giovedì 7 novembre 2013

Dal pennello all'iPad. Multimedialità alla Hockney


Dal pennello all'iPad. Multimedialità alla Hockney


Al de Young Museum del Golden Gate Park di San Francisco la grande mostra su uno dei più influenti artisti contemporanei viventi: oltre 300 opere per raccontare gli ultimi quindici anni di attività. Con le grandi stampe sul parco Yosemite realizzate grazie al tablet di Cupertino


 PITTORE, disegnatore, incisore, fotografo, scenografo. E, da sempre, anche artista multimediale. Fax, Polaroid, fotocopiatrici prima. iPhone, iPad e Photoshop dopo. David Hockney, da molti considerato il più grande creativo britannico vivente, a 76 anni non si è ancora stufato di esplorare il mondo dell'ispirazione artistica. Una grande mostra organizzata al de Young museum, nel Golden Gate Park di San Francisco, emblematicamente battezzata "A Bigger Exhibition", ne celebra fino al 20 gennaio dell'anno prossimo la ricchezza produttiva. Le mille sfumature del paesaggista che, più di altri, sembra tirare un filo tra i grandi movimenti del passato e l'ansia pànica di sperimentare le cose del presente e del futuro, senza paura del continuo mutamento. "La tecnologia ha sempre contribuito all'arte  -  ha detto qualche tempo fa l'artista, che da quarant'anni si divide fra California e Londra  -  lo stesso pennello è un pezzo di tecnologia, no?". Infatti. Ecco perché, praticamente dal lancio sul mercato, Hockney si è anzitutto misurato con le opportunità dei gadget Apple: prima l'iPhone, soprattutto per le centinaia di schizzi e disegni che spedisce ogni giorno alla sua cerchia di amici e collaboratori, dopo l'iPad. Grazie al quale la faccenda ha iniziato a farsi più seria. Fino a sfornare, proprio per questa occasione, cinque grandi stampe  -  frutto del lavoro sulla tavoletta della Mela morsicata  -  che raccontano le suggestioni dei parchi americani come il non lontano Yosemite.

Oltre 300 opere dal 1999, distribuite su due piani, per 18mila metri quadri di evento  -  la più grande esposizione nella storia del museo de Young  -  raccontano dunque la multiformità del pittore (solo pittore?) di Bradford. La prima (semi) antologica dal 2001. Il problema, anzi la fortuna, è che nel decennio seguente è successo praticamente di tutto: un'autentica esplosione creativa in tarda età. Hockney ha infatti iniziato a dipingere, per la prima volta nella sua carriera, ad acquerello. Per passare poi alle sperimentazioni tecnologiche o ai video digitali (ci sono anche quelli in mostra, i "Cubist movies", realizzati con 18 camere diverse). Una seconda giovinezza? No. Piuttosto l'ennesima tappa di un percorso da sempre votato all'uso curioso e mai estremista di tecniche inedite, in un matrimonio fra tradizione e ipermodernità. Se il punto di partenza, negli anni Sessanta, è stata la versione britannica della pop art  -  con la storica esibizione "Young contemporaries" al Royal College of Art di Londra, dove studiava, nel 1961  -  è infatti vero che nel suo lavoro sono in seguito spuntati i collage fatti con le Polaroid e poi le grandi macchine da ufficio, fotocopiatrici, stampanti e fax. Fino ai primi anni Novanta, quando ha messo le mani sui computer. Ma i tempi ancora non erano maturi: la primavera tecnologica sarebbe fiorita quasi dieci anni dopo.

"A Bigger Exhibition" segue il successo dell'esposizione dell'anno scorso alla Royal Academy of Arts di Londra, un'autentica celebrazione in patria. Ma dà dell'autore inglese un quadro più ampio e completo. Include infatti molti ritratti, nature morte e, ovviamente, gli immancabili paesaggi sospesi tra fatato incanto e brillantezza che hanno rapito la fantasia di generazioni. C'è anche una nuovissima serie, "The arrival of spring in 2013", costituita da 25 disegni a carboncino conclusi nel maggio scorso e nei quali Hockney cattura la "desolazione dell'inverno e la sua eccitante trasformazione nell'estate". Ma è proprio la ricchezza dei mezzi espressivi a colpire il visitatore. Oltre alla semplicità con cui sono integrati fra loro: dall'acquerello al carboncino alla matita fino all'olio passando per i new media. Senza dimenticare le dimensioni sia concettuali che concrete di alcuni progetti. Basti pensare a "The bigger message", il suo ciclo-rivisitazione del secentesco Discorso della montagna di Claude Lorrain, maestro del paesaggio classico, che certo qualche naso ha fatto storcere nei puntuti critici d'arte. Non mancano tuttavia pezzi più intimi come i ritratti di amici, colleghi e famigliari, alcuni dei quali esposti per la prima volta a San Francisco. 

"Bigger Yosemite" è invece la serie di cinque grandi stampe, bestioni da due metri per quasi quattro, frutto del suo lavoro su iPad: l'artista sfrutta in particolare l'applicazione Brushes ma anche Touch Sketch, SketchBook Mobile e Bamboo Paper. Grandi pannelli che sembrano riallacciarsi agli scatti del fotografo Ansel Adams, originario proprio delle parti del Golden Gate Bridge, ma anche ai quadri di pittori come Thomas Hill e Albert Bierstadt. Altre decine di opere realizzate col tablet sono invece trasmesse sugli schermi: "Come un alchimista Hockney si palesa prima come autore di un quadro per iPad e un minuto dopo si conferma uno dei più grandi disegnatori nelle scene in cui immortala l'East Yorkshire inglese" racconta Richard Benefield, organizzatore della mostra e vicedirettore del Fine Arts Museums di San Francisco. L'obiettivo dell'indagine dell'artista inglese, in fondo, sembra sempre lo stesso da sessant'anni: "Guardare più a fondo e vedere meglio", come scrive Lawrence Wechsler nel catalogo dell'esposizione californiana. Quale che sia il mezzo per farlo, compresa la tavoletta elettronica più famosa del mondo.

"Sono grato che si spenda in questo lavoro, che apra la mente della gente verso la tecnologia ma in un modo del tutto nuovo", racconta la storica dell'arte statunitense Maureen Nappi, che pure altre volte ha definito le opere su tablet poco più che "scena". In fondo, ha scritto di recente la professoressa della Long Island University, i gesti pittorici sono quelli da sempre. Mosse artistiche antiche quanto l'essere umano: che producano segni sulla parete di una grotta, su una tavola di pietra, una tela o un display retroilluminato, e poi su uno schermo di un moderno spazio espositivo, non sembra fare molta differenza.

FONTE: Simone Cosimi (repubblica.it)

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