Per riscoprire il senso cristiano della festa nella società multiculturale
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Da qualche anno, interrogativi inediti hanno comunque iniziato ad aleggiare sul Natale e sul modo di celebrarlo. Da un lato si è accentuata sempre di più la dimensione commerciale delle «festività di fine anno», che non a caso hanno assunto anche nella terminologia una dimensione slegata dall’evento della nascita di Gesù: ormai pochi, anche tra i cristiani, rammentano e testimoniano nei fatti che il mese precedente il Natale è il tempo dell’Avvento, cioè dell’attesa del ritorno del Signore, e si interrogano sulla coerenza di certi comportamenti con il messaggio cristiano. D’altro canto, assistiamo a curiose e a volte aspre polemiche circa l’opportunità o meno di celebrare in spazi laici e pubblici - in primis nelle scuole materne ed elementari - cerimonie «natalizie»: recite, canzoni, mostre di disegni, feste rievocative vengono improvvidamente cancellate per un malinteso senso di rispetto delle altre tradizioni religiose oppure enfatizzate e promosse per brandire un’identità «contro» l’altro.
Verrebbe da chiedersi se queste tensioni e contraddizioni non possano essere colte come opportunità per un serio ripensamento della propria fede - o non fede - e del suo modo di esprimersi anche pubblicamente in una società ormai multiculturale: il fatto che determinate tradizioni natalizie non siano più accolte come scontate da tutti potrebbe essere un’ottima occasione per una purificazione del modo che i cristiani hanno di vivere la propria fede e di testimoniarla nella compagnia degli uomini. Siamo così sicuri che gli aspetti ritenuti più ovvi e caratteristici delle festività natalizie abbiano davvero a che fare con la fede in Gesù, nato da Maria, venuto nel mondo per narrare a tutti il volto misericordioso di Dio? Pensiamo realmente che la presenza di giovanotti bardati da vecchi bonaccioni nei centri commerciali rimandi al mistero della notte di Betlemme? O che dei buffi pupazzi che si arrampicano sui nostri balconi o si calano dai camini in concorrenza con streghe a cavallo di una scopa rievochino l’annuncio di «una grande gioia per tutto il popolo» o «la pace in terra per gli uomini di buona volontà»? E che coerenza mostra chi difende accanitamente la recita scolastica con melodiosi canti natalizi facendone un evento irrinunciabile per il proprio figlio e poi non si pone nemmeno il problema di una sua partecipazione alla messa di mezzanotte o del giorno di Natale?
In questo tempo ritrovato che le feste ci offrono, potremmo ripensare a come molte tradizioni si sono formate nel corso della storia, in un intreccio fecondo tra fede e cultura. Così, per esempio, i cristiani delle primissime generazioni seppero unire la loro fede in Gesù, luce del mondo, alla celebrazione del «sole invitto» nel solstizio invernale; così san Francesco riuscì a calare nella realtà contadina dell’Italia medievale l’atmosfera del presepe che richiamava quanto accaduto nella campagna di Betlemme milleduecento anni prima; così, per venire a tempi più vicini a noi, la figura di san Nicola trapiantata da Mira ai paesi nordici è scesa di nuovo fino in riva al Mediterraneo per affiancarsi a «Gesù bambino» nel colorare con la gioia del dono fatto e ricevuto la notte di Natale. E che dire dell’albero adorno di luci e addobbi, un tempo sconosciuto nei paesi della cattolicità latina? E a quando risale la lieta tradizione del pasto di festa che riunisce le persone che si amano e che vogliono vivere per una volta in una dimensione dilatata e gioiosa l’evento quotidiano della convivialità a tavola?
Sì, cosa pensiamo davvero quando diciamo «Natale»? Riscoprire e riaffermare i connotati più propriamente cristiani della festa - il Dio che si è fatto uomo perché ha tanto amato il mondo - non significa rinchiudersi in un ghetto esclusivo, ma mostrare inedite capacità di narrare con il linguaggio della nostra cultura in continuo mutamento la perenne «buona notizia» che riguarda tutta l’umanità: la nascita di Gesù è abbraccio tra giustizia e verità, è incontro fecondo tra cielo e terra, è speranza e promessa di pace e di vita piena.
FONTE: Enzo Bianchi (lastampa.it)