lunedì 20 aprile 2015

Arts & Food: 10 menù per una mostra

Esibizionisti/5. Esposizione pantagruelica, per non rischiare il collasso da cibo vi diamo una mano a scegliere

Expo 2015 atto primo ed già da indigestione. Se l’Esposizione Universale è un misto di mondi e sapori Arts & Food è il prologo ideale: c’è dentro tutto, compreso il rischio abbuffata. Le suggestioni e i gusti sono infiniti. Tre sale più giardino sparsi per la Triennale di Milano e non c’è solo l’arte cibaria dal 1851 (anno della prima Expo a Londra) fino a oggi ma anche i film, le copertine dei dischi, i video. Dal pre-aperitivo all’ammazza caffè. Servirebbe una giornata intera per godersi a dovere ogni pasto ma se non l’avete vi aiutiamo noi a trovare la strada dell’assaggio. Per riempire gli occhi senza ingozzarsi e non perdere i sapori nascosti. A ognuno la sua tavola e ce n’è una pure per chi è a dieta. Dieci percorsi, dieci menù e qualche spuntino extra. Perché il piacere va nutrito.  

1. Tavola quattro stagioni. Il pranzo di Babette  

Il chilometro zero era un valore assoluto per la cucina di un tempo. Non c’era alternativa. Cavolo, cipolla, sedano e la trionfale anatra abbandonata sullo strofinaccio bianco con riga rossa, quello che a prescindere dal colore della riga abbiamo tutti in casa. Il belga James Ensor in Nature morte au canard (1880) prepara gli ingredienti ideali per Babette Hersant, la cuoca rivoluzionaria di Karen Blixen che seduce un intero villaggio con la cucina. Siccome il pranzo di Babette è elaborato, abbinare il quadro a qualche fugace immagine di Le repas du bébé (1985) filmino familiare di Louis Lumière, colazione d’epoca montata in un medley storico con altri titoli come Sorcellerie culinaire di George Méliès (1904). Li proiettano davanti al bar Vermouth a metà della prima sala. Gustare lentamente.  

2. Tavola frugale 

La mano davanti al piatto, la panca spoglia, il capotavola seduto sul davanzale e nessuna traccia di cibo sulla tovaglia bianca. Si mangia di fretta e poco nel Pranzo di Egger Lienz (1910) eppure nonostante l’inequivocabile povertà della zuppa, che si intuisce solo perché uno dei commensali si porta il cucchiaio alla bocca, c’è una decisa bellezza. La luce calda, la tovaglia immacolata che richiama camicie e grembiule, un’unione silenziosa nell’interno di inizio Novecento che restituisce una certa pace. Ci si conosce bene, ci si apprezza. Ognuno ha il suo posto. Ognuno la sua parte, probabilmente parlare è superfluo nella sbrigativa quotidianità. Come a volte capita in ogni famiglia. 

3. Tavola imbandita. Quel che resta del giorno 

Gli avanzi del pranzo di ieri: per quanto strano sia il verso di una canzone di Sergio Caputo (Bimba se sapessi) datata 1983 inquadra alla perfezione un quadro di Angelo Morbelli del 1888. Asfissia è l’opposto del Pranzo di Lienz visto sopra. Non ci sono persone, solo scarti di lusso intorno a candelabri e orologi. Bottiglie di champagne, bicchieri mezzi pieni: uno diverso dall’altro. Più che avanguardia di design sembra volontà di ostentazione. Le tazzine di caffè, la frutta secca, nessuna voglia di sparecchiare tanto qualche domestico se ne occuperà e il cibo sbocconcellato se ne sta lì, abbandonato dopo un festino di cui nessuno sa nulla eppure non lascia possibilità di buoni ricordi. Magari è solo pigrizia, gli invitati satolli saranno fuori a ridere, ma il quadro dà altri indizi: le persiane chiuse, i fiori a terra. Come da titolo, manca l’aria. 

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