sabato 31 maggio 2014

La vita e l'anima di Michelangelo in 156 opere


Nella capitale, ai musei capitolini, l'universo di un titano dell'arte di tutti i tempi. Fino al 14 settembre



A DIMENSIONE universale di Michelangelo raccontata per temi contrapposti: corpo e spirito, buio e luce, tempo umano ed eternità. Sono questi alcuni degli ambiti su cui si snoda il percorso espositivo della mostra che ai Musei Capitolini racconta in 156 opere la vita e l'arte del grande maestro. Fino al 14 settembre è possibile ammirare meraviglie della statuaria come il Bruto del Bargello o la Madonna della Scala di Casa Buonarroti e il Cristo Redentore di Bassano Romano.

Michelangelo Buonarroti morì nella sua casa in via Macel dè Corvi a Roma il 18 febbraio 1564, non troppo distante dal Campidoglio. In occasione del 450° anniversario della sua scomparsa, proprio in Piazza del Campidoglio, che il suo genio ha reso unica, ai  Musei Capitolini una mostra scientificamente ineccepibile propone un percorso attraverso "scintille, echi e riverberi" di una figura titanica che non si finisce mai di ammirare e studiare.

"Michelangelo, incontrare un artista universale" è il titolo dell'esposizione ideata dalla soprintendente del Polo museale fiorentino Cristina Acidini, pensata per dare l'opportunità di avvicinarsi al mondo interiore e spirituale del grande maestro. 156 opere tra scultura, pittura, architettura e poesia ci fanno entrare in contatto con gli aspetti più profondi dell'universo di questo artista, in grado di cambiare stravolgere l'arte italiana e internazionale. Nove sezioni affrontano tematiche in contrapposizione come: corpo e spirito, notte e il giorno, l'amore celeste e terreno, tempo umano ed eternità, fino a moderno e antico, binomio quest'ultimo che sintetizza anche il percorso di vita e di ricerca del grande maestro svoltosi a cavallo di due secoli e di due città. Infatti, a Firenze Michelangelo si forma a contatto con l'arte del trecento e del quattrocento, quella che innescò lo slancio verso il pieno Rinascimento, ma è a Roma che avviene l'incontro con l'arte classica, nel pieno della sua maturità artistica, e ciò comporterà una mutazione poetica fondamentale. 

La prima sezione dell'esposizione si apre con la grande statuaria, posta nella Sala degli Orazi e Curiazi, questa si affaccia sulla Piazza del Campidoglio, che il Buonarroti rivoluzionò ponendo al centro la statua equestre del Marco Aurelio, mentre in epoca antica le statue equestri  erano ai lati, come ha ricordato il sindaco di Roma Ignazio Marino, presente all'inaugurazione. Entrando nella sala si è colpiti dalla maestosità del Cristo Redentore rinvenuto a Bassano Romano, opera incompiuta di Michelangelo che rimanda alla versione definitiva conservata nella Chiesa della Minerva. Lo splendido Bruto del Bargello, opera politica del Buonarroti realizzata appena giunto a Roma, che incarna l'anima del vero tirranicida esprimendo fierezza e determinazione, è posto al centro fra due modelli ispiratori: il Bruto dei Musei Capitolini e il Caracalla dei Vaticani.  Arriva poi La Madonna della Scala, prestito della Fondazione Buonarroti, che Michelangelo realizzò quando aveva solo 15 anni, esempio della tensione verso la ricerca del bello, che lo guidò negli anni giovanili. "E' la prima volta che vediamo insieme  questi capolavori, una grande occasione di studio e confronto", ha spiegato Cristina Acidini.

Il percorso della mostra prosegue poi indagando le altre dimensioni della molteplice personalità artistica. Modellini architettonici, studi per la cupola di San Pietro e stupendi disegni con figure della Cappella Sistina, ci mettono davanti all'eclettismo del grande maestro, alla ricerca della salvezza dell'anima  negli ultimi anni di vita, con riflessioni sul tempo umano ed eterno. Nel percorso espositivo si incontrano così i rimandi alle Cappelle Medicee, alla Sagrestia Nova per le quali realizzò il capolavoro delle Allegorie del Tempo, insieme a molti documenti. "E' una mostra ambiziosa, unica e irripetibile, che non ha ovviamente la pretesa dell'organicità", ha aggiunto il presidente di Metamorfosi Pietro Folena che l'ha prodotta, sottolineando come la maggior parte delle opere del Buonarroti sia intrasportabile, ma per questo capace di parlare anche a chi frequenta la contemporaneità.

Musei Capitolini
Fino al 14 settembre 2014
Martedì-domenica 9.00-20.00 

La biglietteria chiude un'ora prima
Chiuso lunedì


FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

giovedì 29 maggio 2014

FINISSAGE. CHIUDE A ROMA LA MOSTRA "LE VIE DEL SACRO", DEL FOTOGRAFO KAZUYOSHI NOMACHI


Tibet, uno degli scatti in mostra

Il deserto del Sahara, il Nilo, L’Etiopia, il Gange, il Tibet, le Ande e la Mecca nel primo reportage approfondito mai realizzato sul pellegrinaggio di oltre due miliardi di musulmani. Ma soprattutto, gli uomini. O meglio, i credenti, tra fedeli e pellegrini di ogni religione.“Le vie del Sacro” – non a caso, titolo della mostra - portano a Roma. Sono circa duecento gli scatti del fotografo giapponese Kazuyoshi Nomachi che chiude oggi alla Pelanda di Roma nella più grande antologica mai realizzata sul foto-documentarista.
 

E, molto di più, nella sua prima assoluta per l’Occidente.
 
Dopo oltre quarant’anni di lavoro, foto pubblicate in tutto il mondo e numerosi premi, Nomachi arriva finalmente in Italia per raccontare la sua storia e la sua ricerca sulle diverse forme di spiritualità.
 
Un’indagine che ha iniziato quasi per caso, alla ricerca di un orizzonte fisico che, presto, si è rivelato metafisico, “folgorato” dall’aspra bellezza del Sahara e ancora di più dalla tenacia dei suoi abitanti. “A 24 anni – ricorda Nomachi - ho iniziato la mia carriera come fotografo pubblicitario. L’anno successivo sono andato in Sahara. Sono stato sopraffatto dalla natura e ho iniziato a capire la tenacia della gente costretta a vivere in quei territori, ho gradualmente ho trovato la fede che sostiene quella tenacia”.
 
Proprio le condizioni di vita più dure e l’“affido” al Superiore, che spesso ad esse si accompagna, sono diventati i soggetti prediletti del suo lavoro. Nel tentativo di illustrare il Sacro, nelle sue maiuscole anche altisonanti, Nomachi ha “scolpito” i ritratti dei fedeli nel quotidiano della religione, fatto di riti e speranza, ma anche di sofferenza e sacrificio. Di luogo in luogo, di volto in volto, Nomachi ha così tracciato una mappa geografica e antropologica del Credo nelle sue molteplici espressioni, alla ricerca di quel sostrato comune che è prima di tutto tensione verso l’Alto.
 
Così se l’obiettivo era cercare dio, il traguardo è stato forse trovare l’uomo nella potenza, perfino, della sua fragilità. “Di fronte al Sacro – dice Nomachi – l’essere umano tende a mettersi a nudo e a confrontarsi con dio e con se stesso”.
 
Il confronto diventa l’eterna – e quotidiana appunto – battaglia dell’io, tra solitudine e umiltà, egotismo e coscienza della vanità dell’io stesso. Il risultato è una poetica della meraviglia, intesa come stupore primigenio dell’Altro. Ad essere raccontato in mostra, infatti, è l’orizzonte ricco di un mondo multiforme, che si regge sul concetto, più forse sentimento, dell’essere umano.
 
Articolato in sette sezioni, il percorso va dallo “sconfinato vuoto” del Sahara alle chiese rupestri e ai monasteri sugli altopiani dell’Etiopia, “dove la fede continua a essere professata come ai tempi della Bibbia”, dal Gange – “Chi si immerge nelle acque del Gange viene lavato dai suoi peccati, chi vi sparge le ceneri del caro estinto lo aiuta a rinascere nel cielo, liberandolo dalle sofferenze della reincarnazione” – al Nilo, dove una tribù di pastori vive “ a stretto contatto con il bestiame, come nella preistoria”, fino alle Ande.
Senza dimenticare il Tibet: “I tibetani sono devoti al buddismo, ereditato dall’India, ma rivisitato in base a una forte sensibilità originata anche dalla loro visione della vita in un territorio estremamente povero e improduttivo”.
 
Sotto i riflettori gli scatti dedicati alla Mecca. “Tutto è nato dalla commissione di un editore saudita – dice Nomachi - Per una persona che aveva “familiarizzato” con il deserto e si era interessata all’Islam a venti anni, era una vera opportunità. La Mecca è l'unico luogo sacro per i 1,4 miliardi di musulmani del mondo. Ka'ba che si trova nella moschea di al-Masjid al-Haram alla Mecca, è l'asse spirituale di quei 1,4 miliardi di persone. Vedendo l’Islam dal di fuori della Mecca si è portati a sentire la distanza. Ma nella Mecca ero certo di poter toccare l'essenza della fede islamica. I media tendono a diffondere pregiudizi sull'estremismo islamico. Visitando La Mecca, ho capito che l'estremismo islamico non ha nulla a che fare con l'essenza dell'Islam”.
 
Ecco il segreto della filosofia di Nomachi e il cuore della sua mostra: “documentare”, nel pieno senso della parola. Scatti e parole dello stesso fotografo sollecitano sguardo e pensiero alla ricerca di un Oltre, che forse può semplicemente e profondamente essere l’Altro.

FONTE: Valeria Arnaldi (leggo.it)

mercoledì 28 maggio 2014

L’arte greca ai tempi della crisi


Oltre 2mila street artist per raccontare quello che è stato e quello che sarà: Atene punta all’arte per migliorare i propri spazi pubblici

Raccontare la Grecia (nonché il resto del mondo) che cambia. Sotto forma di arte. Quella di strada, per esattezza. Fatta di colori e scritte, forme e fumetti, provocazioni e appelli. La legge locale contro la "street art", infatti, permette la commissione di tali lavori ai fini di abbellimento degli spazi pubblici della capitale. 
Artisti visionari, sospesi tra passato e futuro, che coniugano storia antica e moderna. Trasformando la capitale in una Mecca contemporanea per la street art in Europa. Un modo per comunicare il proprio punto di vista sulle politiche di austerity e sulla crisi che affligge il Paese. Con un attacco, spesso poco velato, nei confronti di tutti gli imputati alla crisi economica. Come con i fratelli Dalton del celebre fumetto belga Lucky Luke. 
 Qui sono oltre 2mila gli attivisti dell’arte: un modo per sopprimere silenziosamente la protesta e la ribellione politica, sociale e artistica. "Vogliono abbracciarla, neutralizzarla e controllarla. E' un modo per spezzare il nostro spirito", ha dichiarato l'artista Charitonas Tsamantakis
 Secondo i recenti cambiamenti legislativi, alcune zone di Atene potrebbero anche essere trasformate in una vasta galleria all'aperto. "Una volta che i graffiti diventano arte commissionata è un segnale dell'inizio della fine della crisi finanziaria o sociale attraversata da una città", ha aggiunto Amalia Zeppou, consigliere del sindaco

FONTE: FRANCESCO SALVATORE CAGNAZZO (lastampa.it)

martedì 27 maggio 2014

Lo scatto sinuoso, in mostra Mario Rossi alla Camera dei Deputati




Una mostra di fotografia sarà inaugurata oggi all’interno di una suggestiva struttura sorta in età paleocristiana e attualmente collocata all’interno degli spazi della Camera dei Deputati. Il Complesso di Vicolo Valdina in Piazza Campo Marzio a Roma, infatti, ospiterà (dalle 17) “Flussi geometrici”, una selezione di dodici elaborazioni fotografiche di Mario Rossi, artista che vive e lavora nella capitale ed è rappresentato in Olanda dalla galleria Chiefs&Spirits dell’Aja.  
Un progetto, quello di Rossi, molto legato all’osservazione e allo studio degli spazi architettonici, basti notare la serie di immagini ispirate dalle forme sinuose del MAXXI, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo realizzato dall’ “archistar” Zaha Hadid. Spesso gli scatti fotografici, nel lavoro del fotografo di origini napoletane, diventano moduli che si ripetono e intersecano tra loro formando strutture che sorreggono la composizione. Strutture che contengono persone, viste dall’alto, che perdono la propria dimensione umana e si confondono in un flusso uniforme. 

““Flussi geometrici” – spiega il curatore Loris Schermi - è una sorta di ossimoro che mette insieme due aspetti contrapposti del lavoro di Rossi: l’essenza fluida del tempo e la necessità di arginare il disordine attraverso la ragione e quindi la geometria. Nelle sue fotografie traspare il richiamo alla storia dell’arte, alle linee perpendicolari di Mondrian e alla diagonale di Van Doesburg. Gli spazi reali che accolgono questo processo, diventano nelle sue elaborazioni fotografiche, luoghi mentali nei quali l’artista torna in momenti diversi del proprio percorso.” 

FONTE: FLAVIO ALIVERNINI (lastampa.it)