La Gam ospita le sculture, i dipinti, i disegni realizzati fra gli anni '20 e '60. Il visitatore può conoscere l’evoluzione dell’artista, dagli inizi svizzeri all’atelier parigino. Fino al 1 febbraio
«Un tempo andavo al Louvre e i quadri o le sculture mi davano un’impressione sublime. Oggi se vado al Louvre non posso resistere a guardare la gente che guarda le opere. Il sublime oggi è per me nei volti più che nelle opere. Guardavo con disperazione le persone vive. Capivo che mai nessun artista potrebbe cogliere completamente questa vita. Era un tentativo tragico e risibile. Sono quasi allucinato dal volto delle persone». La pensava così Alberto Giacometti, originale artista svizzero che con fatica è assurto nell’Olimpo dei grandissimi del XX secolo. Milano lo presenta in questi giorni nella splendida cornice della Gam (Galleria d’arte Moderna) con la mostra promossa dal Comune e organizzata da 24Ore Cultura e dalla Gam. Curata dalla direttrice della Fondazione a lui dedicata, Catherine Grenier, ospita più di 30 sue opere che mettono in luce il ruolo fondamentale dell’artista nello sviluppo della scultura a livello internazionale e si articola in cinque sezioni che ripercorrono tutta la sua vita, dagli esordi negli anni venti agli anni sessanta.
Nell'arte di Giacometti, al centro c'è l’essere umano che resiste comunque, in quanto grumo di materia palpitante, spesso in tensione ascetica verso il cielo, e sembra che ci suggerisca il crollo dei valori umanistici, a cui si sostituisce solo la capacità di resistere. Il percorso di Giacometti ha inizio in Svizzera, dove nasce il 10 ottobre 1901, figlio del poeta Giovanni. Negli anni Venti si sposterà a Parigi dove apre uno studio con il fratello Diego, suo fedele compagno e assistente.
La partenza per Parigi avrà un forte impatto su questo giovane creativo mai contento di sé, nella seconda sala varie foto, mostrano quel periodo e l’artista con il suo sorriso gentile e discreto, i capelli ricci e scuri. Tra il 1930 al 1934 aderisce al gruppo surrealista e farà amicizia con Cocteau, nella seconda sala è presente il lavoro di quel periodo. All'inizio degli anni '40 stringe amicizia con Pablo Picasso, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il senso angoscioso dell'esistenza che definisce l'opera di Giacometti è stato particolarmente avvertito da J.-P. Sartre. Nella terza sala questo si avverte e la teoria di minuscole sculture filiformi, alcune alte appena dieci centimetri, sono una sorpresa per l'epoca. Dal 1942 vive a Ginevra, dove frequenta l'editore Albert Skira. Nel 1945 espone nella galleria-museo newyorkese di Peggy Guggenheim, Art of This Century. Lasciata Parigi, si dedica con alla ricerca di una scultura di «ressemblance», specie nella ritrattistica. È il periodo di opere su gesso, bronzo o tela, che si concentrano sui volti, sulle teste.
Nel 1961 riceve il Premio per la Scultura al Carnegie International di Pittsburgh e, l’anno seguente, il Premio per la Scultura alla Biennale di Venezia, dove gli viene riservata un'area espositiva personale. Altre importanti mostre vengono allestite nel 1965 alla Tate Gallery di Londra, al Museum of Modern Art di New York, al Louisiana Museum di Humlebaek in Danimarca e allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Nello stesso anno il governo francese gli conferisce il Gran Premio Nazionale d'Arte. Il percorso della Gam si conclude con la scultura monumentale della maturità: i due metri e settanta di altezza della «Grande donna IV», la più grande mai realizzata dall'artista, lavoro drammatico che racchiude in se tutta la cifra stilistica dell’artista. «Cerco di copiare quel che vedo per raggiungere la rassomiglianza assoluta, per far vivere un certo sentimento delle forme che è interiore e che si vorrebbe proiettare all’esterno». Parola di Giacometti.
FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)