Il deserto del Sahara, il Nilo, L’Etiopia, il Gange, il Tibet, le Ande e la Mecca nel primo reportage approfondito mai realizzato sul pellegrinaggio di oltre due miliardi di musulmani. Ma soprattutto, gli uomini. O meglio, i credenti, tra fedeli e pellegrini di ogni religione.“Le vie del Sacro” – non a caso, titolo della mostra - portano a Roma. Sono circa duecento gli scatti del fotografo giapponese Kazuyoshi Nomachi che chiude oggi alla Pelanda di Roma nella più grande antologica mai realizzata sul foto-documentarista.
E, molto di più, nella sua prima assoluta per l’Occidente.
Dopo oltre quarant’anni di lavoro, foto pubblicate in tutto il mondo e numerosi premi, Nomachi arriva finalmente in Italia per raccontare la sua storia e la sua ricerca sulle diverse forme di spiritualità.
Un’indagine che ha iniziato quasi per caso, alla ricerca di un orizzonte fisico che, presto, si è rivelato metafisico, “folgorato” dall’aspra bellezza del Sahara e ancora di più dalla tenacia dei suoi abitanti. “A 24 anni – ricorda Nomachi - ho iniziato la mia carriera come fotografo pubblicitario. L’anno successivo sono andato in Sahara. Sono stato sopraffatto dalla natura e ho iniziato a capire la tenacia della gente costretta a vivere in quei territori, ho gradualmente ho trovato la fede che sostiene quella tenacia”.
Proprio le condizioni di vita più dure e l’“affido” al Superiore, che spesso ad esse si accompagna, sono diventati i soggetti prediletti del suo lavoro. Nel tentativo di illustrare il Sacro, nelle sue maiuscole anche altisonanti, Nomachi ha “scolpito” i ritratti dei fedeli nel quotidiano della religione, fatto di riti e speranza, ma anche di sofferenza e sacrificio. Di luogo in luogo, di volto in volto, Nomachi ha così tracciato una mappa geografica e antropologica del Credo nelle sue molteplici espressioni, alla ricerca di quel sostrato comune che è prima di tutto tensione verso l’Alto.
Così se l’obiettivo era cercare dio, il traguardo è stato forse trovare l’uomo nella potenza, perfino, della sua fragilità. “Di fronte al Sacro – dice Nomachi – l’essere umano tende a mettersi a nudo e a confrontarsi con dio e con se stesso”.
Il confronto diventa l’eterna – e quotidiana appunto – battaglia dell’io, tra solitudine e umiltà, egotismo e coscienza della vanità dell’io stesso. Il risultato è una poetica della meraviglia, intesa come stupore primigenio dell’Altro. Ad essere raccontato in mostra, infatti, è l’orizzonte ricco di un mondo multiforme, che si regge sul concetto, più forse sentimento, dell’essere umano.
Articolato in sette sezioni, il percorso va dallo “sconfinato vuoto” del Sahara alle chiese rupestri e ai monasteri sugli altopiani dell’Etiopia, “dove la fede continua a essere professata come ai tempi della Bibbia”, dal Gange – “Chi si immerge nelle acque del Gange viene lavato dai suoi peccati, chi vi sparge le ceneri del caro estinto lo aiuta a rinascere nel cielo, liberandolo dalle sofferenze della reincarnazione” – al Nilo, dove una tribù di pastori vive “ a stretto contatto con il bestiame, come nella preistoria”, fino alle Ande.
Senza dimenticare il Tibet: “I tibetani sono devoti al buddismo, ereditato dall’India, ma rivisitato in base a una forte sensibilità originata anche dalla loro visione della vita in un territorio estremamente povero e improduttivo”.
Sotto i riflettori gli scatti dedicati alla Mecca. “Tutto è nato dalla commissione di un editore saudita – dice Nomachi - Per una persona che aveva “familiarizzato” con il deserto e si era interessata all’Islam a venti anni, era una vera opportunità. La Mecca è l'unico luogo sacro per i 1,4 miliardi di musulmani del mondo. Ka'ba che si trova nella moschea di al-Masjid al-Haram alla Mecca, è l'asse spirituale di quei 1,4 miliardi di persone. Vedendo l’Islam dal di fuori della Mecca si è portati a sentire la distanza. Ma nella Mecca ero certo di poter toccare l'essenza della fede islamica. I media tendono a diffondere pregiudizi sull'estremismo islamico. Visitando La Mecca, ho capito che l'estremismo islamico non ha nulla a che fare con l'essenza dell'Islam”.
Ecco il segreto della filosofia di Nomachi e il cuore della sua mostra: “documentare”, nel pieno senso della parola. Scatti e parole dello stesso fotografo sollecitano sguardo e pensiero alla ricerca di un Oltre, che forse può semplicemente e profondamente essere l’Altro.
FONTE: Valeria Arnaldi (leggo.it)
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