Sculture e progetti dell’architetto spagnolo in Vaticano
Ancora grane e grande risalto mediatico per i disastri tecnologici
che accompagnano, da tempo, i titanici progetti aerei (che ogni tanto,
come Icaro, vacillano) dell’architetto-utopista spagnolo Santiago
Calatrava. Sarà, è indiscutibile; anche perché poi Calatrava non può che
acconsentire ed aprire la borsa, gravato da rogne giudiziarie, ben più
pesanti delle sue librate strutture macigniche. Adesso, per esempio (
El País
di sabato) pare abbia acconsentito ad accollarsi le spese non poco onerose (623 mila euro) della mancata
Manon Lescaut
diretta da Domingo, saltata all’ultimo minuto, per perdite dal
tetto e crolli di mosaico, al perseguitato Palau de les Artes de
Valencia. Ma non soltanto. Insieme alla ditta costruttrice Ute, per evitare un ennesimo processo (anche Venezia col suo ponte batte cassa:
3,8
milioni di euro) acconsente in un tempo record, e per una cifra di poco minore, garanzia di almeno 100 anni, di rifare completamente il rivestimento in mosaico ceramico del Palazzo, stendendo un bianco sipario su questa sporca storia, che ha indebitato la città per oltre 700 milioni di euro.
milioni di euro) acconsente in un tempo record, e per una cifra di poco minore, garanzia di almeno 100 anni, di rifare completamente il rivestimento in mosaico ceramico del Palazzo, stendendo un bianco sipario su questa sporca storia, che ha indebitato la città per oltre 700 milioni di euro.
«Calatrava te la clava», te la succhia, ti dissangua,
vampiro! gridano gli avversari. Eppure, ad entrare alla scenografica,
«spumosa» mostra, che il Vaticano gli dedica nell’arioso Braccio di
Carlo Magno, «La metamorfosi dello spazio», l’impressione è ben diversa e
si dimentica (è un errore buonista?) tutto quel rumore tramato di
numeri, debiti, contenziosi, condanne, polemiche. Merito anche del
consuonante architetto Roberto Pulitani, che ha letteralmente «sfondato»
il lungo corridoio, sfrondandolo della scala posticcia e del soppalco, e
riaprendo le ampie finestrone barocche, che danno sul colonnato di San
Pietro: uno spettacolo nello spettacolo. Concedendo anche fiato e
consono fondale alle imponenti sculture, che Calatrava affianca ai suoi
sontuosi progetti: di ponti sospesi, di fantasmagorici complessi
universitari (come quello romano di Tor Vergata), di liriche
chiese-moschee. Qui meravigliosamente sintetizzati da luminose, bianche
maquettes: così che la Stazione Medio Padana di Reggio Emilia pare un
pigro dinosauro che si risvegli. Lo stadio di Tor Vergata un candido
nautilus, levigato dalle forti mandibole di onde intemporali, oceaniche.
Certo: un conto l’immaginazione utopica, un conto la
realizzazione pratica e se tanto si è premesso all’inizio è perché si
proveniva da una sfiancante lettura di blog, che dibattevano l’eterna,
sfiancante questione della perizia ingegneristica contrapposta alla
composizione architettonica: in che varco si situa il donchisciottesco
spagnolo? Qui, nella fascinosa mostra curata con consueto amore, per il
sacro contemporaneo, da Micol Forti, ed intelligenti, come sempre,
contributi del Cardinal Ravasi e di Antonella Greco, va da sé, Calatrava
viene letto nel segno della dedizione alla fede e viene come assolto da
tanti gravami e santificato, quasi angelizzato (encomiando la sua
«trasfigurazione poetica delle forze della natura», come propone
Paolucci: «Uno dei più grandi architetti del nostro tempo, il
progettista di prodigi costruttivi stupefacenti per bellezza e per
ardimento tecnologico, ci fa capire che senza un cuore poetico nulla di
importante si può edificare sotto il cielo»).
E certo Calatrava non ha timore nello sfidare il cielo, come
nel felice progetto irrealizzato del Saint John di New York, una sorta
di affusolato Eiffel-gru goticheggiante alla Gaudí, che si sarebbe
arrampicato nel costato della cattedrale. O nella catafratta Chiesa
Ortodossa di San Nicola: unico segno del sacro nella ricostruita zona
del Ground Zero, che ricorda la moschea di Santa Sofia. Perché sempre
l’architettura di Calatrava è memoria. Memoria anche antropomorfica del
corpo umano, della capanna archetipica, della danza e dello slancio.
Come dimostrano le sue sculture o i suoi contributi alle coreografie del
New York City Ballet.
Santiago Calatrava. La Metamorfosi dello spazio
Roma. Braccio di Carlo Magno
Fino al 20 febbraio
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