Il più inquietante? Quei 'Quattro elementi' di Adolf Ziegler, che Hitler teneva appeso sul caminetto nella sua residenza ufficiale di Monaco. «Un quadro nazista che esprime in pieno i concetti della pura razza ariana, per la prima volta esposto in Italia», spiega Antonello Negri, con Silvia Bignami, Paolo Rusconi e Giorgio Zanchetti, curatore della mostra 'Anni Trenta, arti in Italia oltre il fascismo' .
Professore, perché la scelta di questo decennio cruciale?
«Abbiamo deciso di affrontare un periodo relativamente trascurato proprio in quanto legato ai regimi nel nostro Paese e in Europa, mentre Susanna Ragionieri si è occupata della sezione fiorentina».
Con quale obiettivo?
«Assumere l’ottica degli anni Trenta, capire come i giornalisti, i critici di allora guardavano l’arte italiana».
E come la guardavano?
«Dividendola in centri artistici: Milano (legata all’Europa e a Parigi), Roma e il suo realismo magico e purista, Firenze, raffinata e Torino, che guardava alla Francia».
Novantasei dipinti, 17 sculture, 20 oggetti di design: come avete studiato il percorso?
«Le prime due sale sono dedicate appunto ai centri artistici, proponendo opere molto conosciute negli anni Trenta, esposte alle Biennali di Venezia o alle Quadriennali di Roma, caratterizzando ciascuno per una tendenza di stile o di gusto: il gruppo di Milano, con le figure dominanti di Sironi, Martini e Carrà e protagonisti del novecentismo in tutte le sue sfaccettature come Wildt, Tosi, Funi; Firenze con Soffici, Rosai, Lega e Viani; Roma, divisa tra classicismi e realismi (Donghi, Carena, Ceracchini); la Torino di Casorati, che guarda anche alla Francia (Chessa, Menzio, Paulucci, Mori)».
Segue la sezione dedicata ai giovani artisti: come hanno rinnovato l’arte italiana?
«Anche in negativo, nel senso che facevano una pittura che usciva dai canoni stilistici del naturalismo: Guttuso, Pirandello, Maraini, Sassu, Prampolini, considerati 'degenerati' dal regime».
Quindi l’esposizione diventa decisamente più tematica.
«Sì: la sezione 'artisti in viaggio' propone capolavori di De Chirico, De Pisis, Tozzi, quella dedicata all’arte pubblica ha come maestro-simbolo Mario Sironi. E poi spazio ai mezzi di comunicazione rivoluzionari come la radio, il cinema, le riviste illustrate, e fino alla riproduzione industriale degli oggetti all’insegna di un design da made in Italy».
Da non perdere?
«La 'Donna al sole' di Arturo Martini, e 'Donna al caffè' di Antonio Donghi (immagine-copertina della mostra), ma anche il 'Figliol prodigo' di Alberto Savinio e le 'Zingare' di Massimo Campigli, la 'Piovra' di Scipione e i 'Buoi' di Viani, l’'Amaca' di Felice Carena e il 'Montale' di Peyron, i 'Giovani in riva al mare' di Gentilini e la 'Statua naufragata' di Nathan, lo 'Schermidore' di Del Bon e i 'Giocatori di polo' di Birolli, oltre a dipinti alle due figure di Fontana e le sculture di Ghiringhelli e Radice».
E la sua opera preferita?
«Il 'Soldatino francese' di De Pisis accanto al ritratto che Levi fece del maestro. Un accostamento felice».
FONTE: Letizia Cini (qn.quotidiano.net)
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