mercoledì 18 settembre 2013

Dai tombaroli a Napoleone a Peruggia. L'arte di rubare arte

Capolavori e furti d'arte. Lo speciale "Archeo"


Il prossimo numero di Archeo, in edicola il 19 settembre, è una monografia sulla storia dei furti dei capolavori. Si va dalla Mesopotamia alla Grecia, sino al nazismo, tra razzie dei potenti e imprese di singoli. Li racconta il docente Marco di Branco


Il giro d'affari del traffico mondiale di opere d'arte rubate sfiora le decine di milioni di dollari ogni anno. L'Italia, che costituisce il più grande giacimento di beni culturali del Pianeta, è oggi il Paese più esposto a questo saccheggio. Fin dall'antichità "possedere la bellezza"  è sempre stato un desiderio a volte irresistibile. Dal 19 settembre la rivista Archeo sarà in edicola con uno speciale interamente dedicato a questo tema, che ripercorre la storia e le ragioni dei furti d'arte, attraverso i casi più clamorosi.

Quello del traffico d'arte è diventato uno dei capisaldi del nuovo crimine transnazionale, secondo solo al traffico di droga. Aree archeologiche importantissime vengono depredate non solo in Italia, ma anche in Grecia, Turchia, Africa settentrionale, Asia. In Cina sono state svuotate oltre 40 mila tombe dell'epoca imperiale, in Perù e in Messico si continuano a saccheggiare le vestigia delle antiche civiltà precolombiane; nei Paesi dell'Europa dell'Est vengono presi di mira i luoghi di culto e rubati oggetti, icone, immagini sacre. L'Unione europea segnala però l'emergenza Italia, poiché essendo il nostro Paese il più grande giacimento di beni culturali esistente al mondo, si trova al centro delle attenzioni dei ladri professionisti che dei "tombaroli" e dei ricettatori. Risalendo nel tempo e percorrendo il passato, l'opera d'arte ha sempre attratto, i furti ci sono sempre stati, prima ancora della nascita del mercato dell'arte: è il potere della seduzione esercitato dalla bellezza, dal mistero e dall'unicità dell'opera ad indurre alla necessità del possesso. 

La rivista Archeo esce in questi giorni con un numero speciale: si tratta di un fascicolo monografico, in edicola il prossimo 19 di settembre intitolato La grande razzia. L'avventurosa storia dei furti d'arte dall'antico Egitto ad oggi. Quello che viene proposto ai lettori è un viaggio "nello spazio e nel tempo sulle tracce dei più celebri furti d'arte della storia". In modo approfondito e dettagliato, viene raccontato dall'autore Marco Di Branco, docente di storia bizantina alla Sapienza, un percorso che parte dalla Mezzaluna fertile del III millennio a. C, passa dalla valle dei Re dell'età della XX dinastia, si sposta nella Cina del III secolo  a. C. fino alla Grecia caduta sotto Roma. Ancora, va dall'Oriente Islamico alla Parigi di Napoleone, per finire con il XX e XXI secolo, tra il nazismo e le collezioni dei grandi musei. Si tratta di una "piccola storia globale" del furto d'arte, che ne spiega le ragioni storiche e sociali, passando in rassegna i casi più controversi e spettacolari. Sul fatto, ad esempio, che la nascita del Louvre si debba all'ingordigia d'arte di Napoleone sono stati scritti interi libri, per lui la grande arte fu presa a simbolo della nuova grandeur francese. 

Fu lo stesso Napoleone a confessare che l'idea gli era venuta proprio in Italia. Nel nostro paese come altrove, il saccheggio veniva studiato a tavolino da un team di specialisti che sapevano benissimo cosa rubare. Torino, Milano, Modena, Parma, Verona, Venezia, Firenze, Roma: nulla sfuggiva agli insaziabili e competenti predatori francesi. Nel maggio 1796 a Milano ancora si combatteva al Castello Sforzesco che già il commissario Tinet era all'Ambrosiana, dove requisiva il disegno preparatorio di Raffaello per la Scuola di Atene al Vaticano, dodici disegni e il Codice Atlantico di Leonardo, il prezioso manoscritto delle Bucoliche di Virgilio con le miniature di Simone Martini, e cinque paesaggi dipinti da Jan Brueghel per Carlo Borromeo e rimasero al Louvre per 17 anni, fino quando il Congresso di Vienna non sancì la restituzione di tutti i beni artistici trafugati dal Bonaparte ai legittimi paesi di appartenenza. Restando al Louvre, non si può non ricordare il furto della Gioconda. Il capolavoro fu rubato da Vincenzo Peruggia, un decoratore emigrato in Francia, che dichiarò di aver preso la Gioconda per patriottismo. 

Voleva appunto restituire alla sua patria il frutto dei saccheggi napoleonici, non sapendo invece che fu Leonardo stesso a regalare il quadro a Francesco I, in segno di riconoscenza per l'ospitalità che il Re di Francia gli aveva offerto nel castello di Cloux. Se siamo il paese più a rischio per l'immenso tesoro artistico che possediamo, al contempo siamo però fortunatamente all'avanguardia per essere la prima nazione al mondo ad essersi dotata di uno speciale organismo della polizia, specializzato proprio in questa tipologia di crimini. L'Unesco nel 1970 suggeriva agli Stati aderenti di adottare misure per impedire l'acquisto di opere d'arte trafugate e per recuperare quelle rubate. Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio artistico nasce già il 3 maggio 1969, e dal 13 settembre 1971 il reparto, venne elevato a Comando di Corpo. Secondo i dati riportati dall'Arma, dal 1970 ad oggi su 438.729 oggetti trafugati ne sono stati recuperati ben 134.614 grazie anche all'affiancamento di tutti i reparti territoriali. Anche il cinema sembra essere affascinato da questa tipologia di furti, come in "La migliore offerta" di Giuseppe Tornatore, dal mondo dell'arte e delle aste si muove un thriller che è ora nelle sale, si tratta di  "In Trance" del regista inglese Danny Boyle. Il film gioca sulla doppiezza e sulle trame più insondabili della psiche e all'origine di tutto c'è un quadro di Goya battuto all'asta a Londra e rubato con un colpo criminale. Peccato però che diversamente dalla realtà, la tela rubata sia introvabile per la stessa banda di delinquenti.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

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