Il suo romanzo postumo (e autobiografico) è un inno alla libertà di pensiero e di costumi
Apologo, tragicommedia, romanzo di formazione: L'erotismo di Oberdan Baciro, romanzo rimasto per più di trent'anni nel cassetto del grande Lelio Luttazzi, attinge a questi generi con lo humour, la levità e lo stile che erano tipici del re dello swing italiano. A quasi due anni dalla morte, avvenuta nella sua Trieste dove era appena tornato dopo una vita passata prima a Milano e poi a Roma, viene pubblicato il suo secondo libro. L'eclettico personaggio, autore di canzoni e colonne sonore, direttore d'orchestra, conduttore radiofonico e televisivo, attore, showman, ebbe anche un côté da scrittore. Scrisse racconti e romanzi, ma finì per pubblicare un solo libro, Operazione Montecristo , in cui ricapitolava l'ingiustizia dell'arresto e dei 27 giorni di detenzione subiti per un'intercettazione mal interpretata, frutto di un trucchetto di Walter Chiari, lui sì consumatore di cocaina, che aveva ingaggiato l'ignaro Lelio per mettersi in contatto con uno spacciatore (senza poi chiedere scusa per il disastro combinato).
Per Luttazzi, quell'arresto fu un baratro psicologico. Orfano di padre poco dopo la nascita, figlio unico di una maestra bigotta e innamorata del Duce, aveva in sé un fortissimo senso del rispetto della legalità e dell'importanza della reputazione. Visse come uno shock irreversibile l'esperienza della galera e dei «pubblici accusatori del paleolitico sistema giudiziario italiano, che, nel dubbio, intanto schiaffano in galera anche le persone per bene, e poi si vedrà». E meno male che la madre era morta, riuscì solo a pensare prima di sprofondare in una sottile forma di depressione, sfilandosi dalla scena all'apice del successo.
Era il 1970, e Luttazzi aveva solo 47 anni. Benché completamente scagionato, non riuscì più a riprendersi la vita che aveva sino a quel momento costruito. Si diede all'oblomovismo (il pigro Oblomov dell'omonimo romanzo di Goncharov era il suo eroe letterario) e, appeso il pianoforte al chiodo, si chiuse in casa a «guardare la televisione per odiarla» e a leggere compulsivamente giornali e romanzi, fino agli ultimi anni, quando la moglie Rossana riuscì a scuoterlo dal suo torpore per dargli il piacere di essere ancora amato dal pubblico a ottant'anni, dopo quasi trenta di assenza dalle scene.
Antifascista in un tempo in cui esserlo aveva un senso, libertario, borghese, per nulla comunista, scardinatore di luoghi comuni, e sempre con humour, mai con veemenza: questo era Lelio Luttazzi. Pochi anni dopo Operazione Montecristo, verso la fine degli anni Settanta, si dedicò a una prima stesura di L'erotismo di Oberdan Baciro, e, durante una vacanza a Tellaro, diede da leggere il manoscritto a Mario Soldati, che lo incoraggiò a farlo pubblicare e a scrivere un nuovo romanzo. Tanto che, poiché Lelio non aveva portato con sé la macchina da scrivere, gliela prestava Soldati nelle ore in cui non la utilizzava, facendo lasciare dall'autista la sua Adler sullo stuoino della casa affittata da Luttazzi, insieme a biglietti d'incoraggiamento vergati col suo inconfondibile inchiostro verde. Ma Luttazzi, così come finì per non pubblicare le sue colonne sonore, fece altrettanto con il romanzo (che pure, nella bozza originale, è costellato di «note per l'editore»). Come dichiarò in una bella intervista a Gian Antonio Stella, «dopo quello che mi è successo ho detto, con rispetto parlando: andatevene tutti a cagare». Pensando alle fatiche, alle delusioni e all'esposizione che seguono la pubblicazione di un libro o di un disco, preferiva lasciar perdere e continuare la sua vita nascosta, al riparo dal mondo che tanto l'aveva deluso.
Ma l'anno scorso, sua moglie Rossana, mettendo a posto l'archivio di Luttazzi per la fondazione a lui intitolata (www.fondazionelelioluttazzi.it, sostiene i nuovi talenti del jazz), ha ritrovato il romanzo, ed eccoci qui a godere di queste pagine, nel nome di Lelio, del suo humour, del suo pensiero, delle sue dissacrazioni. Diciamo che per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, come è capitato a me, leggere la storia di Oberdan dà la sensazione di sentire la sua voce e i suoi mille aneddoti. La «ero-storia» del piccolo protagonista ricalca esattamente quella del piccolo Lelio. Ma racconta anche il suo pensiero di adulto, libertario e libertino, insofferente delle proibizioni della morale: «L'eros, l'unica verità universale e inestinguibile che la Creazione ha elargito agli esseri viventi. Giacché è tempo di convincersi che, quanto agli altri valori ereditati dalla nostra millenaria "civiltà", forse NON ERA VERO NIENTE».
Oltre che libertino, Luttazzi era anche un igienista, un uomo che teneva molto ad avere un aspetto elegante e ordinato, uno snob della dizione (non sopportava certi accenti e intonazioni volgari), un autoironico radicale, una persona con uno spiccato senso del dovere. Tutti aspetti che troviamo nella storia tragicomica della carriera erotica di Oberdan, che inizia verso i quattro anni e termina a diciotto, con un finale-sberleffo in puro stile Luttazzi.
Oberdan si chiama così perché la madre vedova «irredentista, patriota, fascista e rompicoglioni» gli ha imposto il nome del martire triestino. Trasferitasi per qualche anno da Trieste a Prosecco, dove ha un incarico di maestra, reprime dispoticamente il figlio, che sin dai quattro anni ha vibranti pulsioni erotiche. Impossibile però sfogarle con le compagne di classe, «figlie di rozzi vaccaroli sloveni». Siamo nei primi anni Trenta, e tutta la battaglia del piccolo Oberdan/Lelio si svolge contro il «rigorismo clerico fascista» di genitori che reprimono gli istinti e le curiosità spontanee dei loro bambini. Nel racconto della formazione erotico-onanistica di Oberdan e delle sue disavventure da Prosecco a Trieste, c'è anche l'insofferenza di Lelio per le pratiche del fascismo («marinare le stramaledette adunate in divisa da avanguardista»), ci sono esilaranti scambi di battute in dialetto triestino, c'è la «sbandata per il jazz» i cui adepti si radunavano per ascoltare i dischi di Ellington e di Armstrong «come carbonari risorgimentali».
Va detto che il romanzo di Luttazzi non è uno dei tanti prodotti di consumo di cui sono invase le librerie, magari anche gradevoli o brillanti o profondi, ma sostituibili e soprattutto comparabili. Perché L'erotismo di Oberdan Baciroracconta una battaglia oggigiorno quasi vinta (il gap tra genitori e figli è ormai più sul piano tecnologico che su quello della morale sessuale) ma col sapore vero di un'epoca e di una libertà di pensiero. Leggendolo sarete spiazzati, sarete compiaciuti, sarete avvinti, e per tutta la durata della lettura non ve ne fregherà niente della contemporaneità romanzesca - le Torri gemelle, i matrimoni gay, la letteratura dell'emigrazione. Vi berrete l'esilarante descrizione di un «figlio unico di madre vedova solitario, frustrato e pipparolo»", la qualità della scrittura - a tratti scanzonata, a tratti da tema del liceo classico -, il vivido ritratto della Trieste di quegli anni, con l'aristocrazia locale, quasi tutta d'origine ebraica, e il disprezzo per «i vaccaroli ruvidi e letamaici» sloveni, il sogno «principesco, imperiale, asburgico» in opposizione alla cafonaggine del fascismo, i riferimenti culturali sempre azzeccati («il nefando olezzo di quel salotto che pareva un'intuizione fogazzariana perfezionata dal più scatenato Pasolini»), e soprattutto la denuncia di una cultura che cercava di terrorizzarti fin da bambino con le parole «ATTI IMPURI... PECCATO MORTALE... FIAMME ETERNE». Infatti, come dice Luttazzi/Baciro, «Pornografi - o meglio pornologi - non sono coloro che, in nome del sacrosanto diritto all'edonismo, procurano piacere a se stessi e a quanti più altri gli riesce, ma coloro che, nel cesso di un ristorante, non si degnano di alzare la ciambella di legno prima di pisciare, e la lasciano regolarmente costellata di schizzi».