, fattori unificanti della civiltà europea

Dante non è solo italiano, così come Shakespeare non fu solo espressione dell’Inghilterra. Bach sarebbe incomprensibile senza Vivaldi, del quale trascrisse brani

Che cos’è l’Europa? Un continente, certo; benché la parola, quando fu usata per la prima volta con valore geografico (nell’Inno omerico ad Apollo), indicasse soltanto la Grecia centrale. Ma ha un’anima questo continente? Ha un ethos, una tempra, un motivo affratellante? Non la storia, che semmai inanella un rosario di scontri e di battaglie, dalla guerra dei Trent’anni ai due grandi conflitti del secolo XX. Non la lingua, dal momento che l’unica koinè comune dell’Europa è la traduzione. Non il diritto, perché nessun europeo potrebbe rispecchiarsi nelle norme sulle camicie da notte o sulla lunghezza dei cetrioli, che la burocrazia di Bruxelles ci elargisce a piene mani. Non la religione, come mostra il contrasto d’opinioni sulle radici giudaico-cristiane dell’Europa, infine espulse dal Preambolo della Costituzione europea. Del resto, dopo la doppia bocciatura sancita ai referendum del 2005 in Francia e in Olanda, questa parte del mondo ha ormai rinunciato pure a una Carta costituzionale in cui scolpire la propria identità. Eppure un collante esiste: è la cultura. 

È il patrimonio condiviso d’esperienze artistiche, filosofiche, musicali, letterarie, che nel corso d’una vicenda plurimillenaria hanno forgiato l’homo europeus. Dante non è solo italiano, così come Shakespeare (di cui quest’anno ricorre il 450º centenario della nascita) non esprime unicamente l’Inghilterra. Bach sarebbe incomprensibile senza Vivaldi, del quale trascrisse numerosi brani. Il Barocco, l’Illuminismo, il neo-Classicismo, il Decadentismo furono movimenti culturali estesi all’intero continente. Quanto al Romanticismo, non si sa ancora con certezza se la sua culla d’origine sia da situarsi in Germania o piuttosto in Inghilterra. E chiunque viaggi fra le capitali europee v’incontrerà un ripetersi di motivi architettonici, nelle cattedrali, nei palazzi, nella tessitura delle vie. Dovremmo saperlo, ma forse ce ne siamo un po’ dimenticati. Per questo suona preziosa la raccolta che Utet Grandi Opere ha appena dato alle stampe: Letteratura europea, diretta da Piero Boitani (memorabile il suo saggio introduttivo) e Massimo Fucillo. 5 volumi, 200 interventi firmati da altrettanti autori e racchiusi in un’edizione raffinata. Una fotografia dei movimenti letterari, dei generi, dei campi tematici, dei testi, infine della trama di rapporti che la letteratura europea ha stabilito con gli altri saperi, dalla scienza al diritto, dalla religione alla filosofia.

Verrà presentata il 12 settembre a Roma, nel Teatro Argentina. Parteciperà, fra gli altri, Marino Sinibaldi, che dirige Radio3; Giorgio Albertazzi reciterà brani del proprio repertorio shakespeariano. Ma che cos’è, in ultimo, la cultura europea? Qual è il suo tratto distintivo? Intanto, rappresenta il contributo più longevo che il popolo italiano abbia offerto all’integrazione europea, ben più delle Conferenze di Messina nel 1955 e di Venezia nel 1956, che allevarono il Trattato istitutivo della Cee; giacché questo patrimonio culturale comune si forma nel II secolo, quando l’Impero di Roma — sovrapponendosi a tutti i soggetti politici preesistenti — proietta una cultura nuova, unificante. In secondo luogo, tale identità permane lungo i secoli, anche mentre le potenze europee si sfidavano con gli eserciti in armi; nel Medioevo, per esempio, l’Europa ribolliva di conflitti, ma ovunque dominava il petrarchismo. In terzo luogo, le humanities descrivono il campo nel quale tuttora noi europei eccelliamo, mentre l’America e l’Asia ci scavalcano nella ricerca tecnologica. Da qui l’esigenza d’investire su questo patrimonio, d’alimentarlo, di diffonderlo. Tanto più nel semestre italiano di presidenza del Consiglio europeo, che ci consegna l’onore e l’onere dell’iniziativa rispetto alle politiche comuni. E tanto più se è esatta la sintesi di Gadamer: la specificità della cultura europea — lui diceva — sta nella predisposizione ad accogliere il diverso, l’altro da sé. Come d’altronde recita il motto dell’Unione: In varietate concordia. Ce n’è bisogno, oggi come ieri. Poi, certo, c’è chi vuol indire un referendum contro l’euro e contro l’Ue. Ma nessuno s’azzarderebbe mai a proporlo contro Kafka. Anche perché lo perderebbe.

FONTE: Michele Ainis (corriere.it)

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