sabato 6 dicembre 2014

Eroticando, in mostra a via Veneto il lato “positivo” dei sette peccati capitali



E se la lussuria non fosse solo carnalità sguaiata ed eternamente insoddisfatta ma consapevolezza piena delle proprie sensazioni e coraggio di sorprendersi in dimensioni traboccanti di gioia? 

E se la gola fosse un modo quasi pittorico di “naturalizzare” la rotondità delle proprie forme trasformandole in frutti rosei, in acini succosi, in liquori che strappano il primato al nettare degli dei? E se la superbia fosse arte dell’eleganza e della seduzione senza urgenze; l’accidia una molle predisposizione verso un mondo che non capisce e che non ci dà gli stimoli giusti per esaltare il nostro io, le nostre risorse; l’avarizia un modo soave di gestire i propri doni perché non vengano sprecati dalla ruffianeria e dalla rapacità di chi ci osserva; l’invidia una croce e una delizia che ci sfianca dentro ma ci fa sentire presenti in mezzo alla differenza ingovernabile degli altri, e l’ira un prezzo da pagare a una serenità che non teme le prevaricazioni ma le morde o le previene?

Se i peccati capitali fossero “anche” questo, ci troveremmo senz’altro nel pieno del progetto artistico, ideativo, spirituale di Sandra Inghes, artista “visionaria”, come si diceva un tempo, quando l’esercizio artigianale dei pennelli e dell’acrilico, delle masse e dei contorni, era anche legato a una concettualizzazione pura e audace della vita, e non a una rimasticazione di stilemi e di deliri di onnipotenza, servi della provocazione fine a se stessa, dello star system.

Sandra Inghes, progettista d’interni e apprezzata pittrice, romana, classe ’58, ha inaugurato proprio ieri una mostra intitolata “Eroticando” (promossa dalla Apas, Accademia per le Arti, le Scienze e lo Sport), presso il Caffè Veneto di via Veneto, storico locale della Dolce Vita. Una mostra che intende proprio rivisitare i sette “peccati capitali”, dogma inaggirabile della cristianità, in chiave femminile, trovando in quelli che la fede cattolica ha sempre considerato come l’abbandono della retta via e l’allontanamento, volontario e colpevole, dalla luce di Dio, un motivo, invece, di riscatto, di slancio morale, paradossalmente di virtù.

In un melting che unisce nelle tele della Inghes l’astratto e il figurato in un impasto molto onirico e suggestivo, linee che richiamano delicatamente Botero, accostamenti cromatici alla Klimt e urti quasi espressionisti che ci turbano nei “folli” della pittura come Ligabue, ritroviamo una donna che si consegna, allo sguardo di chi si affaccia sul bordo di queste tele-abisso, come in una perenne metamorfosi, come se cercasse di uscire dal viluppo di organi e sangue e materia per ritrovare un divenire, una identità, una libera profferta di sé. Quella che la Storia le ha spesso negato, e con essa la nitidezza di un rapporto alla pari con l’uomo e un fiorire fuori dalle etichette normalizzanti e soverchianti delle religioni, dei poteri costituiti, dei mondi patriarcali, delle sopraffazioni moralistiche cieche e cicliche.

«La Lussuria, legata alla quantità del piacere, all’esaltazione della libidine, è nata per caso - dice l’autrice che quasi ci aiuta a passeggiare fra le sue opere-, da un accenno di onde marine che poi mi hanno dato lo spunto nel rappresentare il sesso femminile ben evidenziato, quasi trasfigurato, violentato ed un sesso maschile che può essere quasi scambiato per una mammella. L’Avarizia, l’ho rappresentata grazie a un corpo femminile graffiato e circondato da mille cose tra cui delle calle nere, sorta di imbuti per travasare non solo le cose materiali ma anche i sentimenti. La Superbia, con una donna nuda, di spalle, quindi già in atto di sprezzo, che si sistema vezzosamente un cappello e che, attraverso le sue autoreggenti, fa nascere il senso del peccato, della tentazione, rendendosi però inavvicinabile, inespugnabile e che gode nel degradare gli altri per emergere, ricercando la propria superiorità, per costringere a svilire o a negare l’effettività delle doti di beltà di altre donne e contrastarle come se fossero antagonisti pericolosi. La Gola rappresenta il piacere fine a se stesso attraverso una donna che si nutre di fichi maturi tanto da vomitarne l’eccesso che ha ingerito. L’Invidia: una croce di colore rosso che delimita la tela in quattro riquadri ognuno dei quali viene occupato dagli organi della digestione (fegato, bile e pancreas) e da un cuore trafitto da chiodi di ferro».

Nell’Accidia e nell’Ira è ancora più direttamente tratteggiato questo dolente contendere la vita da parte della donna ai condizionamenti esterni che sembrano sempre metterla a regime, disattivarla, privarla di scintille e focolai di rivolta. L’adagio dell’accidia è appunto un esserci, un essere lì, pronta a fare, a tessere le passioni, a manipolare il mondo, se solo ci fosse un abbraccio fatale e non una consegna di morte. E l’Ira stessa, simboleggiata dalle spire del drago e da una lingua infuocata, è come ponderata e pareggiata da una pozione di tranquillità e moderazione, di comprensione umana avvolgente, che aspetta lì nell’ombra della bestialità del mitico rettile per ridare la giusta misura a quel patire che ritrova bellezza, equamente nella battaglia come nell’ascolto.

“Eroticando” è la vera “mostra”, quella che ci riconcilia con i “mostri” che ci portiamo dentro, con le vertigini dell’anima, e che solo nella nobile arte del vedere possono trovare un guinzaglio o un nuovo paradiso dove pascolare docili e fruttuosi.

FONTE: Carmine Castoro (ilmessaggero.it)

lunedì 1 dicembre 2014

La materia, i colori e il nero. A Mantova il meglio di Miró

La materia, i colori e il nero. A Mantova il meglio di Miró

A Palazzo Te in mostra oltre cinquanta opere, a celebrare l'"estro creativo" del grande artista di Maiorca. Oli su tela, sculture e arazzi che in gran parte provengono dalla "sua" fondazione delle Baleari

Nelle scuole di Barcellona, Joan non era visto come un buon allievo: solo le lezioni di disegno del professor Civil lo stimolavano. Così, pur seguendo i suggerimenti dei genitori artigiani, che lo volevano iscrivere alla scuola commerciale, lui scelse di studiare parallelamente anche alla Scuola di Belle Arti della Llotja. Mai decisione si rivelò più azzeccata, dal momento che ci ha regalato un artista ineguagliabile come Joan Mirò  (1893 -1983).

In questi giorni, una grande mostra, alle Fruttiere di Palazzo Te di Mantova lo celebra:  "Miró. L'impulso creativo", realizzata in collaborazione con la Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca e curata da Elvira Cámara López, direttore della stessa Fondazione. Sono esposte oltre cinquanta opere del maestro catalano, provenienti in gran parte dalla fondazione spagnola e raccolte in un percorso espositivo in cui, ad essere evidente, è tanto la sperimentazione che portò avanti l'artista, quanto i soggetti, i materiali e i colori preferiti da Mirò. Nella sezione "Il gesto" sono esposte opere - in genere tra i 130 e 195 centimetri di misura- che hanno come caratteristica principale e comune l'avvicinamento dell'artista alla materia. Molti oli e acrilici (quasi tutti senza titolo), sono stati realizzati su tela, su carboncino, con diversi modi di stendere il colore e per la maggior parte risalenti al '67.

Il rosso, il giallo, il blu, colori tipici di Mirò scompaiono nella sezione "La forza del nero", dove trovano spazio lavori che risentono dell'influenza di Mirò con la cultura giapponese.
Nelle sezioni "La sperimentazione con i materiali" e ne "Il trattamento dei fondi" si evince la grande sperimentazione che Mirò fece con i materiali: non solo olio e acrilico su tela ma anche elementi meno nobili come benzina, acqua sporca, succhi di fiori. Gessetti, cotone, iuta. Arazzi, terrecotte, bronzi, figure e forme, infine, lasciano spazio a pochi e minimali segni nella quinta sezione "L'eloquenza della semplicità" che raccontano in opere quello che fu un artista con grandi esperienze intellettuali e creative ma pur sempre semplice, lineare, non caotico, che seguiva e apprezzava le piccole cose quotidiane come ogni grande uomo è in grado di fare, nonostante la straordinarierà della sua vita.

Info utili
"Miró. L'impulso creativo"
a cura di Elvira Cámara López
Una mostra di: Comune di Mantova in collaborazione con Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca, 24 ORE Cultura, Arthemisia Group, Verona 83
Con il supporto di: Centro Internazionale d'Arte e di Cultura di Palazzo Te Fruttiere di Dove: Palazzo Te - viale Te, 19 Mantova
Quando: 26 novembre 2014  -  6 aprile 2015
Orari: Lunedì 13-19 Martedì - Domenica 9-19 Venerdì 9-23
Il servizio biglietteria termina un'ora prima

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)
 

domenica 30 novembre 2014

Street Art “en plein air” sull’isola di Djerba


Fino a giugno 2015 un grande evento fonderà tradizioni occidentali con quelle orientali: è la forza dell’arte, che unisce e coinvolge sempre…

Molte città in tutto il mondo si sono guadagnate la fama da “progressiste” appoggiando la scelta di abbracciare, tra le loro vie e strade, la street art. Come è avvenuto negli ultimi mesi in città come Melbourne e Praga, giusto per fare un esempio. Ma la capitale dell’arte urbana en plein air non è una città molto conosciuta. Ma ben presto lo sarà.  Stiamo parlando di un piccolo villaggio sull'isola tunisina di Djerba.
 Er-Riadh è il suo nome: qui si è recato in “visita” un gruppo improbabile di ospiti: 150 artisti di strada provenienti da 30 Paesi di tutto il mondo. Il progetto è partito da uno street artist franco-tunisino, Mehdi Ben Cheikh, fondatore nel 2004 della Galerie Itinerrance a Parigi, che ha lanciato il Djerbahood Festival: l’iniziativa è stata condotta in circostanze del tutto legali, con l’appoggio del Comune e degli  artisti che vivono nel villaggio. Tra i nomi di spicco presenti, ci sono anche BomK, Liliween, Shoof, Roa, C215, Faith47, Know Hope, Herbert Baglione ed El Seed.
 Un progetto non facile per uno scenario decisamente insolito: l’idea di Djerbahood è quella di far immergere i grandi nomi della street art all’interno di un ambiente urbano che ha poco a che fare con la classica concezione artistica occidentale. Puntando a creare nuovi spunti culturali e contrastanti con quelli storici locali: “ebrei, cristiani e musulmani qui hanno vissuto in pace per oltre 2000 anni. Il mio obiettivo era consolidare questa convivenza e offrire ai disegnatori una tela unica nel suo genere”, ha dichiarato il gallerista. 
 Colorate, surrealiste, variegate, interculturali: le immagini fondono elementi della tradizione araba con quelli della più moderna civiltà occidentale. Il progetto proseguirà fino a giugno del 2015, quando tutti avranno finito di lavorare sui muri del villaggio. “È una vera mostra con una vera scenografia. Ho dato a ciascun artista un muro e abbiamo discusso insieme dei lavori da realizzare”. A dimostrazione che l’arte unisce, e che una cultura diversa non la si può imporre: la si può soltanto abbracciare.
Leggi anche:
Street art in Europa: i 10 “grandi” del 2014Street Art, nuove forme e colori nel Sud AmericaLa Street Art omaggia il surrealismo di DalìRoma si trasforma: Street art in pieno centro 

FONTE: FRANCESCO SALVATORE CAGNAZZO (lastampa.it)

mercoledì 26 novembre 2014

Miró, eterno ritorno all’infanzia

A Mantova una mostra racconta i grandi temi del catalano: dalla tecnica al nero, l’ordito psicologico del pittore che volle farsi poeta. Beffando un destino da contabile

Barcellona, 1910. Un giovane magro e dall’aria mite sfoglia un registro meticolosamente compilato. Numeri, calcoli, somme. Ma il giovane, da poco diciottenne, non vede le cifre: negli occhi ha un saltimbanco verde, un mare blu e un tramonto color arancia matura. Si chiama Joan Miró e vorrebbe fare l’artista. Per suo padre, però, non se ne parla: gli ha trovato un posto da contabile.

Presso una rinomata drogheria cittadina. La grazia dell’artista che in seguito impasterà sogni e colori ad olio nacque così: da una prova di triste ragioneria. Da allora però tutto avvenne come in un disegno demiurgico: una lunga depressione, il cedimento rassegnato della famiglia, gli studi d’arte, l’incontro con il maestro Francesc Galí, Parigi eccetera. L’ultimo approdo di questo cammino lambisce le rive del Po mantovano: a Palazzo Te, la mostra Mirò. L’impulso creativo (fino al 6 aprile 2015, info su www.miromantova.it) racconta alcuni importanti capitoli dell’opera del catalano nato nel 1893. «Come la grafica, il gesto, il nero, la semplicità: un racconto per temi» dice Elvira Cámara López, curatrice e direttore della Fundació Pilar i Joan Miró, dalla quale provengono le 53 opere in mostra.

La scelta di procedere per grandi terreni inesplorati e non con le solite opere più volte viste, rivitalizza il gusto della scoperta. Così alle Fruttiere di questo splendido palazzo dove i Gonzaga elevarono la cultura a istituzione, ogni tela o scultura o arazzo parla del continuo, inesausto sforzo di quel giovane ragioniere che volle essere artista. Si vada subito a quei terribili, violenti arabeschi neri su fondo bianco. «È come se forzasse il colore, con energia inusitata, un po’ come quando lavorava la ceramica, pareva distorcerla con violenza» dice Cámara López. Sui registri contabili aveva (forse) imparato a sdoppiarsi per non morire e così negli atelier parigini prima e in quelli catalani dopo, si consumava una commedia pirandelliana di una molteplice personalità. Da una parte c’era il Joan rigorosissimo, che si alzava sempre alla stessa ora, seguiva una routine da noia borghese, fedele alla sua Pilar Juncosa (tanto che più volte il casanova Picasso lo ha canzonato: «Ma è mai possibile che io ti veda sempre con la stessa donna?»). 

Sulla tela no. Sulla tela il nero si incendiava in sagome mostruose (c’è unSenza titolo non datato che pare un urlo di Munch in chiave surrealista); gli enormi occhi che aveva «rubato» ai Cristi Pantocratori della pittura romanica che amava trasfiguravano in incubi strepitanti. Qual era il Miró più autentico? Quello che scriveva «Lavoro come un giardiniere o come un vignaiolo.

FONTE: Roberta Scorranese (corriere.it)

domenica 23 novembre 2014

Objecticide, l’assassinio di un mobile


Lor-K è un artista francese che crea installazioni con i mobili trovati per le strade di Parigi: abbandonarli è come ucciderli

Materassi squartati, divani smembrati, wc frantumati e lasciati a morire in pozze di sangue. Sono macabri omicidi rituali quelli che Lor-K, artista francese, inscena lungo le strade di Parigi con le sue installazioni di oggetti ‘assassinati’: Objecticide è la serie di opere che gridano l’orrore dell’abbandono dei beni di consumo. Lasciare gli oggetti ingombranti sul ciglio della strada è purtroppo una pratica assai diffusa, che se da un alto permette a chi ne ha bisogno di appropriarsi gratuitamente di un pezzo di recupero, dall’altra finisce spesso per sedimentare in certe aree, certi quartieri, un discreto livello di degrado.

Rifiuti solidi, grossi, ingombranti come televisori, lavatrici, materassi, frigoriferi, poltrone, ombrelloni da giardino, scrivanie e chi più ne ha più ne metta punteggiano le strade cittadine delle grandi metropoli. Umanizzandoli fino all’estremo, cioè dotandoli di sangue e ‘viscere’ Lor-K pone l’accento sull’uccisione degli oggetti di consumo, che egli personifica evocando una sorta di legame emozionale con essi. I beni materiali infatti non sono tutti uguali: ad alcuni csi affei ziona, ci si lega, e l’umanità di cui l’artista li dota ci offre una visione insolita su di essi. Macabra, ma stranamente coinvolgente. Stranamente perché è di un materasso vecchio l’oggetto in questione. O la tazza di un gabinetto. O un tavolino. Eppure ci dispiace, ci colpisce la sua tragica 'morte'.

Lor-K smembra e tinge di rosso i mobili che trova per strada, lo fa sul posto e lì li lascia a giacere vittime di un barbaro omicidio, con ferite aperte e sanguinolente. La messa in scena nello spazio urbano fa parte di una sorta di performance in cui la città diventa cornice, il luogo del ritrovamento è anche quello in cui l’opera d’arte viene concepita e ri-abbandonata. Ogni creazione è unica e impossibile da riprodurre, anche perché solo una fotografia testimonia la sua presenza prima che l’amministrazione locale la rimuova. L’arte si riappropria della città e con essa accoglie anche i suoi rifiuti, i suoi scarti.

FONTE: lastampa.it

sabato 22 novembre 2014

Skid Robot, l’artista che realizza i piccoli sogni dei senzatetto


Lo street creator di Los Angeles, che si fa chiamare Skid Robot, pubblica foto su Instagram di tutte le case immaginarie che crea per gli homeless...

Dal sogno alla realtà. O meglio, quella concretezza che solo un artista può veder tale. Ma c’è, in qualche modo. Un artista di strada a Los Angeles sta usando il suo talento creativo per portare un sorriso, un barlume di speranza, un’attenzione gratuita, spesso desiderata ma mai avuta. E i senzatetto si vedono un angolo di casa fatta con lo spray o con dei pennarelli, con finestre e mobili a portata di mano. O di sogno.
L'artista, che si fa chiamare Skid Robot, pubblica foto su Instagram di tutte le case immaginarie che crea per gli homeless, con letti a baldacchino, morbidi cuscini e finestre con affaccio sulla luna. Skid Robot umanizza i senzatetto per inserirli nelle sua arte, creando scene borderline, con una agrodolce opposizione tra spray e vernici, e tra bisogni e sogni.
 Ma lo street artist non improvvisa nulla. Lui intervista, indaga, scopre la persona su cui interviene. Gli basta una chiacchierata, offre del denaro, dona un po’ di attenzione a loro, i senzatetto, che si scoprono e si raccontano, in toto. Come spiega nelle sue didascalie che accompagna le sue foto.
 "Ben è stato rilasciato dall'ospedale senza scarpe. Non era in grado di camminare perché era stato colpito alla schiena e alla fine l'ospedale l’ho ha gettato in strada come tanti altri. Gli ho offerto un pasto ma ha rifiutato, invece ha chiesto carta, matite, penne, in modo che possa scrivere e disegnare. Ha detto che gli piace molto l'arte e la usa disegnare se stesso. Avevo un quaderno abbastanza nuovo, un paio di penne e pennarelli con me, che gli ho potuto dare subito insieme a un po’ di soldi, in modo che potesse mangiare più tardi”.
Un uomo, da poco dimesso dall'ospedale e in una sedia a rotelle è raffigurato seduto in un trono in cima a un muro di castello. Il suo stile è semplice, nulla di eccezionale. E’ il suo obiettivo che lo rende unico al mondo: quello di cambiare il modo in cui la gente vede i senzatetto. Sensibilizzare con l’arte. Per regalare un sorriso a chi non ce l’ha.

FONTE: Francesco Salvatore Cagnazzo (lastampa.it)

domenica 16 novembre 2014

Al Mart le nuove frontiere della Mobile Art

Al Mart le nuove frontiere della Mobile Art


Dai cellulari arrivano le ultime novità artistiche. Se ne parla in questi giorni a Rovereto con "Futuro Presente", il primo salone a tema in Europa


Che direzione stanno prendendo le immagini? Archiviati i tempi di tavolozza e pennello, ora a ridisegnare le frontiere artistiche ci pensano i dispositivi elettronici che noi tutti conosciamo, quelli che, volenti o nolenti, hanno invaso la nostra vita: cellulari, tablet, smartphone. "Mobile Art, l'arte è mobile" è il nome del progetto su cui è focalizzata l'attenzione della prima edizione di "Futuro Presente", il laboratorio permanente sui linguaggi contemporanei attorno al tema "Oltre il conflitto". Per dieci giorni, dal 14 al 23 novembre, si susseguiranno contest e workshop, in una serie di appuntamenti a cura degli Incontri Internazionali di Rovereto, in collaborazione con il Mart (il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) e l'ISMA (International Salon of Mobile Art).

Si tratta del primo salone in Europa sul tema "mobile art", si inizia venerdì 14 mattina con un interessante focus su "Il fotogiornalismo oggi": ad approfondire l'argomento sarà il fotoreporter Marco Longari (Agence France Presse), esperto del Medio Oriente che illustrerà il suo mestiere (soprattutto agli studenti). Nel pomeriggio inaugura ufficialmente "Futuro Presente" con una tavola rotonda (moderata da Raffaele Crocco) tra giornalisti ed esperti della comunicazione, sul tema   
"Comunicare il futuro già presente" con Luca De Biase, Gianni Del Vecchio, Alessandra Mammì, Cristiana Collu. Quest'ultima, direttrice di un museo come il Mart di Rovereto, testimonia come un luogo espositivo possa coinvolgere, in maniera esemplare, community virtuali e sviluppare progetti di web communication. All'interno del Mart, infatti, trovano spazio in questa occasione le esposizioni "interferenze digitali" con artisti che, da tutto il mondo, hanno partecipato al contest sul tema "oltre il conflitto". Alle foto selezionate dal concorso si aggiungono le immagini dei visit-attori, ossia quelle di chiunque voglia "postare" il proprio contributo sul tema "oltre il conflitto" .

La serata del primo giorno, così come quella di sabato, si conclude con proiezioni di cortometraggi "99 secondi". Nel week end, poi, si alterneranno visioni di film: sabato alle ore 15 la versione originale di "Life in a day" di Kevin Macdonald, domenica allo stesso orario "Vedozero" di Andrea Caccia. Molti i dibattiti: su come la tecnologia mobile possa favorire una migliore fruizione culturale e su come i social fanno bene al cinema. Domenica mattina Michele Smargiassi e Gianluigi Colin si interrogano sull'essenza della mobile art: "nuova frontiera della fotografia o moda passeggera?" Sarà ancora Marco Longari che, domenica alle ore 17, porterà la sua testimonianza di fotoreporter internazionale -nel 2012 è stato premiato dalla rivista statunitense "Time" come "Best photographer wires" -raccontando come è cambiata la sua professione di fotogiornalista. Chiuderà il week-end il confronto a più voci -Marco Longari, Andrea Bigiarini, Roberto Murgia, Giancarlo Beltrame, Luca Chistè, Maria Teresa Ferrari- su come la Mobile Art stia diventando un nuovo spazio creativo della visione.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

domenica 9 novembre 2014

Steve McCurry alla Villa Reale di Monza

Un uomo anziano della tribù Rabari, Rajasthan, 2010

La neoclassica Villa Reale di Monza, riaperta al pubblico dopo unrestauro durato 2 anni e costato oltre 24 milioni di euro, ospita dal 30 ottobre 2014 al 6 aprile 2015 una mostra che mette sotto i riflettori le fotografie di Steve McCurry.
L’esposizione “Steve McCurry. Oltre lo sguardo”, a cura di Biba Giacchetti e Peter Bottazzi, raccoglie una selezione di circa 150 scattiche il talentuoso fotoreport statunitense ha realizzato in giro per il mondo, dall’India alla Birmania, dall’Afghanistan alla Cambogia, ma anche in Giappone, in Brasile, in Africa e in Italia, dove ha immortalato le bellezze paessaggisitche della sua regione più verde: l’Umbria.
La mostra si sviluppa a partire dai lavori più recenti di Steve McCurry, come il Calendario Lavazza 2015, anche se non mancano alcune delle sue immagini più conosciute, a partire dal ritratto della ragazza afgana Sharbat Gula, che è diventata una delle icone assolute della fotografia mondiale.
La rassegna intende raccontare l’avventura della sua vita e della sua professione, anche grazie ad una ricca documentazione e ad una serie di video nei quali, in prima persona, l’artista racconta le immagini esposte, i suoi viaggi e il suo modo di concepire la fotografia.
Ad una nuova mostra non poteva che corrispondere un allestimento del tutto nuovo, progettato appositamente da Peter Bottazzi.

FONTE: luxgallery.it

sabato 8 novembre 2014

Anselm Kiefer: eroica e tragica la Germania del’900


A Londra la grande retrospettiva del maestro tedesco che riflette sull’Olocausto e sulle contraddizioni del suo Paese

Accolto come membro onorario dalla Royal Academy of Arts, Anselm Kiefer ha voluto dimostrare di essere all’altezza di questo titolo occupando tutte le dodici auliche sale della storica istituzione con una retrospettiva che ripercorre oltre quarant’anni della sua attività. E lo ha fatto magistralmente, attraverso un percorso cronologico e tematico che si sviluppa come un epicoGesamtkunstwerk wagneriano, mettendo in scena alcune potenti sculture, i quadri dei suoi cicli più importanti, teatrali vetrine e bacheche con i suoi famosi libri di piombo. Per questa impresa ha anche realizzato apposta il 40 per cento delle opere esposte, in modo da interagire al meglio con le specifiche caratteristiche degli spazi architettonici.  

Nel cortile d’entrata, sotto il perplesso sguardo marmoreo di sir Joshua Reynolds, fondatore della Royal Academy, Kiefer ha piazzato una sorta di serra con vetri trasparenti, al cui interno si vedono fluttuanti a mezz’aria o posati sul fondo come relitti, dei tetri modelli in piombo di navi da guerra. Intitolata al poeta futurista russo Velimir Chlebnikov e alla sua bizzarra teoria sulle grandi battaglie navali (che avverrebbero ogni 317 anni), questa installazione ci rimanda ai segreti disegni del Fato che condizionano i destini dell’umanità, e a una concezione tragicamente ciclica della tempo che attraversa in modo ossessivo un po’ tutta la produzione dell’artista.  

La seconda scultura, Il linguaggio degli uccelli, collocata sulla cima dello scalone, è un complesso assemblaggio di plumbei libri che prendono la forma di un essere alato che tenta di decollare nonostante il peso del materiale (o, novello Icaro, è crollato per terra a causa di ciò). Sul muro si legge, scritta a carboncino, la dedica al misterioso alchimista Fulcanelli, indagatore degli enigmi delle cattedrali e dei segreti delle energie dell’universo. La terza costruzione tridimensionale (le Età del mondo) nello spazio ottagonale centrale, è un’enorme catasta fatta di macerie, tele semibruciate e di girasoli fusi in bronzo.  

È una sorta di ambiguo e funereo totem cosmologico che fa riferimento all’evoluzione dei pianeti, all’utopica aspirazione romantica dell’arte, all’estetica delle rovine (sic transit gloria mundi) e al rapporto fra l’uomo e l’assoluto. Questi lavori sono emblemi monumentali dell’immaginario dell’artista alimentato da memorie personali e storiche (legate soprattutto alle devastazioni reali e morali della guerra e del nazismo), da suggestioni e rimandi mitologici, esoterici, filosofici e letterari, e da influenze artistiche, in particolare dei suoi «maestri» Caspar Friedrich, Van Gogh e Beuys. 

Tutti aspetti che si sviluppano nei temi più tipici della sua ricerca e che impregnano figurativamente e simbolicamente gli stratificati spessori delle sue tele, fatte di stesure a olio e emulsioni acriliche che includono vari elementi come sabbia, cenere, paglia bruciacchiata, veri girasoli con neri semi, grumi e fogli di piombo, e persino dei diamanti (per cieli stellati).  

La mostra si apre con la serie degli Heroic Symbols (1970), in cui l’artista si ritrae, vestito con l’uniforme dell’esercito del padre, mentre fa il saluto nazista di fronte a monumenti e edifici del regime: dipinti di provocatoria denuncia che all’epoca furono anche interpretati come apologetici. Con questi quadri e con i suoi primi libri intitolati Occupations, in cui sono accumulati documenti scritti e fotografici erosi da bruciature e acidi, Kiefer voleva riattivare in modo intenzionalmente traumatico la memoria di avvenimenti tragici che troppi tedeschi avevano colpevolmente rimosso.  

Tra i successivi dipinti che si riferiscono agli orrori nazisti il dittico MargaretheSulamith è il più tragicamente poetico. Ispirato a una poesia di Paul Celan (scritta dopo la sua prigionia in un campo di concentramento), evoca le figure di una guardia tedesca e di una prigioniera ebrea, e i forni crematori, attraverso materiali come la paglia, sabbia e cenere. La dimensione epicamente drammatica della pittura di Kiefer raggiunge gli effetti più affascinanti nella vastità delle scene di vuoti spazi architettonici devastati, come per esempio Al pittore sconosciuto (in cui le romantiche rovine del tempio di Friedrich echeggiano dentro quelle di scheletri di palazzi bombardati), e di immensi campi di grano o di girasoli, solcati, bruciati, sterili, dove dal grigio e dal nero emergono segni contraddittori di vita e morte (nei neri semi dei girasoli e nei corvi svolazzanti omaggio a Van Gogh).  

Questi campi altamente simbolici fanno riferimento anche all’ossessione del nazionalismo tedesco (specialmente nella versione degenerata nazista) dell’identità fondata sul suolo e sul sangue. Il tema è sviluppato, con valenze politiche e risonanze mitiche, anche nell’ultima e più spettacolare serie di dipinti (che chiude la mostra) quella intitolata Morgenthau, che fa riferimento al piano demenziale di un segretario al tesoro americano che sognava di deindustrializzare la Germania trasformandola in un immensa realtà agricola. 

ANSELM KIEFER  
LONDRA, ROYAL ACADEMY  

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)

giovedì 6 novembre 2014

Si scaldano i motori di Artissima, la direttrice: “Qui ci sono i giovani e il meglio delle gallerie”


La novità di quest’anno la performance, che, assicura, «si potrà comprare»

Ad Artissima - che si aprirà al pubblico stasera - è l’anno delle performance anche la conferenza stampa del mattino all’Oval si stringe e assume la forma dell’istant show. Sarah Cosulich la direttrice affida la regia degli interventi al giornalista Rai Paolo Maggioni che, munito di contaminuti a forma di hamburger (regalo di Carlin Petrini), concede due minuti due ai relatori a mò di art speed date, questa e quindi sarà una speedy conferenza stampa.In platea la direttrice del Maxxxi Giovanna Melandri, e Patrizia Sandretto applaudono l’idea. Tutti si adeguano allo short talk. Antonella Parigi: «Noi abbiamo bisogno di arte contemporanea e cultura - dice- e per guardare al futuro ed essere produttivi, dobbiamo coinvolgere tutti i nostri musei».  

L’assessore comunale alla Cultura Maurizio Braccialarghe: «E’ un’occasione fra le più importanti al mondo che mette insieme tanta arte contemporanea». Secondo Guido Bolatto, segretario Camera di Commercio, parla «di grande ricaduta economica sul territorio, albergi e ristoranti pieni, sino a domenica».  

Tutt’attorno si scaldano i motori della ventunesima edizione Artissima che resterà aperta sino domenica 9 novembre articolata in sei sezioni, con 194 gallerie, di cui 137 straniere e 57 italiane. Tre le sezioni, Main Section, new Entries e Art Editions. Il tutto grazie naturalmente agli sponsor (Compagnia San Paolo, Fondazione Crt, Unicredit). Perché venire ad Artissima? La risposta arriva da Sarah Cosulich: «Perché qui ci sono i giovani e il meglio delle gallerie, una grande orchestra dove tanti solisti suonano un’opera perfetta. La novità di quest’anno sarà la performance. Che si potrà comprare, attraverso un certificato assicurandosi la possibilità di rimandarla in scena quando si vuole». In fiera quest’anno cinque premi diretti alle gallerie e tante iniziative dirette al pubblico come “walkie talkies” dialogo con il pubblico e il premio kway che verrà dato alla miglior fiera. Collezionisti da tutto il mondo arrivati a Torino per portarsi a casa una meravigliosa opere, e tante acquisizioni per i musei cittadini compresa la new entry del museo Ettore Fico. 

FONTE: Emanuela Minucci (lastampa.it)

mercoledì 5 novembre 2014

Tuyap Art Fair

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Si terrà dall’ 8 al 17 Novembre Tuyap Art Fair Istanbul, un incontro di artisti internazionali provenienti da tutto il mondo.
Parteciperà all’evento, con una selezione delle sue opere più rappresentative, l’artista Moreno Panozzo.
Designer di formazione Moreno Panozzo si occupa anche di architettura, design, moda, scenografia, grafica ecc. Lavora tra Milano e New York esprimendo la sua arte fortemente concettuale in tutto il pianeta. Attualmente la sua attività si concentra sulla bioarte mescolando materiali di riciclo a materiali nobili.
Concetti base della filosofia di quest’artista sono la ricerca dell’io interiore, la rappresentazione dell’anima in tutte le sue sfumature soprattutto quelle più impattanti e determinanti nella vita. Segni connotativi di questa esigenza espressiva sono i solchi, le tracce e le impronte simboli distintivi delle opere in continua mutazione che hanno reso famoso quest’artista nel mondo portandolo a collaborare anche con numerose riviste e a pubblicare diverse monografie.

 “…Ho la presunzione che le mie opere siano simili allo spazio siderale, lo spazio assoluto. Ho la presunzione che avvicinandosi alle mie opere ognuno possa vedere la propria anima riflessa. Ho la presunzione che ognuno di voi osservando le mie opere possa trovare ciò che va cercando…”. (Moreno Panozzo)


Tuyap Art Fair
Dal 8 al 17 novembre 2014
Tüyap Fair Convention and Congress Center, E-5 Karayolu Üzeri 
Gürpınar Kavşağı 
34500 Büyükçekmece - İSTANBUL
tel. +90 (212) 867 11 00



Moreno Panozzo  
Fabbrica Pensante
C/O EdificioSedici
Viale Sarca 336/f - 20126 - Milano (MI)
marta@morenopanozzo.com

A Roma 200 capolavori tra Secessione e Avanguardia


I più grandi artisti del primo Novecento nella mostra «Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915»

Quasi 200 opere, soprattutto dipinti firmati da alcuni dei più grandi artisti del primo Novecento, che ripercorrono un periodo di particolare fervore innovativo nel mondo artistico e intellettuale italiano: il decennio che ha preceduto lo scoppio della prima guerra mondiale. È la mostra «Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915» che si tiene fino al 15 febbraio alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Moltissimi quadri (160 circa) provengono da altri musei - nazionali e stranieri - mentre un’altra trentina è della Gnam, tra cui alcuni normalmente conservati nei depositi.  

La rassegna è di altissimo livello: ci sono capolavori come `Idolo moderno´ e `Nudo alle spalle´ di Umberto Boccioni, il `Girasole´ di Gustav Klimt, `Le dejeuner´ di Pierre Bonnard, `Piazza Duomo´ di Carlo Carrà, e altri dipinti straordinari come `Le doigt sur la joue´ di Kees van Dongen, `La preghiera´ di Felice Casorati, il «ritratto della Marchesa Casati» di Giovanni Boldini, `L’Aereo´ di Mario Sironi e le `bambine sul mare´ di Plinio Nomellini, oltre a importanti lavori di Gino Severini, Giacomo Balla, Ardengo Soffici e Giorgio De Chirico. L’obiettivo dell’esposizione è raccontare quegli anni tra il 1905 e il 1915 durante i quali le forze più giovani del mondo artistico si interrogarono sul concetto di modernità e di avanguardia contrapponendosi al consolidato sistema ufficiale delle esposizioni e rivendicando libertà espressiva e autonomia per quanto riguarda i canali espositivi.  

Questo dissenso si organizzò nell’ambito più ampio di quel movimento, chiamato Secessione, che nacque tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento a Monaco di Baviera, Berlino e Vienna con delle associazioni alternative alle accademie, fondate da artisti quali Klimt e Ferdinand Hodler. La mostra, curata da Stefania Frezzotti, racconta anche il ruolo di primo piano che l’Italia ha avuto nelle Avanguardie con il Futurismo guidato da Filippo Tommaso Marinetti, di cui è esposta l’opera `parole in libertà´. La rassegna, che rientra nel Programma ufficiale delle commemorazioni per il centenario della Grande Guerra della Presidenza del Consiglio dei ministri, raccoglie inoltre delle sculture in bronzo e in gesso di eccezionale fattura, come quelle di Felice Casorati.

FONTE: lastampa.it

martedì 28 ottobre 2014

Giacometti, l'arte e la scoperta del volto umano

Giacometti, l'arte e la scoperta del volto umano


La Gam ospita le sculture, i dipinti, i disegni realizzati fra gli anni '20 e '60. Il visitatore può conoscere l’evoluzione dell’artista, dagli inizi svizzeri all’atelier parigino. Fino al 1 febbraio


«Un tempo andavo al Louvre e i quadri o le sculture mi davano un’impressione sublime. Oggi se vado al Louvre non posso resistere a guardare la gente che guarda le opere. Il sublime oggi è per me nei volti più che nelle opere. Guardavo con disperazione le persone vive. Capivo che mai nessun artista potrebbe cogliere completamente questa vita. Era un tentativo tragico e risibile. Sono quasi allucinato dal volto delle persone». La pensava così Alberto Giacometti, originale artista svizzero che con fatica è assurto nell’Olimpo dei grandissimi del XX secolo. Milano lo presenta in questi giorni nella splendida cornice della Gam (Galleria d’arte Moderna) con la mostra promossa dal Comune e organizzata da 24Ore Cultura e dalla Gam. Curata dalla direttrice della Fondazione a lui dedicata, Catherine Grenier, ospita più di 30 sue opere che mettono in luce il ruolo fondamentale dell’artista nello sviluppo della scultura a livello internazionale e si articola in cinque sezioni che ripercorrono tutta la sua vita, dagli esordi negli anni venti agli anni sessanta. 

Nell'arte di Giacometti, al centro c'è l’essere umano che resiste comunque, in quanto grumo di materia  palpitante, spesso in tensione ascetica verso il cielo, e sembra che ci suggerisca il crollo dei valori umanistici, a cui si sostituisce solo la capacità di resistere.  Il percorso di Giacometti ha inizio in Svizzera, dove nasce il 10 ottobre 1901, figlio del poeta Giovanni.  Negli anni Venti si sposterà a Parigi dove apre uno studio con il fratello Diego, suo fedele compagno e assistente. 

La partenza per Parigi avrà un forte impatto su questo giovane creativo mai contento di sé,  nella seconda sala varie foto, mostrano quel periodo e l’artista con il suo sorriso gentile e discreto, i capelli ricci e scuri. Tra il 1930 al 1934 aderisce al gruppo surrealista e farà amicizia con Cocteau, nella seconda sala è presente il lavoro di quel periodo. All'inizio degli anni '40 stringe amicizia con Pablo Picasso, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il senso angoscioso dell'esistenza che definisce l'opera di Giacometti è stato particolarmente avvertito da J.-P. Sartre. Nella terza sala questo si avverte e la teoria di minuscole sculture filiformi, alcune alte appena dieci centimetri, sono una sorpresa per l'epoca. Dal 1942 vive a Ginevra, dove frequenta l'editore Albert Skira. Nel 1945 espone nella galleria-museo newyorkese di Peggy Guggenheim, Art of This Century. Lasciata Parigi, si dedica con alla ricerca di una scultura di «ressemblance», specie nella ritrattistica. È il periodo di opere su gesso, bronzo o tela, che si concentrano sui volti, sulle teste. 

Nel 1961 riceve il Premio per la Scultura al Carnegie International di Pittsburgh e, l’anno seguente, il Premio per la Scultura alla Biennale di Venezia, dove gli viene riservata un'area espositiva personale. Altre importanti mostre vengono allestite nel 1965 alla Tate Gallery di Londra, al Museum of Modern Art di New York, al Louisiana Museum di Humlebaek in Danimarca e allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Nello stesso anno il governo francese gli conferisce il Gran Premio Nazionale d'Arte. Il percorso della Gam si conclude con la scultura monumentale della maturità: i due metri e settanta di altezza della «Grande donna IV», la più grande mai realizzata dall'artista, lavoro drammatico che racchiude in se tutta la cifra stilistica dell’artista. «Cerco di copiare quel che vedo per raggiungere la rassomiglianza assoluta, per far vivere un certo sentimento delle forme che è interiore e che si vorrebbe proiettare all’esterno». Parola di Giacometti.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

sabato 25 ottobre 2014

Urbino rende omaggio a Tonino Guerra


                            “Amarcord Tonino Guerra, tra  poesia e polis

Mostra
5 dicembre 2014 / 16 marzo 2015
Sale del Castellare del Palazzo Ducale

Urbino rende omaggio a Tonino Guerra. Con una mostra dal titolo “Amarcord Tonino Guerra, tra poesia e polis”,  dal 5 dicembre 2014 al 16 marzo 2015, nelle Sale del Castellare del Palazzo Ducale  viene ricostruito l’intero continente creativo dell’autore scomparso tre anni fa, spaziando dal cinema alla poesia, dalla pittura ai progetti ambientali. 

A Urbino Tonino Guerra aveva studiato, e nell’università guidata da Carlo Bo aveva ricevuto i primi incoraggiamenti per l’avvio della carriera letteraria.  Il legame con la città di Raffaello era rimasto sempre vivo, e ora Vittorio Sgarbi, che a Urbino è Assessore alla Cultura, ha voluto costruire un percorso di approfondimento sull’opera di Guerra, programmando un ciclo di eventi che  presentano tutta la ricchezza  creativa dell’autore di Sant’Arcangelo di Romagna. Il pubblico scoprirà il lavoro di Tonino Guerra legato al mondo delle parole, quello dedicato  alle  immagini  e la poco nota produzione plastico-visiva.   

Le celebrazioni urbinati  coinvolgeranno artisti, testimoni e  colleghi di Guerra. Gli spazi espositivi intrecciano i linguaggi dell’autore con quelli di altri artisti del Novecento: Antonioni, Fellini, Tarkovskij, Wenders, Guarienti, Folon, Swarzmann, e molti altri maestri conosciuti e frequentati da Guerra durante la vita artistica.

L’esposizione documenta inoltre numerose carte inedite, tra cui vari carteggi, che hanno il compito di riordinare il vasto intreccio dei rapporti culturali, restituendo il profilo di una personalità difficilmente paragonabile ad  altre, almeno mantenendo il raffronto entro confini nazionali.


Info: www.comune.urbino.ps.it         /           www.facebook.it/citta.diurbino


Tel. 0722 – 309.222 / 309.602


Beatrice Giannotti
 
Servizio Cultura e Turismo
Comune di Urbino
Via Puccinotti, n. 33
61029 - Urbino (PU)
 
Tel. 0722 309 222