domenica 31 gennaio 2010

Boltanski uno straccio di memoria


La navata centrale del Gran Palais, costruita per l’Esposizione Universale del 1900, è un’immensa struttura vuota, senza interruzioni, di 13.500 metri quadrati con una copertura in ferro-vetro che arriva a 35 metri di altezza. Qui ogni anno, nell’ambito del progetto «Monumenta», un solo grande artista viene invitato a progettare un'esposizione che coinvolga tutto lo spazio. È una sfida molto difficile, già affrontata nel 2007 da Anselm Kiefer e nel 2008 da Richard Serra con successo (anche se con qualche rischio di eccessiva e ridondante spettacolarità). È la volta ora di Christian Boltanski, che ha avuto il coraggio e la capacità di elaborare una gigantesca e articolata installazione che nel suo insieme forma un’opera unica, e che sviluppa in modo tragicamente monumentale (ma senza slittamenti retorici) i temi fondamentali del rapporto fra vita e morte, dell’esistenza umana individuale e collettiva, della memoria e dell’oblio, del quotidiano e della storia, del passato e del presente. Per far questo Boltanski va per certi aspetti al di là dei mezzi specifici dell’artista plastico, e lo fa riuscendo a creare un lavoro la cui tensione espressiva deriva da un intenso coinvolgimento di tutto lo spazio fisico che entra, anche letteralmente, in risonanza estetica con gli oggetti e i materiali collocati al suo interno. E per essere precisi bisogna dire che si tratta, per lo spettatore, di un’esperienza che viene vissuta in modo sinestetico, non solo attraverso la vista ma anche attraverso altre stimoli sensoriali, soprattutto quelli sonori oltre a quelli legati alla temperatura freddissima dell’ambiente. Lo stesso pubblico che guarda e cammina di qua e di là diventa parte integrante dell’evento. Non a caso il titolo della mostra Personnes (che in francese significa «persone», ma suona anche come personne e cioè «nessuno») fa riflettere sulla dialettica fra presenza e assenza, fra individui viventi e tracce di persone scomparse. L’artista, che da anni è autore di installazioni al confine fra arti plastiche e opere con valenze teatrali e sonore, ha realizzato una messa in scena allo stesso tempo essenziale, povera e spettacolare, utilizzando in modo integrato anche precedenti lavori. Entrando la vista della navata è chiusa da una lunga muraglia formata da centinaia di scatoloni in ferro arrugginiti e numerati (contenitori di inquietante e enigmatica suggestione). Superata questa barriera ci troviamo davanti a una vasta distesa di vestiti multicolori posati per terra, inquadrati in una ordinata scansione seriale di settori (esattamente 23 per tre file) delimitati ai quattro lati da pali in ferro e illuminati da freddi tubi al neon. Questa distesa di pali e vestiti, che fa venire in mente un cimitero o un campo di concentramento, occupa in larghezza tutta la superficie. Al di là di questo paesaggio desolato al centro, si innalza fino a venti metri un enorme cumulo sempre di vestiti multicolori. Una minacciosa mano meccanica artigliata di una gru, periodicamente afferra un mucchio di vestiti, li solleva in alto e poi li fa cadere. I vestiti svolazzando come patetiche anime morte ricadono inesorabilmente nel mucchio. L'azione della mano ferrata può essere interpretata come quella del fato, della falce della morte o, per chi ci crede, di un’entità divina. L’effetto è allo stesso tempo affascinante e tragicamente poetico. Insieme al movimento lento della gru e a quello dei vestiti che cadono, la dimensione temporale entra in giuoco con più vitale tensione attraverso la «colonna sonora» dell’esposizione che fa risuonare tutta la vuota cavità.

MONUMENTA 2010
PARIGI, GRAND PALAIS
DAL 13 GENNAIO AL 21 FEBBRAIO

FONTE: lastampa.it

venerdì 29 gennaio 2010

Codici, totem, riti e tribù ecco l'arte aborigena oggi


A Roma, a Palazzo Incontro, una mostra racconta l'arte contemporanea dei nativi australiani. In scena, oltre duecento opere di 137 artisti delle tribù più arcaiche del continente. Con la loro cultura esoterica


Ciocche di capelli o bastoncini di legno masticato come pennelli. Argille, carboni fossili, succhi d'erbe e bacche selvatiche come colori. La corteccia di eucalipto, la carta riciclata, i batik e tele come supporto. Segni e forme enigmatiche a celare significati profondi, a evocare secondo un codice per soli iniziati le leggende ancestrali del Tempo del Sogno. Quel tempo popolato di dei, eroi e miti che precede la genesi, l'inizio della creazione e dello scorrere della vita sulla terra. E' l'arte contemporanea aborigena, prodotta da piccoli grandi artisti che lavorano in atelier fatti di terra e cielo, natura selvatica e stelle. Sono i capolavori aborigeni che lascia scoprire la bella mostra "Australia Today" in scena a Palazzo Incontro fino al 7 marzo, curata dalla National Gallery Firenze diretta da Luca Faccenda e promossa dalla Provincia di Roma. Protagoniste, oltre duecentoventi opere di ben centotrentasette artisti rappresentativi delle tribù più arcaiche d'Australia caratterizzate tutte da un linguaggio totemico, un complesso sistema di simboli criptici mai causali ma perfettamente orchestrati con uno strabiliante linguaggio espressivo, virtuoso e suggestivo. La cui interpretazione è un viaggio arduo nel mistero. A tratti può sembrare un gioco di cromatismi astratti alla Matisse, altre una figurazione fumettistica alla Keith Haring, altre ancora una bizzarria alla Paul Klee, se non addirittura un primitivismo tanto caro a Picasso. Ma è il "loro" linguaggio, originale e genuino, dove i pattern geometrico-astratti ma anche fitomorfici sono animati da un colore forte, acceso, intenso, a tratti cangiante e sofisticato nelle sfumature. "Un colore che colpisce, è vero, ma in un popolo che non conosce la scrittura, il colore deve esprimere, come un aggettivo o un sostantivo, un concetto, un sentimento, un'emozione", racconta Luca Faccenda che da tre anni porta avanti un progetto di ricerca sull'arte aborigena. "L'operazione espositiva è nata tre anni fa - racconta Luca Faccenda - dopo aver avuto i permessi per avvicinarci alle tribù e soprattutto dopo essere riusciti a carpire la loro fiducia a conquistarne il rispetto, e ad essere accolti. Siamo stati ricevuti dal capo tribù di Djabugai, e abbiamo passato quattro mesi di convivenza con loro anche mangiando larve cotte e bevendo acqua scavata sottoterra, dopo aver attraversato il deserto di Gibson e imparato a resistere alla sete. Siamo diventati della loro tribù, il mio nome è 'Troppe domandè tradotto dall'aborigeno". Secondo la cultura aborigena, se gli esseri mitici provenienti dal Tempo del Sogno non venissero celebrati la natura cesserebbe di esistere. Allora, ecco quasi come una sorta di Cappella Sistina dell'Australia aborigena, l'opera di Gary Simon Jagamarra, una grande tela che condensa secondo uno schema arduo da decifrare tutte le storie del Tempo del Sogno. "Dipingere è spiegare un rito", avverte Faccenda. La mostra, dunque, offre l'occasione per scoprire da vicino la complessa cultura australiana, quella animata di leggende e riti ancestrali d'iniziazione, del culto profondo per le forze della natura e quella popolata da personaggi mitologici a metà tra uomini e animali e uomini e piante. Dove anche la donna occupa un ruolo molto importante, depositaria unica di antichi riti. Se la caverna dell'iniziazione maschile dove avviene il passaggio dalla pubertà alla maturità emerge nelle forme astratte di Ronnie Tjampitjinpa che sembrano i piani colori di Mark Rothko, il rito dell'acconciatura dei capelli prima della ricerca della patata selvatica, oggetto prezioso di cui si nutrono è raccontato nelle trame ondulate da Gloria Tamerre Petyarre. Quasi il 90 per cento delle opere in mostra proviene direttamente dagli artisti incontrati da Faccenda o dalle famiglie eredi di quelli scomparsi, e solo una piccola parte è stata prestata da collezioni private o pubbliche. "La mostra vuole rivelare come uomini e donne analfabeti con un semplice bastoncino di legno e colori vegetali - dice Faccenda - possono ricreare sensazioni ataviche". Ci sono Rover Thomas, Clifford Possum, ma anche di donne Judy Watson Napangardi e Nancy Nungurrayi, (alcuni considerati oggi i Picasso e i Mondrian d'Australia, artisti che oggi sono molto quotati, con opere in mostra assicurate per centinaia di migliaia di euro). "Anzi - ironizza Faccenda - mi vien da pensare di fronte a questa antica tradizione d'arte aborigena che forse sono stati più loro, gli occidentali, a buttare un occhio a queste opere".

Notizie utili - "Australia Today", fino al 7 marzo, Palazzo Incontro, via dei Prefetti 22. Roma
Orari: tutti i giorni 10-19, chiuso lunedì.
Ingresso libero
Catalogo: National Gallery Firenze.

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

giovedì 28 gennaio 2010

Alessandro Preziosi debutta al Teatro Quirino


26 gennaio. 7 febbraio

KHORA.teatro

Alessandro Preziosi

AMLETO

di William Shakespeare

traduzione Eugenio Montale

riduzione e adattamento Armando Pugliese

con Carla Cassola, Ugo Maria Morosi, Francesco Biscione, Silvia Siravo

scene Andrea Taddei

costumi Silvia Polidori

musiche Massive Attack, Zero P:M

luci Valerio Tiberi

regia Armando Pugliese

Classico shakespeariano, con il quale ogni artista sogna di confrontarsi almeno una volta nella carriera, Amleto si veste di contemporaneità in questa versione snella e moderna curata da Armando Pugliese che guida Alessandro Preziosi nella sua prova d’attore più matura. Mettere in scena la tragedia del principe di Danimarca è un tentativo per meglio analizzare il tempo che stiamo vivendo, riflettendo sulle dinamiche che lo muovono. L’attenzione della regia si posa sulla posizione culturale e politica di Amleto all’interno della corte: il principe è superiore per cultura ai suoi compagni di studi che lo attorniano e lo consigliano; il suo dubbio deriva da questa superiorità, dalla volontà di far corrispondere la vendetta alla certezza della giustizia, dalla consapevolezza che non sempre l’intenzione può portare ad un’azione limpida ed efficace. La corte, nella quale un posto di spicco è occupato dalla famiglia di Polonio, è , quindi, l’altro vertice della dialettica che conferisce senso e scopo all’agire contro di Amleto. La corte, nella quale un posto di spicco è occupato dalla famiglia di Polonio, è , quindi, l’altro vertice della dialettica che conferisce senso e scopo all’agire contro di Amleto. Pugliese e i suoi attori leggono Shakespeare trasformando il dramma personale del principe danese in universale riflessione sulle difficoltà che ogni giovane incontra nel perseguire le proprie aspirazioni, senza lasciarsi sopraffare dall’ambizione, dal confronto coi padri, dalla corruttibilità dell’esistenza che cambia e si evolve continuamente.


Ufficio Stampa Teatro Quirino

Paola Rotunno Responsabile

stampa@teatroquirino.it


uf


Concerto Hard Chords Trio

31 gennaio 2010 - Domus Talenti - Via Quattro Fontane,113 - Roma

Domenica 31 gennaio si esibiscono alla Domus Talenti di Roma gli Hard Chords Trio, uno dei gruppi più interessanti del nuovo panorama jazzistico della capitale. Grazie alla creatività ed all'originalità degli arrangiamenti, il trio ha rielaborato alcuni dei più celebri successi della musica rock internazionale, rendendoli propri e mostrando una volta di più come la musica sia un unico grande flusso in perenne movimento. Dai Rolling Stones, ai Nirvana, ai Police e molti altri, gli Hard Chords Trio vi accompagneranno in un viaggio affascinante tra ricordi e innovazione.

Demo e info possono essere trovati sul sito http://www.myspace.com/hardchordstrio.

Chi ha avuto la possibilità di ascoltare gli Hard Chords Trio dal vivo non ha potuto fare a meno di farsi trasportare dal loro spettacolo. Catturando l'attenzione degli spettatori con alcune tra le melodie più celebri della musica rock di tutti i tempi, il gruppo li porta a livelli di esperienza musicale via via più profondi, passando dalla rassicurante familiarità e rilassatezza dei temi alla tensione delle improvvisazioni, amalgamando le caratteristiche così apparentemente distanti dei due generi musicali in un unico, appassionante flusso sonoro.

Gli Hard Chords Trio sono:

Lorenzo Ditta - piano

Paolo Grillo - contrabbasso

Davide Pentassuglia - batteria

Santa Sofia, torna lo splendore


Dopo 17 anni di restauri, rimosse le impalcature dalla cupola

La sua storia è lunga 1700 anni, a cavallo tra fedi e culture diverse, ma la basilica dedicata alla Santa Sapienza (Hagia Sophia) da oggi torna a vita nuova, in un momento quanto mai importante per la città che la ospita, Istanbul. Santa Sofia, oggi un museo dopo essere stata chiesa e moschea, è considerata uno dei monumenti più importanti nella storia dell'umanità, ed è l'edificio-simbolo della megalopoli sul Bosforo, che proprio la scorsa settimana è diventata capitale europea della cultura per il 2010. Ma per molti la vera inaugurazione sarà oggi. L’antica basilica bizantina infatti verrà restituita agli oltre due milioni di turisti che la visitano ogni anno in tutta la sua sfolgorante bellezza, con la cupola restaurata e interamente visibile per la prima volta dopo 17 anni. L'operazione è stata condotta dalla direzione del Museo di Santa Sofia e dal ministero della cultura turca. Oltre alla decorazione della cupola sono state interessate dall'intervento anche le arcate delle finestre e soprattutto i pennacchi, che hanno riportato alla luce il viso dei quattro angeli di epoca bizantina, nascosto per 160 anni. Un lavoro da veri certosini, compiuto grazie al materiale iconografico in possesso della direzione su come fosse la Basilica nei secoli precedenti. Attualmente sono sotto restauro l'esonartece e il nartece, le due anticamere della basilica vera e propria. La sua storia inizia nel 337 d.C., quando l'imperatore Costantino volle costruire la cattedrale della nuova capitale dell'Impero Romano d'Oriente, che prendeva il nome da lui: Costantinopoli. Distrutta due volte, fu ricostruita per volere di Giustiniano e di sua moglie Teodora, i cui monogrammi sono ancora oggi visibili sui capitelli che costeggiano la navata centrale. I lavori durarono dal 532 al 537. Secondo gli storici l'imperatore, che voleva superare in maestosità il tempio di Re Salomone a Gerusalemme, girò per gli sterminati territori dell'impero per scegliere personalmente i materiali più preziosi per il nuovo edificio. Il giorno della sua consacrazione, il 27 dicembre, Santa Sofia diventava non solo un punto di riferimento per tutta la Cristianità, prima dello scisma del 1054 che divise cattolici e ortodossi, ma il simbolo stesso dell'impero. Il compito di edificarla era stato affidato a Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto. Si trattava di un'impresa veramente titanica per quei tempi, tanto che Santa Sofia rimase per secoli il monumento più grande del mondo. Ma con un destino difficile. Le sue dimensioni enormi, in particolare quelle della sua cupola dal diametro di 31 metri, e il territorio sismico su cui sorge Istanbul, misero a dura prova la struttura fin dall'inizio. Dopo la presa di Costantinopoli da parte di Maometto II il Conquistatore, i lavori di consolidamento furono affidati a Sinan, il più importante architetto ottomano, che la mise in sicurezza. Nei suoi 1700 anni di vita, il tempio ne ha viste di tutti i colori. Dagli sfarzi e le congiure dell'Impero bizantino, al saccheggio durante la quarta crociata nel 1201, dalla presa degli ottomani alla sua trasformazione in moschea. Nel 1934 Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore dello stato laico e moderno, la tolse al culto musulmano, e insieme con San Salvatore in Chora, altro grande monumento di epoca bizantina, la dichiarò museo, patrimonio di tutte le genti e le fedi. Ma continua a rimanere il simbolo per eccellenza della sovrapposizione di culture diverse e a volte del loro scontro. Tre anni fa alcuni quotidiani gridarono allo scandalo perché su uno dei suoi minareti era stato montato un altoparlante per trasmettere il richiamo alla preghiera islamica. Nel 2006, pochi giorni prima della visita di Benedetto XVI in Turchia, un gruppo di estremisti occupò simbolicamente l'edificio, stendendo tappetini rivolti verso la Mecca. E ancora oggi, di tanto in tanto, è possibile assistere a qualche incursione di fedeli, che entrano e stendono per terra un tappetino per accingersi alla preghiera, costringendo gli agenti della sicurezza a intervenire. Oggi Santa Sofia ha un compito quanto mai impegnativo: imporre Istanbul all'attenzione europea come una capitale della cultura moderna e cosmopolita, in grado di parlare anche a nome di un Paese, la Turchia, che bussa alle porte dell'Europa.

FONTE: Marta Ottaviani (lastampa.it)

martedì 26 gennaio 2010

ESPRIMERE LE PROPRIE EMOZIONI ATTRAVERSO PENNELLI E COLORI


LABORATORIO DI PITTURA AL REGINA ELENA E SAN GALLICANO

Dal 27 Gennaio in collaborazione con la Libera Accademia di Belle Arti di Roma

“Un colore al giorno” è il Laboratorio di pittura dedicato agli ospiti degli Istituti Regina Elena (IRE) e San Gallicano (ISG), nato dall’accordo tra Fabio Mongelli, Direttore della Libera Accademia di Belle Arti di Roma (Rome University of Fine Arts - R.U.F.A.) e Francesco Bevere, Direttore Generale IRE ed ISG. A partire dal 27 Gennaio i pazienti degli Istituti, piuttosto che rimanere nei reparti di degenza, potranno esplorare il mondo dell'arte, delle sue tecniche e dei suoi simboli ed esprimersi attraverso un linguaggio non verbale, fatto di colori ed espressione creativa. “Un colore al giorno” vuole essere un Laboratorio speciale, un momento di evasione e di contatto umano tra le persone che condividono gli stessi problemi, un’occasione per canalizzare la loro carica emotiva, spesso segnata dall’ansia e dal disagio, nell’attività creativa. Il “corso di pittura”, della durata di un’ora e trenta, si svolgerà due volte a settimana fino al mese di maggio e sarà tenuto dai docenti del Dipartimento di Arti Visive della Scuola di Pittura della Libera Accademia di Belle Arti di Roma. “Le persone colpite da una malattia così importante – sottolinea Francesco Bevere, Direttore Generale degli Istituti Regina Elena e San Gallicano - spesso presentano un forte disagio emotivo ed affrontano con difficoltà il rapporto con il proprio corpo, con la sofferenza, le relazioni familiari, sociali e professionali, che in alcuni casi risultano compromesse. In tal senso gli Istituti Regina Elena e San Gallicano stanno da tempo promuovendo iniziative per i loro assistiti, soprattutto ricoverati, volte anche a sostenere e salvaguardare la dignità e l’integrità della Persona. Il laboratorio di pittura, nato dalla collaborazione con la Libera Università R.U.F.A., intende essere di supporto ed avvicinamento alla “normale quotidianità”, ed ha la funzione di stimolare la socializzazione e il confronto, creando nuove possibilità di contatto, di scambio umano e di svago. Naturalmente questo percorso è supportato e monitorato da personale specializzato dei nostri Istituti.” Con il laboratorio di pittura “Un colore al giorno”, si aggiunge un ulteriore tassello al percorso di “umanizzazione” avviato presso gli Istituti IRE ed ISG a Marzo scorso. Sono state promosse fino ad oggi molteplici iniziative orientate in tal senso: dall’adeguare l’orario dei pasti a tempi più simili a quelli che scandiscono le giornate fuori dall’ospedale; alla rassegna “Pensieri in musica”, progetto nato quasi un anno fa; all’angolo delle curiosità letterarie; al cinema, presso una sala dedicata, con cadenza bisettimanale. Molte altre iniziative sono già in corso d’opera ed altre in cantiere, perché per umanizzazione non si può intendere un intervento isolato, bensì un percorso in continua evoluzione, volto a sostenere e salvaguardare la Persona nella sua integrità e nel pieno rispetto della sua dignità. Le lezioni del Laboratorio “un colore al giorno” – spiega il Prof. Fabrizio Dell’Arno, Coordinatore del Corso - saranno scandite da tre momenti principali: inizialmente un docente proporrà a tutti i partecipanti un tema su cui lavorare, seguirà quindi la produzione artistica vera e propria, individuale o di gruppo, favorita da suggerimenti tecnici relativi alla pittura ed alla teoria di base del colore. Un momento di scambio e di condivisione dell’esperienza creativa vissuta concluderà le lezioni. ” Il materiale didattico sarà oggetto di una pubblicazione e di una mostra dedicata. L’eventuale ricavato dell’iniziativa sarà utilizzato per sostenere altre attività di umanizzazione.

FONTE: Ufficio Stampa IFO (Lorella Salce e Simona Barbato)

domenica 24 gennaio 2010

Disegno di Pratt venduto a 247mila euro

L'illustrazione di copertina di «Corto Maltese en Sibérie» battuta all'asta a Parigi lo scorso 21 novembre

Mezzo miliardo di vecchie lire per un disegno. Non è un Goya, né uno Schiele, né un Warhol. È l'opera di un fumettista, Hugo Pratt, il creatore di Corto Maltese scomparso nel 1995. Il marinaio che da oltre 40 anni fa sognare i suoi lettori ha catturato col suo fascino un ricco acquirente: il lotto 487 dell'asta intitolata «Comic strips» è stato aggiudicato il 21 novembre, a Parigi, presso Artcurial, per 247mila euro. Si tratta dell'illustrazione di copertina di «Corto Maltese en Sibérie» (Casterman, 1979), edizione francese di “Corte sconta detta arcana” (Milano Libri, 1979). Il disegno, una tecnica mista 64x49,5 centimetri, era inizialmente quotato fra i 90 e i 120mila euro. Ritrae Corto Maltese insieme ad alcuni personaggi del fumetto: la rivoluzionaria Shangai Lil, la contessa Marina Semenova e l'amico-nemico Rasputin, ricavato dalle sembianze del personaggio storico. Protagonisti di un'avventura che si svolge in Mongolia nel 1919-20, fra comunisti, guardie bianche e un ufficiale zarista che si crede la reincarnazione di Gengis Khan.

ASTE DA RECORD - Non è la prima volta che i fumetti fanno registrare aste da record. Un altro Pratt, la copertina de «Le etiopiche», fu aggiudicato per una cifra ancora maggiore, 300.830 euro, sempre ad Artcurial, nel marzo 2008. Nella stessa occasione fu stabilito il primato mondiale per l'opera di un fumettista: 764.218 euro per la copertina di «Tintin en Amérique», firmata dal belga Hergé. Artcurial, fondata nel 1920, si occupa di arte moderna e contemporanea, ma dal 2005 bandisce aste anche per tavole originali di fumetti. Ne ha fatto invece una specialità Sergio Pignatone, il titolare della casa d'aste torinese Little Nemo: «Il nostro è un mercato che cresce con la crisi”, dice, “chi un paio d'anni fa ha comprato gli originali di grandi maestri come Pratt, Manara, Crepax, oggi spesso rivende al doppio della cifra investita». Sempre il 21 novembre un altro disegno di Pratt, la copertina de «La maison dorée de Samarkand» (Casterman, 1986), è stato battuto per 99.100 euro, mentre un disegno in bianco e nero del fumettista belga André Franquin è stato aggiudicato a 150mila euro.

FONTE: Alessandro Trevisani (corriere.it)
foto: copertina originale di “Corto Maltese en Sibérie”, di Hugo Pratt © Cong SA, Losanna

sabato 23 gennaio 2010

In mostra a Roma gli artisti italiani amati da Peggy Guggenheim


Chi era Peggy Guggenheim? Non c’è quasi italiano adulto che non la ricordi. Era la più grande collezionista di arte moderna su scala planetaria. Amava l’arte a tal punto da mettere a disposizione di coloro che la creavano, ossia degli artisti, tutta se stessa, come suol dirsi, cioè la propria anima e il proprio corpo, anche se, come la Giustina di Durrell, non sapeva dove fosse la propria anima. In parole meno oscure, aveva collezionato non meno amanti che artisti, era una samaritana, una santa laica e moderna, una sorta di Maria di Magdala prima che Cristo scacciasse i diavoli dal suo corpo. Ma era anche spiritosa. «Non c’è male per una che sta per morire», aveva risposto a Gore Vidal che le aveva chiesto come stava, alludendo ai disturbi alle arterie di cui soffriva. Era morta nel I979, a 81 anni, a Venezia, la città che l’aveva stregata, ed è sepolta nel giardino della Fondazione porta il suo nome. Ora, a trenta anni dalla scomparsa, Floriana Tondinelli, che dirige la Galleria sita nel Complesso Monumentale di San Carlino, presso la famosa chiesa del Borromini (Via Quattro Fontane 128), le ha reso omaggio esponendo opere degli artisti italiani che Peggy più amava. Ci sono i nomi più vari e più prestigiosi della seconda metà del ventesimo secolo. De Chirico,Vedova, Santomaso, Pomodoro, Sironi, Fontana, Clerici, Consagra, Afro, Mirko, Dova, Marino Marini, Carla Accardi, Viani, Crippa, etc. Ma sono specialmente due gli artisti che Peggy amava d’un amore particolare: Tancredi e Edmondo Bacci. Peccato che Tancredi avesse interrotto la sua carriera buttandosi nel Tevere, come l’aveva interrotta con il suicidio un altro artista che Peggy prediligeva, il mitico Jackson Pollock, ma forse una donna non può essere fatale se non segna la propria vita anche di eventi tragici. Floriana Tondinelli aveva già realizzato con successo una mostra su “Fellini e gli artisti che amava”, ma questa, che resterà aperta sino alla fine di gennaio, non è meno interessante. (resterà aperta sino alla fine di gennaio 2010).

FONTE: Costanzo Costantini (ilmessaggero.it)
foto: opera di Mario Sironi

venerdì 22 gennaio 2010

Aracne Editrice pubblica il nuovo libro di Antonio Nicola Uccella


Università italica, dal local al global per il glocal

Il libro nasce da accese e vivaci discussioni conviviali tra colleghi di un’università locale, ma rappresentativi di quella fauna universitaria del tardo 2008 d.C. che in tutta l’università italiana va discutendo dell’Onda e delle false verità del 3 + 2. Le convivialità si sono trasformate in scripta: è giunto il tempo della verità verace, che partendo dal local tracima con naturalezza nel global. I contributi sono diversi per soggetto e per provenienza disciplinare, e non manca il punto di vista di uno studente. Emerge un’Università in crisi, debilitata dal 3 + 2, dove vige il “mors tua, vita mea!”, e non un Ateneo valutato su basi transnazionali come fa l’Università di Shanghai, senza parametri nazionalpopolari. La cura dei ministri è ancora un fantasma: “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”, così recita la proposta di riforma! L’eccellenza nella didattica e nella ricerca non si fa con i fichi secchi, egregi ministri! Senza soldi non si cantano messe!

Antonino Oliva e Nicola Uccella sono professori ordinari, rispettivamente di Fisica sperimentale e di Chimica organica, presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università della Calabria.

FONTE: catalogo on line Aracne Editrice ( www.catalogoaracneeditrice.eu )

Ciò che gli emiri ammirano


50 supergallerie da Acquavella a Gagosian (con Pinault e Jeff Koons nel comitato) per l’esordio della fiera

Abu Dhabi (EAU). Acquavella, Pace Wildenstein, Gagosian, Richard Gray, White Cube, Gmurzynska, Hauser & Wirth, Thaddaeus Ropac, Jérôme de Noirmont, la bolognese Maggiore e la milanese ProjectB sono alcune tra le 50 gallerie che partecipano alla prima edizione di Abu Dhabi Art, fiera d’arte contemporanea che si svolge dal 19 al 22 novembre nel Palazzo degli Emirati. 29 espositori provengono da Stati Uniti (8) ed Europa, 15 dal Medio Oriente e le restanti dall’Asia. Organizzata da due organismi governativi, il Dipartimento per il Turismo e lo Sviluppo e dall’Autorità per la Cultura e il Patrimonio di Abu Dhabi, la fiera si avvale di un comitato internazionale di cui fanno parte Answar Gargash, ministro per gli Affari Esteri di Dubai, Abdul Rahman Mohammed Al Owais, ministro per la Cultura di Shariah, François Pinault, proprietario della Christie’s e collezionista, Norman Foster, architetto, Hou Hanru, direttore del programma espositivo del San Francisco Art Institute, gli artisti Jeff Koons e Subodh Gupta, Fabrice Bousteau, caporedattore della rivista «Beaux Arts», Peter Sloterdijk, docente di estetica in Germania, e Anupam Poddar, industriale indiano e collezionista che ha istituito a New Delhi, con la madre, la Devil Art Foundation, il maggior museo d’arte contemporanea del Paese. A proposito di musei, il 17 novembre sempre nel Palazzo degli Emirati, s’inaugura la prima mostra di opere provenienti dal Guggenheim di New York. In attesa dell’apertura della filiale di Abu Dhabi, prevista nel 2013, dalla casa madre newyorkese arrivano, per fermarsi sino al 4 febbraio, opere di Cézanne, Kandinskij, Klee, Mondrian, De Kooning e Motherwell, riunite sotto il titolo «Guggeheim. The Making of a Museum».


A cura di www.ilgiornaledellarte.com

giovedì 21 gennaio 2010

Avatar conquista tutti anche i Golden Globes


Avatar, il kolossal in 3D di James Cameron che si appresta a battere il record di incassi di tutti i tempi (finora ha guadagnato 1, 6 miliardi di dollari e sta raggiungendo il primato ottenuto da Titanic -1,8 miliardi di dollari) ha vinto il globo d'oro per il miglior film drammatico e James Cameron ha ottenuto quello come miglior regista. Delusione per il film di Giuseppe Tornatore Baarìa, battuto nella corsa al premio per il miglior film straniero da Il nastro Bianco di Micheal Haneke, già vincitore della Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes. Non tutto è perduto per Tornatore, comunque: il 2 febbraio verranno annunciate le nomination agli Oscar e il film italiano potrebbe riprendere la sua corsa (la consegna delle statuette avverrà il 7 marzo). Il film favorito della vigilia, Tra le nuvole di Jason Reitman, con George Clooney, ha ottenuto solo il premio per la miglior sceneggiatura. Il globo per la miglior commedia brillante è stato assegnato a Una notte da leoni, l'esilarante pellicola ambientata a Las Vegas diretta da Todd Phillips. I premi per i migliori attori protagonisti di film drammatici sono stati assegnati a Jeff Bridges per Crazy Hearts e all'acclamatissima Sandra Bullock per The blind side. Meryl Streep, come ci si aspettava, è la migliore attrice di commedia grazie al filmJulie & Julia, mentre Robert Downey jr. con il suo ruolo in Sherlock Holmes, soffia il premio come miglior attore a Daniel Day-Lewis, favorito della vigilia con il film Nine. Al film di Tarantino Bastardi senza gloria, candidato anche come miglior film, è andato il premio per il migliore attore non protagonista, il bravissimo Christoph Waltz. La pellicola d'animazione dell'anno è Up, che ha vinto anche il premio per la miglior colonna sonora. Per quanto riguarda invece i programmi tv, la miglior serie tv drammatica dell'anno è Mad Men, mentre quella comica Glee.

FONTE: ilsole24ore.it

mercoledì 20 gennaio 2010

Arte: spunta Van Gogh inedito

Studioso italiano, e' paesaggio ridipinto su tela del 1860


Spunta in Italia u n nuov o presunto inedito di Van Gogh: un paesaggio di Saint Remy, che un controllo ai raggi X rivela essere stato ridipinto. La tela napoleonica fu regalata a Van Gogh nell'ospedale psichiatrico in cui fu ricoverato dal maggio 1889 al maggio 1890. Annuncia la scoperta, uno studioso italiano, Antonio De Robertis, secondo cui il paesaggio ritrovato sarebbe una delle 2 opere vendute in vita dal pittore olandese.








FONTE: ansa.it

In campo per il Ghana


Attori e preti si sfidano per beneficenza

Partita di calcio pro raccolta fondi per il Ghana

Rappresentativa Italiana Attori vs. Rappresentativa Sacerdoti

6 febbraio 2010 - ore 14,00

Stadio Giannattasio "Stella Polare" - Ostia
Via Mar Arabico



Biglietti: posto unico € 10,00 a persona


Prenota subito il tuo posto allo stadio

Infoline: 06-3293785 • 06-5685482

Tenda dei Popoli - Via Polinesia,10 - 00121 Ostia



Elenco componenti della Rappresentativa Italiana Attori:
Leandro Amato, Jonis Bascir, Massimiliano Benvenuto, Paolino Blandano, Cesare Bocci, Paolo Calabresi, Roberto Ciufoli, Paolo Conticini, Enzo Decaro, Simone Di Pasquale, Luca Ferrante, Matteo Garrone, Duccio Giordano, Ray Lovelock, Simone Montedoro, Daniele Pecci, Paco Reconti, Marco Risi, Francesco Salvi, Paolo Sassanelli, Ugo Scalise, Giulio Scarpati, Pietro Sermonti, Antonio Serrano, Edoardo Sylos Labini, Simone Spirito, Marco Vivio.

Allenatore: Giacomo Losi.

FONTE: Corinna Corneli e Segreteria Amicus Onlus