venerdì 3 maggio 2013

Van Wittel, esposti tutti i disegni: magiche istantanee di Roma



Esposti per la prima volta tutti insieme, dal 1903, i 52 disegni di Gaspar van Wittel, Gaspare «degli occhiali», un padre fondatore della veduta pittorica, che la Biblioteca nazionale di Roma possiede. Sono il frutto di un acquisto, in parte ancora oscuro, compiuto alla vigilia del ferragosto 1893, quando queste cose normalmente non si fanno e tutti sono in vacanza, da Domenico Gnoli, Prefetto dell’Istituto, che li rilevò da un sedicente «antiquario romano», amico e creditore di Gabriele D’Annunzio, Francesco Gentiletti, per 498 lire e 13 centesimi: allora, una bella cifretta. Sono disegni che preparano dipinti famosi, studiati e pubblicati per primo da Giuliano Briganti nel 1966 nella fondamentale monografia con cui ricostruì anche la vita dell’artista, e ora analizzati da Laura Laureati. Restano divisi in categorie, le stesse che volle lo studioso: le Vedute di Roma, quelle dei dintorni, di altre città d’Italia, e quelle diverse, o «ideate», diciamo i «capricci». E saranno accompagnate da importanti prestiti, di quadri, manoscritti e documenti (le Vedute di Tivoli, del Porto di Ripa grande, di Ponte Sisto, dei Prati di Castello, ovviamente non ancora urbanizzati) e da un’interessante sezione multimediale, con cui si potrà «navigare» all’interno dei disegni, scoprire dettagli che altrimenti non sarebbero apprezzabili, leggere piccole note relative, per esempio, all’uso dei colori.

L’ACQUISTO MISTERIOSO

E sarà ricostruito anche il singolare acquisto, che rimane in parte misterioso. Gentiletti viveva a via del Babuino e Passeggiata di Ripetta; si definisce antiquario, ma certi documenti lo qualificano come artista, o trattore; non si trova traccia della sua attività in alcuna fonte. Era stato capo cameriere al Gran Caffé Roma di San Carlo al Corso dal 1891 per due anni, e qui D’Annunzio gli firma due cambiali, ancora conservate; lui pagava le colazioni al poeta, e gli prestava grosse cifre, che D’Annunzio non restituirà mai. Era creditore anche di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Al Vate farà pignorare quadri di Francesco Paolo Michetti e tappeti della principessa Maria Gravina, finiti in possesso di D’Annunzio, che forse lo descrive, nella Nemica, come un usuraio. Chissà se solo con il salario e le mance, nel 1906 Gentiletti compera la trattoria Corradetti, nota come Alla Concordia in via Croce 81, che ora è Otello, nel cortile di palazzo Boncompagni Ludovisi, poi Poniatowski. E in un suo scritto per i 66 anni d’attività, si autoqualifica come un «avvelenatore mondiale»; dice: «Fatto del bene, ricevuto del male, ben mi sta».

L’IPOTESI

D’Annunzio non se la passava sempre bene, nel suo periodo romano, in cui redigeva anche note di costume su Cronaca Bizantina: nel 1891, deve sloggiare da via Gregoriana 25, proprio per l’incursione di chi doveva pignorare; sposa Maria Hardouin del Gallese, che gli darà tre figli, ma ne avrà una anche da Maria Gravina; in dieci anni, fino al 1891, scrive ad esempio Il piacere. È solo un’ipotesi: ma se quei disegni fossero stati suoi? Del resto, poco si sa anche sulla dispersione delle opere dei van Wittel italianizzati Vanvitelli: sia di Gaspare (1653 - 1736), giunto a 18 anni a Roma che mai più abbandonerà, sia del figlio Luigi, l’autore della Reggia di Caserta ed anch’egli pittore e disegnatore. Il figlio Carlo ne possedeva le due raccolte, spesso confuse, dal 1773: 96 vedute e 31 quadri di prospettive, 146 fogli di incisioni, 30 stampe di figure; i percorsi successivi restano ignoti.

Alcuni di questi disegni ora in mostra si erano già visti a Roma, una decina d’anni fa. Quasi tutti fogli quadrettati, «preparati dall’artista per essere riportati in proporzione sulla tela, o su altro supporto» (Laureati); Trinità dei Monti ancora senza il suo scalone; il Campidoglio e l’Aracoeli prima del Vittoriano e degli sventramenti; Villa Medici; i Fori, che erano ancora Campo Vaccino; il Tevere ancora senza i muraglioni; Villa Aldobrandini a Frascati e il castello Odescalchi a Palo, ma anche Porta Galliera a Bologna e la Badia Fiesolana, Venezia, San Marco e la Salute, Verona e Napoli; un ponte romano chissà se sparito o inventato, giusto per esemplificare. Sempre con mille dettagli, frutto pure della camera ottica; sempre con mille curiosità; sempre con il sapore del tempo che non c’è più. I turisti andavano pazzi, nel loro viaggio d’iniziazione alla storia ed alla cultura, per questo nuovo genere pittorico, sbocciato a Venezia, ma di cui anche Roma era divenuta una capitale.

La mostra (dal 18 aprile al 13 luglio) vanta un bel catalogo, prodotto da chi l’ha organizzata, è a cura di Maria Breccia Fratadocchi e di Paola Puglisi.

FONTE: Fabio Isman (ilmessaggero.it)





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