domenica 31 gennaio 2010

Boltanski uno straccio di memoria


La navata centrale del Gran Palais, costruita per l’Esposizione Universale del 1900, è un’immensa struttura vuota, senza interruzioni, di 13.500 metri quadrati con una copertura in ferro-vetro che arriva a 35 metri di altezza. Qui ogni anno, nell’ambito del progetto «Monumenta», un solo grande artista viene invitato a progettare un'esposizione che coinvolga tutto lo spazio. È una sfida molto difficile, già affrontata nel 2007 da Anselm Kiefer e nel 2008 da Richard Serra con successo (anche se con qualche rischio di eccessiva e ridondante spettacolarità). È la volta ora di Christian Boltanski, che ha avuto il coraggio e la capacità di elaborare una gigantesca e articolata installazione che nel suo insieme forma un’opera unica, e che sviluppa in modo tragicamente monumentale (ma senza slittamenti retorici) i temi fondamentali del rapporto fra vita e morte, dell’esistenza umana individuale e collettiva, della memoria e dell’oblio, del quotidiano e della storia, del passato e del presente. Per far questo Boltanski va per certi aspetti al di là dei mezzi specifici dell’artista plastico, e lo fa riuscendo a creare un lavoro la cui tensione espressiva deriva da un intenso coinvolgimento di tutto lo spazio fisico che entra, anche letteralmente, in risonanza estetica con gli oggetti e i materiali collocati al suo interno. E per essere precisi bisogna dire che si tratta, per lo spettatore, di un’esperienza che viene vissuta in modo sinestetico, non solo attraverso la vista ma anche attraverso altre stimoli sensoriali, soprattutto quelli sonori oltre a quelli legati alla temperatura freddissima dell’ambiente. Lo stesso pubblico che guarda e cammina di qua e di là diventa parte integrante dell’evento. Non a caso il titolo della mostra Personnes (che in francese significa «persone», ma suona anche come personne e cioè «nessuno») fa riflettere sulla dialettica fra presenza e assenza, fra individui viventi e tracce di persone scomparse. L’artista, che da anni è autore di installazioni al confine fra arti plastiche e opere con valenze teatrali e sonore, ha realizzato una messa in scena allo stesso tempo essenziale, povera e spettacolare, utilizzando in modo integrato anche precedenti lavori. Entrando la vista della navata è chiusa da una lunga muraglia formata da centinaia di scatoloni in ferro arrugginiti e numerati (contenitori di inquietante e enigmatica suggestione). Superata questa barriera ci troviamo davanti a una vasta distesa di vestiti multicolori posati per terra, inquadrati in una ordinata scansione seriale di settori (esattamente 23 per tre file) delimitati ai quattro lati da pali in ferro e illuminati da freddi tubi al neon. Questa distesa di pali e vestiti, che fa venire in mente un cimitero o un campo di concentramento, occupa in larghezza tutta la superficie. Al di là di questo paesaggio desolato al centro, si innalza fino a venti metri un enorme cumulo sempre di vestiti multicolori. Una minacciosa mano meccanica artigliata di una gru, periodicamente afferra un mucchio di vestiti, li solleva in alto e poi li fa cadere. I vestiti svolazzando come patetiche anime morte ricadono inesorabilmente nel mucchio. L'azione della mano ferrata può essere interpretata come quella del fato, della falce della morte o, per chi ci crede, di un’entità divina. L’effetto è allo stesso tempo affascinante e tragicamente poetico. Insieme al movimento lento della gru e a quello dei vestiti che cadono, la dimensione temporale entra in giuoco con più vitale tensione attraverso la «colonna sonora» dell’esposizione che fa risuonare tutta la vuota cavità.

MONUMENTA 2010
PARIGI, GRAND PALAIS
DAL 13 GENNAIO AL 21 FEBBRAIO

FONTE: lastampa.it

Nessun commento:

Posta un commento