giovedì 6 febbraio 2014

Al Vittoriano in mostra da febbraio 65 capolavori del museo d'Orsay

Le repas di Gauguin 
 Tra le “vedette”, ci saranno sicuramente L’Italiana di Vincent Van Gogh, del 1887, che è Agostina Segatori, già modella per Degas e proprietaria del cabaret Tambourin a Boulevard de Clichy a Parigi, dove l’artista s’incontra con i suoi amici Emile Bernard, Paul Gauguin, Henri de Toulouse Lautrec: tra il pittore e la modella nasce una storia, lui decorerà le pareti del cabaret con propri dipinti e stampe giapponesi.
Ma anche Il pasto del 1891: uno dei magnifici quadri che Gauguin realizza a Papeete; vende all’asta 30 dipinti per pagare il viaggio, incassa 9.860 franchi, due mesi esatti fino a Tahiti. O il Cortile di fattoria del 1879, paesaggio fondamentale per Paul Cézanne dopo il tonfo alla mostra degli Impressionisti di due anni prima, nella ricerca di una cifra personale: «Lavorerò in silenzio - scrive - finché non sarò capace di difendere teoricamente i risultati delle mie prove».

Età dell'oro Tre capolavori tra le 65 opere provenienti dal parigino Musée d’Orsay e scelte dal direttore Guy Cogeval, che saranno a Roma, al Vittoriano, dal 22 febbraio all’8 giugno (cat. Skira). Illustreranno una stagione essenziale dell’arte: quella che spazia dal 1848 al 1914: Degas, Manet, Pissarro, Seurat, Monet, Corot, Sisley, per citare soltanto i maggiori nomi. Si passa dalla pittura ancora accademica dei Salon, alle avanguardie del nuovo modo di dipingere, fino ai Nabis e al Simbolismo. Un’autentica rivoluzione. Ma allora, non del tutto accettata. Precursore del Museo d’Orsay è quello del Luxembourg, creato nel 1818 e dismesso al termine della II Guerra: «Quei dipinti davano scandalo», ricorda Cogeval. I primi Impressionisti, accettati appena nel 1894, grazie al lascito di Gustave Caillebotte, uno di loro; ma il pittore Jean-Léon Gérôme protestava, continua Cogeval: «Perché lo Stato accetti simile spazzatura, dobbiamo proprio essere alla degenerazione». E ancora: «Il primo paesaggio di Monet comperato dallo Stato all’artista, è appena del 1907, una delle Cattedrali di Rouen»; ma è acquistato esclusivamente per l’insistenza di Georges Clemenceau, suo amico e primo ministro, grazie al quale noi ora abbiamo anche il tesoro inestimabile delleNinfee. Per queste difficoltà, prima del 1914, tanti collezionisti, sia americani, sia russi, riescono a comperare numerose opere degli Impressionisti; soltanto Albert Coomb Barnes avrà, a Philadelphia, 180 Renoir, 69 Cézanne, 60 Matisse e 44 Picasso, tutti e soltanto del periodo blu e rosa.
Il tesoro è qui Ma la parte più ingente dei tesori di questa stagione sono qui, al Musée d’Orsay, dopo essere stati nel dopoguerra al glorioso Jeu de Paume, divenuto del tutto insufficiente per ospitare i quadri di questo periodo d’oro. Sono al Louvre i dipinti precedenti al 1848, e al Centre Pompidou quelli dei tempi più recenti: successivi al più famoso e celebrato tra i movimenti artistici. E la Capitale mostrerà del museo una completa panoramica cronologica. Dai tempi dell’Accademia e della «nuova pittura», per esempio con Gustave Courbet (la Donna nuda con cane), ai paesaggi, che già preannunciano l’Impressionismo: i pastori e le greggi di Jean-François Millet, una Regata a Argenteuil di Monet, del 1874.
La vita È la vita contemporanea, assai spesso, il soggetto delle opere, di solito eseguite “en plein air”: c’è anche il “nostro” Giuseppe De Nittis, con la Piazza delle Piramidi a Parigi, che si stava rinnovando; o ancora Monet, che eterna, sulla Senna, Gli scaricatori di carbone. Il Simbolismo sarà poi rappresentato, per citarne un paio, dalla Pianta verde in un’urna di Odilon Redon, come da un Ritratto di Félix Vallotton opera di Edouard Vuillard: i pittori d’allora usavano assai spesso ritrarsi a vicenda. La mostra, che giustamente s’intitola Musée d’Orsay, capolavori, spazia dall’alba della modernità ai quadri più ricercati, ormai, da tutto il mondo; dipinti, come ricorda ancora Cogeval, nell’era industriale, in cui nascono il socialismo, i sindacati, gli imperialismi, la corsa agli armamenti, in cui la medicina compie immensi progressi. Insomma, è il mondo che cambia, e la pittura con lui.
Perde la classicità, scopre il moderno; l’arte contemporanea non vi sarebbe sicuramente stata, o non sarebbe stata la stessa, senza l’Impressionismo; e in particolare, senza Cézanne, che, spiegava già Giulio Carlo Argan, ne è senza dubbi il padre. Il Musée d’Orsay porta a Roma, in una città i cui musei sono assai deficitari sotto questo profilo, le basi da cui, pittoricamente, nasce il nostro essere, oggi.

FONTE:  Fabio Isman (ilmessaggero.it)

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