Disegni, collage, immagini e dipinti: 160 opere dalla collezione di Brant
Visitare una mostra in anteprima, quando curatori, trasportatori, tecnici e operai specializzati stanno lavorando freneticamente per finire l’allestimento, è un’esperienza piuttosto interessante, perché ti può far comprendere meglio, nelle sue specifiche articolazioni spaziali, la strategia complessiva della narrazione espositiva, e perché può riservarti anche qualche affascinante sorpresa. Ed è quello che mi è successo quando arrivando in una sala vedo intorno a una cassa un gran numero di fotografi e videoperatori. «E’ arrivata Marilyn», mi dicono eccitati. Ed ecco che con infinita attenzione viene estratta dalla cassa un tela che viene appesa al muro accanto a Thirty is better than one , un magnifico lavoro foto-serigrafico con trenta Gioconde del 1963. La Marilyn in questione, Blue Shot Marilyn del 1964, è in effetti un opera assolutamente eccezionale anche all’interno della serie dedicata all’attrice. In mezzo alla fronte c’è una piccola macchia bianca: è il segno (tamponato) di un colpo di pistola sparato da una certa Dorothy Podber, che all’epoca aveva chiesto se poteva «colpire» quel quadro e l’artista credendo si trattasse di una foto («shoot» in inglese vuol dire sia fotografare che sparare) le aveva dato il permesso. Il bello è che la traccia di quel colpo è rimasta lì perché quando il collezionista chiese a Warhol se doveva restaurare il danno la risposta (ironicamente duchampiana) fu: «No, mi piace così, come se avesse una macchia o un brufolo». Ed è quasi fatale che questa Marilyn diventerà la Superstar dell’esposizione di Warhol al Palazzo Reale, che presenta ben 160 opere tutte di Peter Brant, uno dei più importanti collezionisti di arte contemporanea del mondo, che era stato anche grande amico dell’artista (e collaboratore nell’edizione di Interview e nella produzione di film).
La mostra si sviluppa attraverso otto sale e mette in scena, in modo arioso e senza rigidità cronologiche, una scelta straordinaria di lavori che documentano al meglio tutte le fasi della ricerca di Warhol e tutti i suoi principali temi. Possiamo forse dire che la grande stanza dove c’è Marilyn è quella più emblematica nella sua ben studiata varietà di lavori: si va dalle icone della storia dell’arte e di Hollywood al sublime della banalità di una serie di Flowers (uno di questi ha un sottotitolo geniale A is orange, B is yellow, C&D are pink); dalla tragica e vuota serialità delle Electric Chairs e dei Car Crash alla presenza in centro di una grossa teca con un cumulo di scatoloni, rifatti in legno, di prodotti da supermercato (Brillo, Campbell, Kellog’s, Del Monte). E c’è anche un tocco di horror con The Kiss, il bacio di un vampiro cinematografico, opera già di proprietà di Cy Twombly, che Brant considera come una delle sue preferite perché ha «un’aria così elegante». Ma tutto il percorso è scandito con gruppi di lavori messi insieme dai curatori (lo stesso Brant e Francesco Bonami) con coerenza e efficacia di impatto visivo.
FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)
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