mercoledì 21 settembre 2011

Somaini, la scultura che resuscita

Nelle Chiese rupestri i sofferti lavori dell’artista comasco

C’è una spia eloquente, un «gesto» illuminante, per decifrare l’opera di Somaini, il segreto artista comasco, morto ottantenne, nel 2005. Grande e tormentato insoddisfatto perenne, Somaini ha talvolta voluto cancellare periodi della sua produzione, metabolizzandoli in opere successive, maturate. Cancellare: non però distruggendo, come hanno potuto fare Giacometti, Brancusi o Modigliani, ma sotterrando (nel suo giardino, con debita venerazione ctonia) le tracce perdute («Tracce» è un titolo che torna, nel suo universo espressivo) d’un percorso che non lo soddisfaceva più. Ma ecco come la circostanza eventuale di questa cerimonia domestica, privata, si fonde miracolosamente con la sua poetica. Una delle prime opere scelte ha titolo Proserpina, la Kore che viene rapita e sepolta da Plutone nell’Ade, e che tornerà stagionalmente, ogni primavera (Primavera d'altoforno) sulla terra: riportando vita, luce e frutti. La scultura non è altro, per lui, che questa semina della morte (anche della morte dell’arte) che rifiorisce in dilemma ed in esploso, tagliente smembramento drammatico. 

La morte della scultura («lingua morta», secondo la tesi del suo ispiratore Martini, che ragiona della fine dalla monumentalità, ma non soltanto) e che torna in vita, che resuscita, proprio per rappresentare, gemendo, questa fine, quest’agonia straziata (Grande Martirio Sanguinante). Così probabilmente non esiste spazio maggiormente ideale, indubbiamente uno dei più belli al mondo per posizionare lacerti vivi del Contemporaneo, di queste predestinate Chiese Rupestri di Matera, sassi fra i sassi, ove tra l’altro Somaini è stato giovane e suggestionato, dopo lo choc dell’agnizione sepolcrale dei folgorati di Pompei. E par quasi destino, in questo mondo taroccato e fasullo di consumo culturale, ove l’ufficialità eleva i mammozzi-tarocchi di Clemente agli Uffizi, è inevitabile, anzi, che, rovesciandosi le carte, un autentico maestro del dolore e della conoscenza dell’arte, debba scendere offeso e trionfante, come un Cristo nel Limbo, nelle catacombe magnifiche d’una terra, che la politica definì «vergogna d'Italia». 

Altro che retorica vuota del «site specific»! Grazie all’acribia caparbia del curatore Appella (adiuvato dalla figlia dell’artista) grazie alla maestria del «posatore» di sortilegi Alberto Zanmacchi grazie al labirinto di ripensamento cronologico di vitalità pulsante, in quest’Ade ospitalissima lo scultore ha trovato la sua «casa» ideale. In questi antri petrosi, sotto questo piovere notturno di salnitro, che ingravida ulteriormente gli originali, rugginosi «conglomerati ferrici» deglutiti nel cemento, in questo umidore sepolcrale che ridà forza allo Svolgimento dell'avvolto (utile confronto con le copiazzature sindoniche di Cattelan) Somaini ritrova la sua aura ideale e si libera, in fondo, di tutte le pastoie critiche (alla «luce» della manualistica) che giocoforza gli si sono incrostate addosso. Trasparenti, forse, le referenze iniziali, Medardo, Manzù, perfin Raphael se vogliamo, tornando al giovanile Rodin e ai suoi torsi, ma i frammenti lacerati, smembrati, strappati di Somaini son proprio lacerti d’una bellezza che non può più mostrarsi, che si nega e celebra nella Lotta con l’incarnata materia. Gesti di una drammaturgia sottratta. Come il suo Crocefisso, vuoto di Cristo, ma ove rimane addensato e sospeso lo strazio della carne di ferro. 

SOMAINI
MATERA. CHIESE RUPESTRI E MUSMA
FINO AL 9 OTTOBRE


FONTE: Marco Vallora (lastampa.it)

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