«Collezioni d’Arte» celebra con 50 ospiti internazionali il matrimonio tra il mercato e la seduzione della raccolta
Ci sono angeli tesi nella lotta contro il Drago, Apocalissi che squarciano fondi in oro, fini arazzi da cui affiora lo Zodiaco. E poi coppe in maiolica, specchiere opache, scrivanie in radica. È un piano sequenza mosso: si passa da un bracciale in platino a un vaso in vetro, fino a una miniatura cinquecentesca. Paesaggio multiforme che illustra un’antica ossessione: il collezionismo. Dal 5 al 9 maggio Milano diventa il crocevia di questo universo polimorfo: alla Permanente, con il sostegno del Fai, torna «Collezioni d’Arte».
Cinquanta galleristi-collezionisti, impegnati da anni nella ricostruzione fedele di piccoli mondi: la grazia della pittura borghese seicentesca, l’energia delle maioliche umbre, il rigore della gioielleria francese anni Venti. Missionari votati a un culto sottilmente maniacale ricercano i frammenti di un discorso sulla bellezza: quella scrivania, quell’arazzo, quella tela. È questa ricerca dell’unicità che impreziosisce, per esempio, il «San Michele e il drago» di Niccolò da Voltri, della Galleria Sarti. Soggetti con fondi in oro, come nel «Noli me tangere» di Antonio da Atri. Con le collezioni «si ritrova l’identità» italiana, dice Mina Gregori, presidente della Commissione Scientifica. Per l’avvocato Cesare Rimini, del Comitato d’onore, i collezionisti «a volte studiano più degli studiosi». È da questo timore per l’incompletezza che nasce la fine documentazione che è all’origine di queste raccolte, come quelle sul Settecento. In mostra si vedranno le nature morte tedesche di Art Collector o i ritratti di Gallo Antiquario (con inquadratura di tre quarti, tipica dell’epoca).
È quel «rapporto di un uomo con le cose come surrogato di altri contatti» che seduceva Chatwin: ed è forse dall’ambizione dei collezionisti alla compiutezza perfetta che nascono selezioni come quelle delle opere del Cinque-Seicento. Ma è la contaminazione tra generi forse il lato più affascinante di questa passeggiata nelle ossessioni dei mercanti. E così, tra le tele rinascimentali, spuntano gli arazzi di Diego Comero o gli intarsi del maestro ebanista milanese Giuseppe Maggiolini. Da Londra arrivano gli argenti di Koopman; da Venezia Copercini e Giuseppin presentano sedie ottocentesche in legno ebanizzato. «Gli antiquari, selezionati per inviti, sono fra i migliori d’Europa», spiega Domenico Piva, presidente del Comitato. E trovano spazio anche piccole «mostre nella mostra », come la selezione di dipinti dell’avanguardia russa di Capitani Art Gallery o una serie di opere di Sironi, proposta dalla bolognese Galleria Cinquantasei. Alla Permanente si incroceranno quindi due mondi: la cultura e l’economia. Perché, come sottolinea Daniele Benati della Commissione Scientifica, «se la richiesta collezionistica è colta, l’offerta del mercato aumenta ».
FONTE: Roberta Scorranese (corriere.it)
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