Dal primo giugno visita alla grande domus sulla via dell'Abbondanza, guidati nei vari ambienti dal padrone di casa ricreato dalla realtà virtuale. E dalla giovane madre che grida per una inutile fuga. Gli ultimi momenti di una famiglia prima dell'eruzione. Visita a lavori in corso alla domus-panificio dei Casti Amanti fra passerelle sospese e pannelli trasparenti. Con un forno che usava la stessa tecnica moderna di cottura della pizza.
Da oggi due nuove "tessere" si sono aggiunte alla visita di Pompei. La prima è la grande domus di Giulio Polibio, Regione IX, a metà circa di via dell'Abbondanza, l'asse viario più celebre della città sepolta, sul lato sinistro salendo da porta Marina. La seconda è la visita del cantiere (che adesso si è preso la mania di chiamare sempre evento) della domus-panificio dei Casti Amanti, ancora su via dell'Abbondanza. Finora, per i tanti anni di abbandono, i Casti Amanti non apparivano nelle guidedi Pompei. Ora il cantiere è stato protetto da una copertura che ne assicura un intervento completo di tutela e conservazione e per la prima volta di valorizzazione. L'iniziativa, è promossa dal commissario delegato per l'emergenza nell'area archeologica di Napoli e Pompei, Marcello Fiori, e rientra appunto nella valorizzazione del sito archeologico. Apertura regolare tutti i giorni (tranne il primo lunedì del mese) con alcune regole (prenotazione obbligatoria e biglietto aggiuntivo di cinque euro per ciascuna visita e un biglietto integrato di dodici euro, gruppi di 25 persone, durata di circa un'ora, anche in inglese, francese, spagnolo, partenze dalle 10 alle 18).
La visita didattica alla domus di Giulio Polibio viene definita la prima visita "multisensoriale", cioè col padrone di casa, un ricco liberto (sotto forma di ologramma ricostruito su base scientifica, utilizzando i corpi trovati nella domus), che con la voce che gli è stata attribuita accoglie e accompagna i visitatori negli ambienti più importanti fino alla sorpresa finale, particolarmente emozionante. Nell'ultima stanza, inutile rifugio degli abitanti, è stata infatti ritrovata una giovane donna incinta al nono mese. Anche lei apparirà sotto forma di ologramma. Una visita che fornisce tutte quelle informazioni di tipo divulgativo, curiosità, che finora sono mancate ai visitatori, sugli abitanti e la vita quotidiana, l'architettura, le decorazioni, gli arredi ricostruiti, le piante e gli uccelli del giardino. Soprattutto sugli ultimi momenti degli abitanti, con le parole, le invocazioni dei personaggi quel 24 ottobre del 79 dopo Cristo. Sarà importante la reazione dei visitatori a questa novità che qualcuno, scandalizzato per l'improvvida intrusione, aiutato da certe frasi ("Ave gens"), è subito pronto a definire più degna di "Disneyland".
La visita ai Casti Amanti è a lavori in corso perché si possono vedere all'opera archeologi e restauratori. Un sistema di passerelle sospese fanno scoprire dall'alto "perfettamente conservati, il forno della panetteria, le due stalle con scheletri di animali, un giardino fedelmente ricostruito, mosaici e affreschi" che danno il nome all'edificio. I lavori sono visibili anche da via dell'Abbondanza attraverso pannelli trasparenti. Tecnologie multimediali riproducono la funzione degli ambienti. Con la visita alla domus di Giulio Polibio si corona circa un secolo di scavi irregolari e contrastati. La domus venne infatti scoperta ai primi nel Novecento con lo scavo di via dell'Abbondanza e la messa in luce della facciata, ma i lavori ripresero solo nel 1966 e la liberazione dell'intero edificio fu completata nel 1978. La domus venne restaurata fra il 1993 e il 1998.
La prima origine risale alla fine del III secolo avanti Cristo. La forma è quasi rettangolare con una superficie di circa 900 metri quadri con due ingressi su via dell'Abbondanza. I settori padronale e di servizio sono nettamente distinguibili e su quello di servizio venne aggiunto un piano superiore. Al centro un giardino a pianta quadrata che al momento dell'eruzione era piantato a frutteto. Nel 79 forse la casa apparteneva ad una famiglia di liberti di origine greca. Nelle vicinanze e all'ingresso sono stati trovati manifesti che invitavano a votare per "C. Iulius Polibyus", edile e candidato al duovirato. In uno degli armadi di legno sotto il porticato del giardino il sigillo in bronzo del probabile padrone di casa "C. Iulius Philippus".
Il cosiddetto vestibolo conserva parte della decorazione in "primo stile". Antonio d'Ambrosio ci ricorda che della minuscola cucina sono stati "recuperati e ricostruiti tutti gli elementi della copertura, comignolo incluso". Sul bancone sono state trovate le pentole di uso quotidiano, un tripode in ferro e una graticola. Accanto alla cucina un grande dipinto rappresenta un "larario" dove si veneravano le divinità domestiche. La stanza centrale conserva una "bella decorazione" a parete di "terzo stile" mentre nella stanza da pranzo, il grande triclinio, un dipinto raffigura il mito di Dirce legata ad un toro ad opera di Anfione e Zeto per punirla dei maltrattamenti alla madre. Qui sono stati trovati un "Apollo Lampadoforo" in bronzo, alto 128 cm, e un monumentale cratere a calice, sempre di bronzo, alto 63 cm, "finissimo oggetto di arredamento".
I visitatori sono accolti da Giulio Polibio nell'atrio con "impluvium", l'apertura centrale con la vasca che raccoglie l'acqua piovana (già gli operai al lavoro nell'atrio danneggiato dalle prime scosse sono in allarme) e "condotti" da lui nei vari ambienti fino all'ultimo nel quale si era rifugiato il maggior numero dei familiari. Qui si materializza l'ologramma della giovane donna che lancia quelle che saranno le ultime parole sotto la nube ardente e le ceneri del Vesuvio: "Correte, portate con voi tutto ciò che volete salvare! Asserragliamoci nell'ultima stanza, in fondo, dopo il peristilio!". Inutilmente.
Oltre alla voce narrante il visitatore è accompagnato da una installazione sonora denominata "Opera Regio IX" (progetto del prof. Claudio Rodolfo Salerno, presidente dell'Istituto per la diffusione delle scienze naturali, collaborazione di Paola Ricciardi e Luigi Stazio, con Fulvio Liuzzi, ingegnere del suono). Nell'atrio si odono suoni dalla strada, rumori dei lavori di ristrutturazione della domus al momento dell'eruzione (ritrovati calce, intonaco, chiodi e martelli). Nella piccola cucina sono stati riprodotti i suoni del vasellame, di un mortaio, del fuoco acceso, di una piccola macina. Di cereali e di acqua versata. Non sono sfuggiti la "cottura di una pietanza a base di cervo ed un echeggiare di suoni caratteristici a simboleggiare le spezie dell'Africa".
Nell'"impluvium" "suoni e rumori che richiamano l'alternarsi di giochi di aria ed acqua". Nel giardino "risaltano tutti i suoni della natura". Uccelli notturni e diurni, il vento fra gli alberi. "Un richiamo esplicito alla tartaruga di cui è stato ritrovato il carapace". Vengono "tradotti in suoni gli odori ed i colori dei fiori e dei balsami" (contenuti negli armadi), con un richiamo a Plinio che mette in guardia nella Storia naturale: "Le piante che fioriscono in modo più vistoso sono quelle che appassiscono più in fretta". Ma il giardino era anche "un luogo di ritrovo, di amore e di giochi" e allora c'è una "donna che ride, una coppia che gioca a dadi, il tintinnio di un bracciale e lo spegnimento delle lucerne". Nell'ultima stanza dove sono stati trovati quattro corpi e un feto, l'ologramma evanescente della giovane, insieme all'audio dell'eruzione, al rumore degli scavi che raccolgono il regalo più grande che un cataclisma naturale ha fatto all'archeologia.
FONTE: Goffredo Silvestri (repubblica.it)
Nessun commento:
Posta un commento