venerdì 4 maggio 2012

Morandi: incanti di oggetti senza tempo



Al Museo d’Arte l’omaggio al maestro bolognese

Nasce a Bologna nel 1890, scompare nel 1964, due date remote tanto da ingigantirne statura e messaggio ai giorni nostri, dopo che il trapasso di secolo ha registrato un’ecatombe di presunti «giganti». Un’avventura solitaria quella di Giorgio Morandi, animata da maestri ideali, Cézanne e Matisse, come dall’amore per gli antichi, Giotto e Caravaggio, nonchè dall’adesione a movimenti quali Futurismo, Metafisica e Novecento, e dal conforto di amici e critici come Vitali, Raimondi, Arcangeli, Longhi, Brandi. Un’arte, la sua, dai mille misteri e cento enigmi, non ultimo la capacità di accendere l’ interesse nei pur ripetuti omaggi che gli vengono tributati.

La rassegna nel Museo di Lugano, per le cure di Maria Cristina Bandera e Marco Franciolle, ne è esempio eloquente: allinea un centinaio di opere, dipinti a olio, disegni, acquerelli, incisioni, con positivo accento su esordi e Anni 50. Consueti i temi: nature morte con bottiglie, bicchieri, scatole, conchiglie, frutta; seguono i paesaggi, colline, alberi, case, viuzze, vedute di Grizzana, il paese del soggiorni estivi, poi i fiori, mazzolini di rose, peonie, margherite affogate nei bianchi, rosa, beige, prodigiosi memento mori alla pari del tradizionale teschio; infine una rarità: Autoritratto 1924, (dagli Uffizi) dove si raffigura con tavolozza e pennelli.

Fra i molti pregi questa rassegna vanta prestiti da collezioni private e Fondazioni italiane o svizzere, non sempre così generose, come la Spadolini, quella di Roberto Longhi (la Bandera ne dirige la Fondazione di Studi di Storia dell’Arte), la Panza di Biumo, la Magnani Rocca, le opere di proprietà di Mina Gregori, le raccolte dei Museo di Vevey, Lugano, Winterthur. Sicché l’omaggio presenta peculiarità in comune al pittore bolognese: finezza, meditazione, preparazione accurata. Girando fra le sale incuriosisce e stimola la capacità dell’artista di infondere a semplici oggetti magia ed eternità. Così come la coerenza rappresentativa sulla base di alcuni punti fissi: spazio accurato, ricerca fin ossessiva di varianti nella luce, atmosfera, volume. Un accompagnata da una visione che non si stanca di cercare la verità ultima d’ogni cosa.

A raccontare tutto ciò sono talune composizioni come Natura morta del ’20, (coll. privata) proposta in due fogli incompiuti, qui ravvicinati, l’uno ad acquerello, l’altro a matita: una caffettiera, due tre vasi sopra il tavolino, qualche linea in una sinfonia cromatica di bianchi, beige, marroni, e grigio-azzurro, un tocco di rosso; nell’altro solo rari tratti a matita. Superbe le nature morte Anni 50, da quella di Winterthur al dipinto del Museo Morandi di Bologna, seguito da Vaso di Fiori del Mart di Rovereto. È tutto un crescendo di variazioni, illuminazioni, meditazioni, con l’inedita presenza di ombre inquietanti, fino all’ultima composizione, poche forme sfatte di bottiglie, candide su fondo beige-grigio, ridotte a puri fantasmi, dove le linee fluide spaziali trapassano e trasfigurano gli oggetti. Del suo incanto si sono accorti alcuni artisti contemporanei, come tra gli altri i fotografi tedeschi Becher, Tony Cragg, Franco Vimercati, Lawrence Carrol, Craige Horsfield, Stuart Arends, Rachel Whiteread, tutti puntigliosamente illustrati nel poderoso catalogo (ed. Silvana).

GIORGIO MORANDI
LUGANO MUSEO D’ARTE
FINO ALL’1° LUGLIO CHIUSO IL LUNEDÌ, TRANNE 28 MAGGIO

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