sabato 29 dicembre 2012

La Roma che non c'è più: in mostra le opere di Agostino Muratori



Nessuno oggi è pittore più romano di Agostino Muratori. Le piazze, le ville, il Tevere, le viste dei tetti e del centro, attraversando ogni epoca, costituiscono il soggetto principale del suo lavoro da oltre quarant’anni.Ma la romanità non si esaurisce in ciò che racconta. Ogni suo dipinto è percorso da una vena ironica che si spartisce il dominio delle atmosfere insieme a quella specie di disincanto un po’ amaro e un po’ sornione che tutti i romani conoscono benissimo. E che è sempre più forte nelle ultime opere di questo pittore sessantasettenne, un passato di medico internista, un presente di botanico oltreché pittore, esperto in succulente (quelle che comunemente sono dette piante grasse), bonsai e giardini giapponesi.

LA MATURITÀ
«La vecchiaia porta evidenti limiti fisici e mentali» mi racconta mentre allestisce la sua ultima personale, Storie Dipinte (alla galleria Ca’ d’Oro, piazza di Spagna 81, da oggi fino al 4 gennaio). «Ma c’è anche un vantaggio enorme. Senti di non dover più dimostrare niente a nessuno. E vai per la tua strada in santa pace». Non so se sia questo il segreto che lo sta spingendo verso opere sempre meno calligrafiche e più pittoriche. Come il Giardino del Lago, uno dei luoghi ricorrenti di Muratori, che stavolta compare in tratti molto poco definiti: colori e luci tenui che sembra di essere in Francia. 

Lui si limita a spiegarla in termini tecnici, fedele all’odio tutto romano per la forma più vanitosa di autoindulgenza: «La vista cala. Ti porta più la mano che l’occhio. Questo aiuta a evitare molti orpelli. È tipico dei pittori al termine della loro carriera. Magari non si tratta di una scelta consapevole, però si liberano e innovano e in certi casi addirittura indicano una nuova strada. Prendiamo l’ultimo Poussin. Ci sono cose straordinarie che sembrano anticipare addirittura Cézanne. Alcuni dicono che fosse a causa della vista sempre meno buona e di altre ragioni dovute all’età. Be’, forse anche a me, nel mio piccolo, sta succedendo qualcosa del genere».

INNOVARE
Quel che è certo, per Muratori, è che gli ossessionati dalla dannazione di innovare producono «solo porcherie». E che il suo mestiere innanzitutto è una forma di artigianato. «Ogni quadro che faccio, scopro un trucco nuovo. I trucchi del mestiere sono decisivi e quelli buoni li trovi da solo, non te li insegnano, perché soltanto quelli che hai scoperto con l’esperienza formano la tua personalità, e dunque la riconoscibilità della tua opera». Indica i pini, le piante sulle dune di mare dalle parti di Anzio e Nettuno, l’altro polo privilegiato della sua pittura, in questi ultimi anni sempre più marina. Mi spiega come ormai sia velocissimo nella riproduzione delle schiere di soldati e cavalli, le battaglie a cui si appassionava da bambino e che ha riprodotto in moltissime opere. 

LA COMMITTENZA
Eppoi mi confessa di quanto abbia imparato dipingendo su commissione. «Certe idee non le avrei mai avute» dice raccontando opere con cui abbandona Roma e l’Italia e si spinge in Oriente, in tempi lontani, tra la sensualità degli harem e l’Egitto che ha scelto come immagine di richiamo della mostra. «Molti colleghi si annoiano a dipingere ciò che il committente domanda. Io ci trovo sempre qualcosa che stuzzica la mia curiosità e mi spinge a percorrere strade su cui non mi sarei avventurato. Ci sono matti che chiedono cose impensabili e ti devi mettere lì a immaginare soluzioni. Ne esci con qualche strumento in più da utilizzare per quello a cui tieni». 

LA CAPITALE
E quello a cui Muratori tiene, nonostante finga distacco, è Roma. «Non è che fingo» mi fa «Il fatto è che la mia Roma non c’è più. I luoghi che amavo sono diventati sempre più turistici, di passaggio, caotici, privi d’identità. Tutti che corrono corrono corrono. E tu stai lì e je vorresti di’ «Ao’ ma che te corri? Ma te voi ferma’? Te voi guarda’ intorno?» Anche in questo, però, la vecchiaia mi aiuta. Il segreto infatti lo capisci con l’età ed è uno solo: fottersene. Io con le emozioni forti che vanno di moda adesso non vado d’accordo. Velocità, adrenalina, ma che me ne faccio? A me piace l’emozione moderata ma costante, quasi eterna di un albero secolare».

E così, forse, la Roma più nuova di Muratori in mostra è la città che la neve dell’anno scorso ha fermato in due giorni fuori dal tempo. Niente automobili, niente caos. Silenzio. Solo i rumori dei tonfi di neve caduta dagli alberi di villa Borghese e gli improvvisi crac di rami divelti. Due ragazze imbacuccate che se ne vanno verso il Pincio. Un campanile lontano. I mezzibusti sfregiati di scritte improvvisamente ripuliti dal bianco uniforme.

FONTE: Matteo Nucci (ilmessaggero.it)

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