lunedì 3 gennaio 2011

Suggestioni dal profondo Sud a Genova l'arte subsahariana

Tra Palazzo Ducale e Castello d'Albertis, una grande mostra svela l'arte africana di Mali, Congo, Costa d'Avorio. Trecento tra maschere e feticci testimoniano un patrimonio sconosciuto che sedusse Picasso, Matisse e Modigliani


GENOVA  -  Tutta la suggestione delle maschere africane. Picasso le immortalò sui volti enigmatici della Demoiselles d'Avignon, Modigliani ne subì la fascinazione evocandole nelle sue sculture essenziali, Matisse le cantò nelle sue figure stilizzate e tribali, così come Derain che ne ricalcò la forza primitiva. I grandi protagonisti delle avanguardie storiche ne sono rimasti sedotti, facendo della cosiddetta "arte negra" una chiave di volta della loro ricerca estetica. E per scoprirne fino in fondo tutta la magia ecco una grande mostra, "L'Africa delle meraviglie. Arti africane nelle collezioni italiane" che dal 31 dicembre (con tanto di festa di capodanno a tema) al 5 giugno invade le sale di due sedi prestigiose come Palazzo Ducale e il Museo delle Culture di Castello d'Albertis, sotto la cura di Ivan Bargna e Giovanna Parodi da Passano, antropologi e specialisti d'arte africana, con la collaborazione di Marc Augé. Una mostra capace di regalare una forte suggestione nel visitatore anche grazie all'allestimento d'autore griffato Stefano Arienti, che orchestra più di trecento pezzi dell'arte tradizionale delle culture dell'Africa subsahariana, dal Mali al Congo, dalla Costa d'Avorio al Camerun, in un'ambientazione di spettacolare intimità. 

Si tratta di maschere, figure d'altare, "feticci", pali funerari, oggetti rituali e d'uso quotidiano, opere in gran parte inedite, un patrimonio sconosciuto che ha stregato e appassionato tanti collezionisti private italiani "L'obiettivo  -  racconta Stefano Arienti - è fare una mostra con una grande potenzialità di coinvolgimento dei visitatori, focalizzando il più possibile l'attenzione proprio sugli oggetti d'arte africana e sulla loro particolare materialità e tattilità, cercando un'ambientazione di massima immediatezza, e rinunciando dove possibile a vetrine o apparati che diminuiscono l'intimità con le opere". Inoltre, come avverte sempre Stefano Arienti: "Nell'allestimento trova spazio anche l'allusione alla dimensione privata del collezionismo con la ricostruzione di piccoli angoli che sintetizzano l'atmosfera delle Wunderkammern dei loro proprietari, personaggi spesso schivi e a volte eccentrici. Alcuni di loro compaiono in primo piano su televisori domestici in spezzoni d'interviste girate appositamente". 

Così, nella teatrale presenza di bianco, rosso e nero, la triade cromatica che caratterizza l'arte africana tradizionale, giocando con le potenzialità narrative immediate dei video, va in scena l'Africa delle Meraviglie. Si parte da Palazzo Ducale, con il prologo della mostra nel Sottoporticato, trasfigurato nella navata centrale di una cattedrale, dove incombe una vasta pedana bianca che fa da altare a settantatre opere di quattro collezioni, raggruppate per aree stilistico-culturali. La mise en scene continua con la forza magnetica dei "feticci", di questi antichi e famigerati oggetti portatori di forze magiche ambivalenti: una parata di trentadue sculture polimateriche schierate in una vetrina centrale, cariche di inquietante bellezza dal forte impatto emotivo. E' la volta poi delle circa cinquanta varietà di maschere sono affiancate a una importante collezione di colorate bandiere delle tradizionali compagnie paramilitari Asafo dei Fante del Ghana. "Qui l'ambientazione allude al mercato dell'arte e al mondo dei collezionisti attraverso la scelta di grandi scaffalature-espositori", sottolineano i curatori. Si scoprono, poi, le Bundu, insondabili maschere-elmo della società segreta femminile Sande provenienti dalla Liberia, sagome nere che appaiono come sospese in uno spazio suggestivo. 


Passando al Castello d'Albertis, si trovano una cinquantina di oggetti, riletti con un gioco di ombre, costruite per rendere l'idea della pluralità degli sguardi. "Qui il percorso ha come tema l'autenticità  -  dicono i curatori - tanto quella degli oggetti che delle culture da cui provengono, per riflettere intorno ai fantasmi della purezza e della contaminazione che animano i nostri desideri e paure". Chicca del percorso è un'istallazione a file concentriche composta da una quarantina di Ibeji Yoruba, statuette lignee che rappresentano bambini gemelli. "Le piccole sculture vengono trattate  come veri bambini, diventando anche oggetto di culto, essendo i gemelli considerati canali privilegiati con il mondo invisibile", dicono i curatori. Al centro dell'opera, una irradiante statua di maternità Yoruba non può che sancire il ruolo fondamentalmente generativo della figura femminile tradizionale. 

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

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