lunedì 5 luglio 2010

Il senso degli Este per il collezionismo

Al Museo Archeologico i capolavori conservati a Modena


Aosta, legittimamente orgogliosa delle sue forti e affascinanti memorie di antichità romane, accoglie nelle sale del Museo Archeologico l’altrettanto affascinante memoria secolare dell’impronta classica rinascimentale delle collezioni estensi. Si tratta dei versanti più privati emigrati alla fine del ’500 da Ferrara a Modena. Mario Scalini, curatore della mostra con Nicoletta Giordani, ricorda nell’introduzione del catalogo che il titolo «Rinascimento privato» è stato ispirato dall’ultimo libro di Maria Bellonci su Isabella d’Este. Ricorda anche che l’investitura da parte dell’imperatore Federico III a Borso d’Este a Duca di Modena e Reggio Emilia avvenne nel 1542, un anno prima della caduta di Costantinopoli e dell'Impero d'Oriente. 

Le 113 monete d'oro esposte in mostra della collezione numismatica, nata con Lionello e Borso d'Este a Ferrara ma ancora incrementata a Modena nel XIX secolo da Francesco IV e Massimiliano d'Austria, iniziano con uno statere di Taranto con testa di Eracle del 280 a.C. e terminano con Michele VII, Imperatore di Bisanzio nel 1071-1078. Ma soprattutto il senso più profondo dell’aura e delle fonti dell’umanesimo classico quattrocentesco emerge, con un fascino straordinario fra magia e immaginario simbolico, dalle plance di esposizione delle 518 gemme intagliate. Dominano il grigiazzurro del calcedonio e il rosso-arancio della corniola, in mezzo all’agata, al diaspro, all’onice, all’ametista, alla sardonice. 

Sono utilizzate per un popolo infinito di dei e di eroi del mito dall’Olimpo all’Asia Minore al Nilo: simboli magici e amuleti, mondo animale reale e mostruoso, microscene di genere. La curiosità paziente del visitatore trova lenti al suo sevizio ed è soprattutto soddisfatta nella saletta di proiezione dell’audiovisivo, al cui commento in italiano e in francesce si accompagna il limpido latino della Naturalis Historia di Plinio.

Su questa stupefacente base iconica, che documenta quattro secoli di collezionismo principesco, si appoggia l’eleganza dell’allestimento espositivo, caratterizzato dallo scorrere lungo le pareti dei corridoi e delle sale del secondo piano delle riproduzioni dei finti arazzi con Storie di Bacco affrescati a metà '600 da Jean Boulanger nel palazzo di Sassuolo nel Modenese. Ed anche le scelte raffinate della scultura marmorea e bronzea. Esse comprendono due bassorilievi romani del II secolo, fra Adriano e Antonino Pio. Il primo riporta un corteo bacchico. Il secondo è uno straordinario esempio di sincretismo latino-asiatico: mette insieme il culto mitriaco del giovane Aion nelle spirali del serpente e quello orfico di Phanes alato nascente dall’uovo infuocato, al centro di un ovale con i segni zodiacali.

I due marmi antichi si confrontano con due bronzi «antichizzanti»: il busto di Livia Sabina moglie di Adriano in veste di Cerere a metà ’500 del ferrarese Ludovico Lombardo e la testa in bronzo dorato di Antinoo innestata su un busto all’antica di onice, opera di scuola romana di metà ’700 a imitazione del cinquecentesco Nicolas Cordier. Dalla Galleria palatina, spogliata dalla sciagurata vendita nel 1674 di 100 capolavori a Dresda, provengono il Ritratto del buffone Gonella di Dosso, il Ritratto del Delfino Francesco di Valois, figlio di Francesco I, di Corneille de Lyon, una copia di bottega del Cristo portacroce di Pieter Brueghel il Giovane e una stupenda Natura morta romana di ambito caravaggesco. 

RINASCIMENTO PRIVATO 
AOSTA, MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE 
FINO AL 1 NOVEMBRE

FONTE: Marco Rosci (lastampa.it)

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