Il via alla 55ma edizione della rassegna dell'arte veneziana, siglata da Massimiliano Gioni, che è il direttore più giovane della kermesse. E si vede: dei 158 artisti presenti, 120 sono all'esordio assoluto. Tutto ruota intorno all'Enciclopedico Palazzo, quella Babele della cultura pensata nel 1950 da Marino Auriti e mai nato
Anni fa al Pac di Milano, Massimiliano Gioni, all'epoca sembrava un ragazzino, del resto ora, trentanovenne, è il direttore più giovane della storia della Biennale di Venezia, tenne un incontro che aprì con questa citazione: "Il bello non è nella forma, ma nella comunità". Frase che mi colpì, e che ha continuato a tornarmi in mente percorrendo le sale della ordinata mostra con cui firma la 55° edizione del più importante appuntamento mondiale con l'arte contemporanea. Finalmente ai Giardini e all'Arsenale, si respira l'esigenza di una conoscenza multiforme, che esplora con profonda concentrazione percorsi diversi, ma tutti significativi. Non ci sono autori che fatichi a collocare e ci sono esperienze che se pur inizialmente respingenti, riesci ad avvicinare perché "L'arte per essere critica, deve prima essere dolce", diceva Charles Baudelaire.
Emerge un lavoro fatto con grande discrezione, non urlato ma raccolto in un buon arco di tempo con toni decisi, che guarda al percorso e alla forza del messaggio artistico. Da sempre Gioni si distingue per proposte valide, che valutano il lavoro di un autore nel suo insieme, non è un "giovanilista", non è ossessionato dalla novità, sa percepire e far scoprire sottili pieghe in cui si nascondo dedizione e ricerca. Nell'esposizione, che ha chiamato "Il Palazzo Enciclopedico", ha incluso in totale 158 artisti, di cui 120 non erano mai stati invitati alla Biennale, 40 addirittura non più viventi. Molti sono gli "outsider", intesi come "non professionisti", ma in grado di produrre opere d'arte, che si immettono nel flusso progressivo. Quindi si respira un dialogo tra presente e passato, che affascina come un gioco che spinge alla ricerca delle affinità, che concatena memoria, attualità e proiezioni futuribili, e che a tratti conforta e a tratti spiazza, rompendo inutili certezze. "Questa mostra - ha spiegato Gioni - è un tributo ai surrealisti e alla comunità transnazionale di artisti per questo non identifico un artista dalla sua nazionalità non chiedo mai la carta di identita di un artista".
Al centro di tutto, il plastico dell'opera mai realizzata di Marino Auriti, il meccanico italoamericano che attorno al 1950 immaginò quell'Enciclopedico Palazzo, che sarebbe dovuto essere un museo da costruire nel mezzo di Washington, capace di raccogliere tutto il sapere del mondo. Il modello dell'Enciclopedico Palazzo del Mondo, dal quale la Biennale prende il titolo, arriva dall'American Folk Art Museum di New York, e apre le Corderie dell'Arsenale. Lo spazio delle Corderie è stato, tra l'altro, sistemato da Annabelle Selldorf , architetto che negli ultimi anni ha progettato tutti gli spazi dell'arte di Manhattan, comprese le gallerie di Chelsea. Qui si cammina tra le sculture fragili dai visi reali, di Pawel Althamer e alla fine si incontra il lavoro di Walter De Maria, artista americano maestro della Land Art qui in chiave indoor.
Il padiglione centrale ai Giardini, pone invece al centro il libro rosso, dello psicanalista Carl Gustav Jung, che diceva ''Non dobbiamo pretendere di conoscere il mondo solo con l'intelligenza, sarebbe necessario invece insegnare all'uomo l'arte di vedere''. Poi tanti big, da Cindy Sherman e Tino Sehgal; Jimmie Durham, Paul McCarthy e Steve McQueen. Non mancano, gli italiani: momento d'oro per Rossella Biscotti, reduce dall'ultima edizione di documenta, ha rinunciato all'amico Cattelan, ma ha dato spazio a Yuri Ancarani; Diego Perrone e Gianfranco Baruchello, ma anche Marisa Merz e Marco Paolini.
Ma a Gioni è spettato anche un altro lavoro, quello di riuscire a raccogliere praticamente la stessa quantità di denaro di quello messo a disposizione dalla Biennale. Il budget era di circa 1,8 milione di euro, miserrimo per non dire non sufficiente e Gioni l'ha raddoppiato coinvolgendo fondazioni e privati. Si è dato da fare senza lamentele, in America è la prassi da noi un'anomalia. "Documenta", per capirci, in Germania ha un budget di circa 15 milioni. Quindi, con grande rigore, Gioni ha agito come un architetto funzionalista, progettando e costruendo un organismo solido, in cui l'equilibrio d'insieme è dato dalla forza dei singoli, dove ogni individualità alimenta il senso di comunità e potenzia il "circolo completo delle umane cognizioni", mappando quelle che già si conoscono, ed eventualmente aggiungendo quelle che si possono scoprire anche dopo questa biennale.
Insomma, come ha sintetizzato lo stesso presidente della Biennale, Paolo Baratta, la Biennale è "una vecchia signora che dev'essere rigenerata". E in questo, il lavoro di Gioni tra l'Arsenale e i Giardini dove si dipana l'esposizione, è stato fondamentale in una sorta di viaggio tra immagine e ciò che essa è in grado di evocare. Anche perché, in tempi di pesante crisi economica "la Biennale è un antidepressivo, un'iniezione di energia e di fiducia in un momento di crisi in cui l'economia non riesce a trovare soluzioni", ha detto il presidente.
Tra le novità-curiosità di quest'anno per la prima volte la Santa Sede partecipa alla Biennale, riprendendo la tradizione del mecenatismo che contraddistinse i papi del Rinascimento e dei secoli successivi. Costato 750mila euro, di cui 300mila stanziati dalla Biennale è suddiviso in tre sezioni, accomunate dal filo conduttore del racconto biblico della Genesi. La prima parte, dedicata ala Creazione, è stata affidata al gruppo milanese Studio Azzurro; la seconda, De-Creazione, al fotografo ceco Josef Koudelka, che nel 1968 fotografò l'invasione di Praga da parte dei carri armati sovietici; infine, la sezione su Nuova Umanità o Ri-Creazione, è opera del pittore americano Lawrence Carrell, legato al movimento dell'"Arte Povera", che usa per la sua arte anche materiali di recupero.
La Biennale d'arte di Venezia rimarrà aperta fino al 24 novembre.
FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)