venerdì 27 febbraio 2015

Murano. Il museo del vetro riapre e raddoppia

Murano. Il museo del vetro riapre e raddoppia

Una sede espositiva completamente rinnovata per Palazzo Giustinian, che propone la storia e le espressioni più nobili della tradizionale lavorazione artigianale dell'isola lagunare

"Davanti a Santa Maria degli Angeli, le donne muranesi sedute in su le porte infilavano le conterie" scriveva Gabriele D'Annunzio nel secolo scorso. Oggi, quelle "conterie", termine usato per indicare perle e perline, diventano il nucleo del nuovo Museo del Vetro di Murano. Dopo la chiusura temporanea, avvenuta lo scorso dicembre per permettere i lavori a Palazzo Giustinian (dove il museo esiste dal 1861), riapre al pubblico il 9 febbraio, nella stessa storica sede ma con un aspetto totalmente nuovo, a partire dal raddoppiamento degli spazi espositivi, grazie al recupero proprio delle cosidette "ex Conterie". Il restyling, curato da Chiara Squarcina su progetto museografico di Gabriella Belli, direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia e con allestimento di Daniela Ferretti, è stato realizzato grazie al cofinanziamento del Fondo di Sviluppo Regionale dell'Unione europea assegnato dalla Regione Veneto, e al sostegno del Comune di Venezia.

Entrando, al numero civico 8 di Fondamenta Giustinian, oltre alla biglietteria, ai servizi, al museum shop e ai due ascensori che contribuiscono all'abbattimento delle barriere architettoniche, i visitatori trovano a sinistra una timeline in cui sono ripercorse le tappe fondamentali e i cambiamenti della storia vetraria di Murano, documentati con circa cinquanta opere scelte dall'età romana al Novecento. L'attraversamento introduce all'ingresso nello "Spazio conterie" che, nell'Ottocento era il regno degli artigiani "paternostreri", che tagliavano le canne forate, per creare le perline che poi finivano in appositi vassoi, e oggi di quell'epoca conserva archi e linee architettoniche ma trasforma l'ambiente in un moderno "white cube", che non ha più il sapore frenetico e appassionato di quel passato. A destra, spazio alle novità vetrarie più recenti, con la sala del "Vetro contemporaneo", dedicata alla memoria dell'artista Marie Brandolini d'Adda, recentemente scomparsa e famosa per i suoi "goti", bicchieri creati con assemblaggi senza regole di vetri colorati. Qui trovano posto sia opere di artisti italiani che stranieri degli ultimi decenni.

Salendo al primo piano, il percorso espositivo diventa cronologico, suddiviso in otto sale.  Si parte con "Le origini", in cui trovano posto esemplari del vetro muranese che risalgono al medioevo. La seconda sala, la più grande, ripercorre gli anni "Fra Trecento e Seicento. L'età dell'oro", incentrandosi sul periodo del Quattrocento, quando Venezia, e quindi Murano, contestualmente alla crisi della produzione islamica, diventa leader nell'arte del vetro. È il periodo di un maestro come Angelo Barovier (1405-1460) e del vetro puro che diventerà virtuosismo nel Cinquecento, con le creazioni del vetro simili a merletti, messe a punto da Vincenzo d'Angelo dal Gallo e altri vetrai che reinventano tecniche e decorazioni. A partire dal XVI secolo si inizia a parlare di dinastie di vetrai e, proprio alla loro abilità, è dedicata questa sala. Si continua con la terza sezione dedicata al "Settecento tra moda e creatività", la quarta sul "gusto della mimesi tra Settecento e Ottocento: calcedonio e lattimo", la quinta "dal vetro mosaico al millefiori: le murrine", la sesta "tra Settecento e metà Ottocento: il periodo più difficile", la settima sulla rinascita "1850-1895" (tra i protagonisti Pietro Bigaglia, Antonio Salviati) e l'ultima sala, sul vetro e design dal 1900 agli anni Settanta. Sono presenti i lavori di Vittorio Zecchin, Archimede Seguso, Alfredo Barbini, Carlo Scarpa, Napoleone Martinuzzi e di tutti gli altri vetrai che hanno reso unico il patrimonio di Murano, a cui è dedicato l'unico museo specializzato nel vetro artistico e  inserito in un contesto tuttora attivo, in cui fornaci e vetrerie lavorano costantemente, nonostante il periodo di crisi, per salvaguardare competenze e tradizioni ma cercando di tenersi al passo con i tempi.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

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