Palazzo delle esposizioni, mostra aperta fino all'11 luglio
Scriveva il critico francese Alain Jouffroy nel 1978, l’anno in cui si spense, il 20 dicembre, ad oltre novant’anni, l’inventore della pittura metafisica: “Giorgio de Chirico è oggi, a novant’anni, il pittore glorioso più solitario e meno compreso del mondo”. Ora, a più di trent’anni di distanza, Giorgio de Chirico è ancora, per molti versi, il pittore meno compreso del mondo, ma è sempre più glorioso, glorioso e trionfante, trionfante su tutti coloro che lo avevano avversato in Italia e fuori d’Italia sin dall’inizio della sua attività artistica.
Ne è una riprova schiacciante la mostra che è stata inaugurata il 9 aprile, con il titolo “La Natura secondo de Chirico”, al Palazzo delle Esposizioni (Via Nazionale 194), a cura di Achille Bonito Oliva, in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, di cui è presidente Paolo Picozza, il quale fa notare nel suo scritto in catalogo (Federico Motta Editore) che l’idea di Natura per l’inventore della pittura metafisica “va presa nel senso più lato possibile”.
Divisa in sette zezioni, la mostra si dispiega dagli anni Dieci (la “Lotta dei Centauri” è del 1909), agli anni Trenta, per ben 140 quadri, da “Le temple fatal” (1914) a “Le muse inquietanti”(1925), da “I bagni misteriosi”( 1935-36) a “Piazza d’Italia con fontana”(1954), da “Interno metafisico con paesaggio romantico”(1968) a “Spettacolo misterioso” (1971).
Non mancano, ovviamente, le nature morte, che Giorgio e Isa de Chirico preferivano chiamare “nature silenti”. Jean-Paul Sartre diceva che Giacometti era l’unico pittore moderno che avesse dipinto il vuoto, ma de Chirico aveva dipinto non solo il vuoto, ma anche il silenzio, al quale aveva dedicato due quadri, “La torre del silenzio”(1937) e “La Musa del silenzio”(1973). Negli ultimi due anni erano state dedicate a de Chirico tre mostre, due di quadri a Roma e Parigi e una di disegni a Roma, ma quella in corso al Palazzo delle Esposizioni è la più imponente e la più affascinante, fors’anche di quelle che gli erano state organizzate nel passato, sia quando era in vita che dopo la morte.
Questa mostra dimostra perentoriamente che de Chirico, come non si stancava di dire, non aveva mai abbandonato la pittura metafisica, con la quale all’inizio del secolo aveva conquistato Parigi, la capitale mondiale dell’arte. Segno di contraddizione dell’epoca, esaltato e misconosciuto, osannato e denigrato, acclamato e vilipeso, Giorgio de Chirico era stato dato più volte per morto dai critici, come diceva egli stesso, ma ogni volta era resuscitato più vivo e vitale di prima.
Non c’è altro caso in tutta la storia dell’arte di un pittore che abbia scritto e detto ciò che pensava, ossia tutto il male possibile, dei pittori moderni, delle istituzioni ufficiali, dei soprintendenti o dei direttori dei musei, dei critici, persino dei critici che scrivevano bene di lui o che ne apprezzavano l’opera, e sia uscito non sono indenne ma vittorioso dal turbine delle polemiche. E’ lunga la lista dei suoi “nemici”: Roberto Longhi, che nel 1919 gli aveva inflitto una stroncatura micidiale, che avrebbe stroncato la carriera di qualsiasi altro artista; Breton, Eluard, Aragon e compagni, i quali dopo averlo salutato come un artista nuovo e originale, nel 1926 avevano scritto su “Revolution Surrealiste”, in un numero listato a lutto e una grande croce nera: “E’ deceduto Giorgio de Chirico pittore surrealista”; coloro che in Italia, sull’esempio dei necrofori francesi, lo avevano vivisezionato, facendolo oggetto d’una operazione di bassa macelleria critica: ottimo il de Chirico prima del 1917, pessimo il de Chirico dei periodi successivi; Max Ernst, che aveva trovato la propria strada dopo aver visto su “Valori Plastici” la riproduzione di tele metafisiche di de Chirico, ma non aveva esitato a descrivere il suo maestro ancora in piena forma come “un vecchio debole, completamente asessuato, con guance cadenti e il pallore di un uomo quasi morto”; Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan, che lo consideravano un pittore reazionario” e non gli avevano mai aperto l’accesso alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la prima bollata da de Chirico come “la Pentesilea di tutte le croste e di tutti i crostoni”, il secondo da Marino Mazzacurati con il motto: “Mi piego ma non mi spiego”. Benché sindaco di Roma, Giulio Carlo Argan si era astenuto dal partecipare ai funerali di Giorgio de Chirico, che la critica internazionale considera oggi uno dei massimi pittori, insieme a Picasso e Matisse, del ventesimo secolo.
Si consiglia di vedere la mostra, che resterà aperta sino all’11 luglio, in una giornata qualunque, con calma, senza la folla che c’era la sera dell’inaugurazione, anche perché le luci, forse allestite da uno stilista mondano, illuminavano più gli abiti delle signore che i quadri. Alla mostra di de Chirico si accompagnano quelle di Giulio Paolini e Mimmo Jodice, curate da Daniela Lancioni e Ida Gianelli.
FONTE: ilmessaggero.it
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