Dopo i nudi fotografici di Helmut Newton, sono quelli di Walter Chappell a fare tappa quest’anno in Italia.
La mostra Walter Chappell. Eternal Impermanence, in scena dal 13 settembre 2013 al 2 febbraio 2014, porta in anteprima mondiale negli spazi espositivi dell’ex Ospedale Sant’Agostino di Modena, oltre 150 fotografie vintage realizzate tra gli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta da uno dei protagonisti più controversi della fotografia americana del XX secolo.
Il pensiero e la visione del mondo di Chappell (1925-2000) muovono dallericerche spirituali ed intimiste sviluppate tra gli anni Cinquanta e Settanta da artisti come Minor White, di cui Chappell fu allievo, e Paul Caponigro, per poi approdare a un territorio personalissimo, in cui la fotografia diventa la narrazione di un’esperienza di vita a stretto contatto con la natura e il mondo, intesi come campo d’azione e specialmente d’interazione.
Prototipo dell’artista hippie, Chappell ha sempre rifiutato il concetto di arte come business, tenendosi lontano da gallerie e circuiti commerciali. Ha condotto un’esistenza appartata, bohemien e primitiva, all’insegna della celebrazione dell’amore come energia che regola il cosmo e della vita come flusso ciclico, nella sua fattoria di Velarde, nel New Mexico, costante approdo di artisti e figli dei fiori.
Chappell ha fotografato numerosi soggetti, ma a stimolare più di ogni altra cosa la sua visione interiore è stata la natura evocativa del corpo umano, spesso in associazione alle forme del paesaggio e della vegetazione.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Skira, corredato da tutte le immagini delle opere in mostra e da testi critici di approfondimento. In occasione della mostra è stata inoltre pubblicata e tradotta in italiano, sempre da Skira, la lunga intervista a Walter Chappell realizzata da uno dei figli, che ne raccolse le memorie biografiche poco prima della morte.
Ecco un passo: “Penso di essere stato un bambino abbastanza particolare, almeno stando alle storie che mi raccontavano. Mi mettevo a fissare le cose, fuori in cortile, e gli altri dicevano: ‘Walty è fuori a contemplare le cose’. Me ne stavo lì a guardare intensamente qualcosa che mi interessava. Cadevo in questo stato fin dalla tenera età”.
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